02 giugno 2010

Vendetta

Scrive Avner (l'agente dello Shin Bet che guidò il commando che diede la caccia ai terroristi palestinesi di Settembre nero, responsabili del Massacro di Monaco), nell'introduzione del libro di George Jonas, Vendetta
"Il punto è che le nostre concezioni della moralità fanno ben poca presa sui terroristi. In fin dei conti i terroristi che uccisero gli atleti a Monaco (così come quelli che hanno ucciso migliaia di persone al World Trade Center) ritenevano che le loro azioni fossero profondamente morali [...]
Ciò significa che dobbiamo alzare le mani e rassegnarci ad un circolo senza fine di attacchi e ritorsioni - un continuo e più violento bagno di sangue in cui, alla fine, sarà impossibile cogliere la differenza tra noi e i terroristi?

Nient'affatto. Il punto è che tra noi e i terroristi ci sono autentiche differenze. Nei loro attacchi, i terroristi spargono sangue indiscriminatamente. In effetti il loro obiettivo è spesso proprio quello di uccidere persone innocenti - vuoi per mandare un messaggio a chi detiene il potere, vuoi per terrorizzare la massa della popolazione.

Al lato opposto, quando Israele si vendica per gli attacchi terroristici - che lo faccia con una squadra come la mia dopo i fatti di Monaco, o lanciando un missile terra aria nei territori occupati dopo l'esplosione di un'autobomba-, cerca di agire con precisione chirurgica, prendendo di mira esclusivamente i responsabili dell'episodio che ha fatto scattare la missione [...]

Così, se dovessi tornare indietro nel tempo, rifarei la stessa scelta che feci quando Golda Meir mi chiese di agire, più di trent'anni fa. In quel periodo - un periodo in cui gli accordi di Camp David erano ancora molto lontani, un periodo in cui l'espressione 'processo di pace' non aveva ancora alcun significato, un periodo in cui l'intero mondo arabo (inclusi l'Egitto e la Giordania) invocavano quotidianamente la distruzione dello Stato ebraico e il fatto che Israele potesse continuare ad esistere era tutt'altro che scontato - rispondere a tono alla violenza di cui eravamo stati vittime era l'unico modo sensato di agire.

C'è però una cosa su cui dobbiamo essere chiari. Anche se non intendo scusarmi per la missione che io e la mia squadra abbiamo portato a termine negli anni settanta - al contrario, sono fiero di aver potuto servire in questo modo il mio paese -, non mi illudo che abbiamo fatto tutto il possibile per fermare il terrorismo [...]
Che cosa lo potrà fermare? Non le squadre di agenti inviate a uccidere i terroristi, nè le incursioni militari. Per come la vedo io, il terrorismo continuerà fino a quando non ci sarà un cambiamento nella situazione politica ed economica sufficiente a portare giustizia ed quilibrio in tutto il Medio Oriente. 'Occhio per occhio' può sembrare una risposta appropriata, ma non è una soluzione. Sfortunatamente, finchè non ne troveremo una, dovremo essere preparati ad affrontare continui attacchi terroristici, con gli atti di vendetta che a essi seguiranno inevitabilmente".

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