29 luglio 2009

Il caffè di Sindona di Gianni Simoni e Giuliano Turone

Ascesa e fine del finanziere di Patti, il salvatore della lira, il banchiere di Dio (o del diavolo), assieme all'altro banchiere Roberto Calvi. Il primo morto per un suicidio fatto passare per omicidio, il secondo morto ucciso, fatto passare per suicidio.
Il libro dei due magistrati Simioni e Turone (entrambi han lavorato sull'omicidio Ambrosoli) racconta, citando fonti giudiziarie, articoli, interviste e lettere scritte da Sindona, dell'ascesa e morte di Michele Sindona. A partire dalla ricostruzione del finto rapimento dell'estate del 1979 in cui, copiando le modalità del tragico caso Moro rapito delle Br, si finge in mano a terroristi di sinistra.

E' tutto falso: sarà il gesto estremo di un genio della finanza (criminale) per salvarsi dalle accuse di bancarotta in Italia (per la Banca Privata Finanziaria) e in America (per la Franklin National Bank ). E soprattutto per l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli.
Un piano folle in cui Sindona cercò di coinvolgere perfino la mafia, l'ala moderata di Bontade e Inzerillo, ventolando loro un piano di separazione dell'isola dall'Italia.

Pagherà cara la sua strategia, i suoi ricatti (il voler rivelare la lista dei 500): sarà abbandonato da tutti. Dai referenti politici (la corrente Andreottiana), ai fratelli massoni della Loggia P2, al Vaticano. E il suicidio nel carcere di Voghera, dopo la sentenza di ergastolo del 18 marzo 1986 sarà l'ultimo colpo di teatro di Sindona.
Su questo i due autori sono molto sicuri: dell'ipotesi di suicidio Sindona ne aveva già parlato (col cappellano, in alcune lettere). Temeva delle ripercussioni per la sua famiglia. E temeva una lunga vecchiaia in carcere, ristretto in quelle condizioni, senza aver contatti e le sue ricchezze a disposizione.
Un uscita di scena spettacolare, avvelenato col caffè come Gaspare Pisciotta, con cui mattere in difficoltà i suoi nemici.

Lui, che aveva riciclato soldi per la mafia, usando lo IOR come tramite (per i suoi poteri di extraterrotorialità, che sfuggivano alle leggi che valevano per le banche italiane). Che aveva finanziato molti esponenti politici, le attività della Loggia P2.
Che era stato capace di costruire una fortuna finanziaria (che ebbe l'apice con la fallita scalata alla Bastogi nel 1972), basata sul nulla. O meglio, capace di far sparire intere fortune finaziarie (per i personaggi citati prima) con i suoi abili giochi di prestigio finanziari.
Finchè, nel 1974, la Banca di Italia, e il ministro del Tesoro La Malfa, decise di opporsi al piano di salvataggio della banca, col commissariamento della banca: un piano che faceva ricadere i debiti sul contribuente.
Sindona e Calvi.
Sindona tenta di bloccare il provvedimento di liquidazione minacciando il neogovernatore della Banca d’Italia Baffi, il vicepresidente e lo stesso Ambrosoli, poi ucciso da un sicario mafioso, su mandato di Sindona, l’11 luglio 1979. Marcinkus e Calvi tentano di liberarsi dagli ingombranti legami che hanno con il banchiere, ormai prossimo al tracollo […]



I due scorpioni nella bottiglia: l'ultimo capitolo del libro è dedicato al rapporto con Roberto Calvi, suo successore nella loggia P2 di Gelli e Ortolani come finanziere di fiducia.
Una collaborazione nata nel 1970 e consolidata negli anni, con la presentazione di Calvi a Licio Gelli; col l'affare Zitropo (la finanziaria passata da Sindona a Calvi). Una storia che presenta molte similitudini: entrambi i banchieri finiscono abbandonati, con delle condanne da scontare. Entrambi cercheranno di giocare col ricatto le loro ultime carte: Calvi arrivò perfino a scrivere al papa; a chiedere aiuto all'alla fazione legata all'Opus Dei (ostile all'ala della massoneria di Marcinkus, Casaroli).

Dice il figlio di Roberto Calvi:
“Una delle carte che mio padre conservava con maggior cura era la famosa lettera di Luigi Cavallo in cui si parla dei due scorpioni e della bottiglia. I due scorpioni erano Sindona e Calvi, che poi si uccidono reciprocamente. Mio padre la conservava nella sua cassaforte alle Bahamas. Ora è in mio possesso”. È un documento scritto a macchina, ricevuto da Calvi poco prima delle vacanze natalizie del 1977. “Egregio dottor Calvi, tra le tribù dell’Uganda è ben nota la tavoletta dei due scorpioni in una bottiglia. Se i due scorpioni impegnano una lotta a oltranza, questa ha, inevitabilmente, un esito letale, per ambedue i contendenti. Io sono fuori della bottiglia ma – diversamente da certi Suoi consiglieri – non ho alcun interesse nella continuazione e nell’aggravamento della lotta

Entrambi schiacciati dal potere, e dai poeri forti, dopo essere stati spremuti e usati.

Il merito più importante del libro (come ho già detto, ricco di citazioni) e il ricordo che fa della figura di Giorgio Ambrosoli.

In un paese dove, come spiega Vito Mancuso, manca una religione civile che è quella che lega il cittadino al suo paese, spiccano gli eroi borghesi come il commissario liquidatore della banca privata.
Il suo spirito di servizio, il suo saper lavorare e voler lavorare per il paese e non per un partito.

Non possiamo ricordare le sue parole alla moglie:
Ricordi i giorni dell'Umi (Unione Monarchica Italiana n.d.r.) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.

Il link per ordinare il libro su ibs.
La scheda sul sito della Rizzoli.
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