23 agosto 2005

Quella mattina di luglio di Corrado Augias

Quella mattina è il 19 luglio del 1943, quando gli alleati bombardarono il quartiere di San Lorenzo, a Roma, provocando migliaia di morti. In quella mattina il commissario Flaminio Prati viene chiamato ad indagare su un delitto, in un palazzo di via dei Reti. Trova il corpo di una ragazza, Franca Garolfo, uccisa con due colpi di pistola. Viveva da sola e aveva un passato da prostituta. Mentre è ancora all'interno della stanza inizia il bombardamento: Prati si mette al rifugio in una cantina quando una bomba centra il palazzo, facendolo crollare.
Sparisce anche il corpo e il commissario potrebbe lasciar perdere il caso: che senso ha occuparsi di quel morto, quando ce ne sono a migliaia fuori? Ma qualcosa lo spinge ad indagare: qualcosa che va oltre i suoi doveri di funzionario di polizia. Che persone frequentava la morta? Perchè è stata uccisa?
Prati arresta un amico della morta, Gino, già schedato come socialista: l'avrebbe uccisa per motivi di gelosia. Ma questa comoda soluzione, che soddisfa il regime per la rapidità con cui è arrivata, non lo soddisfa. Inizia così a seguire un'altra pista, che lo porta ai vertici del partita fascista e del regime, e la sua indagine si intreccia alla cospirazione che porterà poi alla caduta di Mussolini, dopo la storica seduta del Gran Consiglio del fascismo, del 25 luglio.

Un giallo lento, con brevi dialoghi, dove gran parte dello spazio è riservato alle riflessioni di Prati, che assiste allo sfascio della società in cui vive. Siamo nei frenetico giorni che precedono il 25 luglio 1943, data in cui viene fatto cadere il governo di Mussolini e dichiarato fuori legge il partito fascista stesso. Per Prati, uomo di stato, società e fascismo rappresentavano la stessa cosa e vedere la partito (e la società) che credeva solido ed eterno, sgretolarsi, gli fa crollare tutte le certezze. Il libro si apprezza, più che come giallo, per lo sguardo che getta sulla società decadente di quei giorni di fine regime.
Significativo il dialogo, alla fine dell'inchiesta, dove il commissario si ritrova davanti l'assassino, un ex potente uomo del partito, in cui ricopriva un incarico importante, ora reo confesso, per sfuggire al linciaggio della folla:

Faccio politica, non demagogia. Ho cercato di dar mano alla costruzione di uno Stato, ma non ho nessuna voglia di essere additato a esempio sui libri di lettura delle elementari. Ho lottato, non fuggo, ma non sono nemmeno disposto a farmi linciare dal primo capannello di esaltati.”
“Quei capannelli di esaltati stanno cercando di far diventare questo paese un Paese libero. Lo fanno come può farlo una folla, cioè confusamente, senza avere chiara la meta, con gesti a volte odiosi. Meno odiosi comunque della vostra guerra e, per ora almeno, assai meno sanguinosi”
“Pensa che tutto questa festa cambierà qualcosa? Io la vedo altrimenti. Noi abbiamo rappresentato il tentativo di trasformare una plebe dispersa, riottosa, anarchica e pigra in un popolo capace di marciare a testa alta, alla pari con tutti gli altri. Certo, abbiamo dibuto rifilare qualche bastonata”
“E chi vi dice che quella che lei chiama plebe riottosa non fosse invece un popolo che voleva seguire la sua inclinazione naturalmente mite, gente che ama la libertà, inadatta alla guerra, non portata a mostrare i muscoli, sensibile al ridicolo, non meritevole di essere consegnata a parate da operetta e a romana cartapesta?

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