10 ottobre 2007

Falcone e Borsellino. La calunnia il tradimento e la tragedia di Giommaria Monti

“Fortunato il paese che non ha bisogni di eroi”.
Bertold Brecht

“Palermo è la città del prestigio”
Carlo Albero Dalla Chiesa
“La storia del rapporto tra mafia e antimafia ha un rapporto ciclico: si parte dell'ecclatante omicidio politico, poi l'indignazione, nuove leggi e nuovi arresti. Quindi la soddisfazione per i risultati raggiunti e la disattenzione. Fino al nuovo omicidio politico”.
Queste lucide e chiare parole della prefazione di Luciano Violante, bastano a raccontare il libro di Giommaria Monti: racconta degli anni della disattenzione, quelli che precedettero l'assassinio di Falcone e Borsellino e che seguirono agli omicidi politici La Torre e Dalla Chiesa.
Un racconto bastato sugli atti del CSM, gli articoli dei quotidiani, documenti processuali.

Della vita dei magistrati Falcone e Borsellino cosa ci ricordiamo? Poco. Qualche immagine di repertorio, le interviste, ma soprattutto il fumo, le auto che bruciano, i corpi dilaniati.
Perché i due magistrati ora sono morti e la loro storia, semmai lo volessero, non la possono più raccontare.
Persone riservate, Borsellino più che Falcone, sebbene siano stati accusati, tra le altre cose, di aver sfruttato la lotta alla mafia per fare carriera, di aver impostato i loro processi alla mafia (il Maxiprocesso del 1986, confermato in Cassazione nel febbraio 1991) come una grande show. Di aver nascosto delle prove degli omicidi politici “nel cassetto”. Per ingraziarsi con i politici, si disse, o per difendere i comunisti (come nel caso del costruttore Costanzo, che stava parlando del sistema tangenti in Sicilia).
Infame linciaggio” parla una sentenza della Cassazione del 2004, confermando la condanna a Toto Riina e gli altri corleonesi per l'attentato all'Addaura.
Che, i giornali e i suoi nemici arrivarono a dire, si era preparato da solo.
La sentenza, raccolta nel libro mette tutto nero su bianco e mette fine alle illazioni che sono state fatte girare (pile scariche, ordigno senza innesco) ad arte dal colonnello Mori (che poi divenne capo del Sisde) e dai giudici Domenico Sica e Misiani.

“A Palermo la mafia uccide due volte: prima delegittima e isola, poi fa saltare in aria”.

Il libro colma il buco della nostra memoria, dagli anni 86 all'estate delle stragi: la creazione del pool, le difficoltà nel portare avanti per la prima volta, un grande processo, in una sola sede contro i vertici di Cosa Nostra.
La vita difficile all'interno del Pool voluto da Caponnetto (altro che “professionisti dell'antimafia”): le ore rinchiuse nel bunker, lontano da parenti e amici.
L'istruttoria scritta nel carcere dell'Asinara, chiusi in carcere, come se i mafiosi fossero loro e non quelli su cui indagavano: permanenza che costò grandi sacrifici alla sua famiglia e di cui lo stato (con la s minuscola) chiese pure il prezzo, come fossero in vacanza.

Perché Falcone e Borsellino dovettero affrontare, oltre ai rischi di essere uccisi dalla mafia, anche gli attacchi alle spalle? Il libro racconta delle macchinazioni all'interno del CSM per sbarrare la strada a Falcone, prima con la nomina di Antonino Meli come successore di Caponnetto all'ufficio istruzione, poi con la nomina di Cordova all'ufficio della superprocura antimafia. Ufficio voluto proprio da Falcone.
L'annientamento del pool portato avanti da Meli (ogni procuratore doveva saper fare di tutto), e le interviste ai giornali di Borsellino.
Il doversi difendere davanti al CSM, spiegando che le critiche non nascevano da dissapori personali, ma da precisi questioni tecniche: il diverso orientamento che la gestione Meli aveva dato alle indagini sulla mafia.

Gli atti del CSM sono difficili da leggere: immaginatevi allora la difficoltà di questi magistrati a dover rispondere sulle lettere del corvo (le lettere anonime inviate nel 1989 a diverse personalità dell'antimafia che accusavano Falcone), dei rapporti con gli altri magistrati .. anziché combattere la mafia.

Mentre il CSM da Roma bloccava la strada a Falcone e Borsellino, la mafia sceglieva su quale tratto di strada piazzare il tritolo.
Furono vittime non solo di Cosa Nostra, ma anche di torbidi giochi di potere, di strumentalizzazioni ad opera della partitocrazia, di meschini sentimenti di invidia e di gelosia (anche nelle istituzioni).
Furono poi lasciati soli: anche da chi, nei partiti avrebbe dovuto stare a loro fianco. Basti ricordare gli articoli dell'Unità, che criticavano il Falcone venduto ai socialisti, che aveva lasciato la magistratura per entrare nell'ufficio Affari Penali del ministero della Giustizia di Martelli.
Gli attacchi di Orlando che chiedeva che fine avessero fatto le prove nel cassetto per gli omicidi politici. Accuse cui Falcone dovette rispondere sempre davanti al CSM.
Ma è soprattutto il CSM al centro del mirino: una struttura tesa a proteggere carriere e pensioni che a far prevalere i pochi che veramente volevano fare il loro mestiere. Una struttura più politica che orientata al rispetto delle leggi e al controllo della macchina della giustizia.

Ora siamo nella fase della disattenzione, in attesa del prossimo (forse) omicidio politico (caso Fortugno a parte). Mentre siamo in questa attesa, la mafia ha riannodato i fili con la politica e ripreso i suoi affari.
Nel frattempo le poche leggi fatte (Rognoni, 41 bis) sono state annacquate. E le riforme della giustizia delle ultime legislature, hanno reso meno incisiva l'azione inquirente dei magistrati.
Oggi, come allora, i magistrati che indagano a 360 gradi, senza guardare in faccia a nessuno, vengono accusati di non rispettare le regole, ricevono ispezioni, viene reso il loro lavoro più difficile. In nome del rispetto delle procedure e delle regole.

La mafia, lo sappiamo, avrà meno rispetto per le forme. Forse, continua la Cassazione, se si fosse stati meno cechi nel capire cosa stava succedendo nella mafia in quegli anni, Falcone e Borsellino sarebbero ancora vivi.


La scheda del libro sul sito di Editori Riuniti
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