21 dicembre 2008

La finanziaria siamo noi di Stefano Lepri

"La società civile tende ad autoassolversi, a considerare lo Stato e le tasse come il male principale, a non vedere come un male le tutele corporative in cui ogni categoria si richiude a riccio".
Mario Monti, economista, ex membro della Commissione Europea.

La finanziaria siamo noi parte da un principio chiaro: tutti i cittadini dovrebbero sapere come vengono spesi i soldi dello stato tramite la legge finanziaria, che per mesi impegna le discussioni della politica sui giornali e nei dibattiti.
Ogni anno, da settembre a dicembre, si sente parlare di capitoli di spesa, emendamenti (come il famigerato Comma Fuda), milleproroghe ... in una metafora felice (purtroppo) si parla di assalto alla diligenza, dove i singoli senatori e deputati cercano di ottenere voci di spesa con cui accontentare il proprio elettorato, le lobby cui sono legati, le promesse fatte in campagna elettorale.

Quest'anno la crisi economica in corso, ha messo in secondo piano le discussioni, che invece si sono concentrate sulla manovra triennale di Tremonti e sui decreti legge messi in atto per fronteggiare la crisi.
Perchè dobbiamo perdere tempo ad addentrarci nel campo economico della politica? Perchè, come dice il titolo, la finanziaria indica come vengono distribuiti i soldi nostri, dalle tasse pagate sulla busta paga, sui redditi di impresa, dall'IVA, dalla tassa sulla casa (quando c'era ancora).
In che modo lo stato cerca di far quadrare i propri conti (in fondo lo stato italiano è un'azienda come le altre, in fondo, molto in fondo …)?
Insomma, tutti dovrebbero sapre dove finiscono i nostri soldi.

Lepri usa come paragone, per parlare del clima che si respira nei palazzi della politica nei giorni in cui si decide della Finanziaria, quello del suq, ossia un enorme e rumoroso mercato dove i singoli parlamentari mercanteggiano lungamente per i propri interessi.
Quello che si preoccupa degli autotrasportatori; delle guardie forestali al sud; dei gestori delle sale da gioco; dai commercianti (cui si è tolto l'obbligo di indicare fornitori e clienti); ai farmacisti, tassisti (vi ricordate di Roma?) ai notai ….

A guardare la finanziaria ci si rende conto di chi conta nel paese e che peso ha; uno specchio del paese: tanto è confusionaria e difficile da interpretare che nemmeno i tecnici del Tesoro e della Ragioneria di Stato spesso riescono a capirci qualcosa.
L'importante è che i soldi escano: per nuovi cantieri (completati solo il 2,2% dei cantieri aperti dal governo Berlusconi negli anni 2001-2005); per nuovi capitoli di spesa; per nuovi enti (cui mettere dentro magari qualche amico); per nuovi istituti. Tanto nessuno controlla come i soldi vengono impiegati.

Un altro motivo per cui credo sia importante leggere questo libro è che cerca di districare il lettore (che mediamente non è un esperto di economia) tra tutte le falsità che i politici raccontano, quando parlano di bilanci, spese, deficit, indebitamento.
Tutti bravi a far quadrare i conti a proprio vantaggio e ad addossare ad altri le colpe dei dissesti finanziari (avete mai sentito parlare dell'11 settembre, della Cina, del buco del precedente governo?).

Stefano Lepri smonta alcune delle falsità che sono circolate: le mille tasse del governo Prodi; i conti lasciati dal governo Berlusconi 3 e 4; la spesa corrente aumentata senza che il deficit sia diminuito.
Le aliquote del governo Berlusconi che non è vero che hanno favorito i ricchi, e quelle del Prodi 2, che hanno invece sfavorito i ceti medi.

La lotta all'evasione portata avanti dal Visco e Padoa Schioppa e il successivo repulisti di Tremonti nella Agenzia delle entrate.
I tagli a pioggia di Tremonti (per far rientrare il debito secondo i parametri europei) a scuola, università e pubblica amministrazione, senza tener conto dell'andamento del singolo ente (ossia se quella università fa ricerca bene o male, se quella ASL spende troppo rispetto al numero di persone curate, in confronto con altre ASL).

La seconda parte del libro è una lunga carrellata nella storia delle leggi finanziarie a partire dagli anni 80, gli anni degli sprechi dei governi del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani, ma anche De Mita, Pomicino ....) quando il debito è aumentato di circa la metà.
Le finanziarie degli anni della crisi del 92-93: la stangata di Amato (90 miliardi di lire), il rischio di non riuscire ad entrare in Europa.

Poi gli anni della finanza creativa (2001-2005), fatta per far cassa in fretta: condoni (su cui l'Europa ha espresso parere negativo), rientro dei capitali dall'estero (con una tassa del solo 2,5%), cartolarizzazione.

Gli anni del risanamento, il 2006-2007: quando le entrate sono aumentate nelle casse dello stato (il tesoretto nato dall'extragettito), ma è diminuito il consenso del governo. Sembra che in Italia chi riesce a far risanare i conti (l'Italia è uscita dall'infrazione per il rapporto deficit pil) poi debba perdere le elezioni.
Colpa della scarsa coesione del governo, del poco coraggio. E della cattiva comunicazione: gli italiani avrebbero gradito sapere che certi sforzi loro chiesti sarebbero poi rientrati a loro per altre forme.

Infine, sempre in merito alle reciproche accuse che si scambiano centrodestra e centrosinistra, riporto le ultime righe:
Il centrodestra ha mutato assai poco, e ha confermato come un impegno per la Repubblica verso l'Europa gli obiettivi di Prodi e di Padoa Schioppa. Anche nei mesi successivi al voto, il deficit pubblico è risultato in linea con le previsioni. Bisogna proprio stare attenti a confondere le lucciole con le lanterne.

Pretesti di lettura.
Il posto sul blog dell'editore Chiarelettere.
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