14 settembre 2010

Il caso del croato morto ucciso di Luciano Marrocu

Roma 1934: l'omicidio di un ustascia Croato, trovato morto nel suo appartamento, fa da il prologo per questo breve ma intenso racconto giallo. Il caso è affidato a due funzionari della Questura: il commissario Carruezzo, incline a seguire i suoi ragionamenti filosofici e il giovane ispettore Serra.
Il caso viene chiuso, motivandolo come delitto passionale e i due poliziotti vengono in seguito trasferito all'Ufficio Affari Generali del Viminale.

Ma il capo della polizia Arturo Bocchini (poichè si erano già occupato del primo caso) affida a loro una missione: seguire le tracce di altri due compari del croato morto, spariti dall'Italia.
Un informatore politico a Parigi, ex comunista pentito, ha infatti riferito ai servizi italiani dell'esistenza di un piano per attentare alla vita del re di Jugoslavia (Alessandro I) in visita in Francia. Un attentato organizzato proprio dagli ustascia croati.

Il regime è fortemente interessato a seguire questa vicenda, senza apertamente schierarsi nè con i croati (che comunque sono stati ospitati e tollerati dalla polizia) nè col re Alessandro I: nemmeno a Carruezzo e Serra viene spiegato cosa fare qualora riuscissero a scovare i due Ustascia.
Troppo grossi sembrano essere gli interessi in ballo: come la tenuta della "piccola intesa" che allaccia la Francia alla Jugoslavia (tra i tanti) , per contenere le mire di Hitler sui Balcani, per esempio.

Mussolini stesso, dopo l'attentato a Dolfuss, aveva schierato le sue divisioni sul Brennero, come segnale di monito per le mire di Hitler (sarà l'ultimo segnale antitedesco del fascismo).

I due agenti si mettono sulle tracce dei due croati, affrontando un viaggio attraverso la Francia, la Spagna per poi tornare ancora in Francia.

In questo viaggio, l'autore riesce a raccontare del clima che si respirava in Europa: il soffiare dei venti nazionalisti, le rivendicazioni di Hitler e le ammirazioni che la sua politica suscitava in giro per l'Europa.
Le tensioni crescenti in Spagna. La Parigi brulicante di spie, covo dei fuoriusciti antifascisti dall'Italia, ma anche dai delusi del comunismo russo.
L'ambiguo atteggiamento francese nei confronti degli italiani e del regime.

Al centro dei lunghi excursus [dei giornali che commentavano la visita del re di Jugoslavia] circa la situazione internazionale vi era la "Piccola intesa", l'alleanza della Francia con Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania, una petite entente contro gli appetiti epsnsionistici dei boches, gli eterni nemici di sempre, tenuti a frano dall'insuperabile Linea Maginot pa pure dall'alleanza con i paesi dell'Europa centrale, soprattutto ora che si erano dati un nuovo capo, Hitler, che non si sapeva se classificare come l'ultima espressione del nazionalismo tedesco, una specie di Bismark più aggressivo, o invece qualcosa di nuovo, più inqueietante e pericoloso.
I Balcani ribollivano come nei giorni dell'attentato di Sarajevo che aveva dato il via libera alla Grande Guerra, mentre l'Italia, l'Italia insoddisfatta, costretta dalle grandi potenze a una vittoria mutilata, l'Italia protettrice del nazionalismo croato, voleva espandere la propria influenza a est e trovava la strada sbarrata dalla Jugoslavia.
Questa stessa Italia temeva però anche l'espansionismo tedesco: pochi mesi prima Mussolini aveva mandato le nostre truppe sul Brennero per dissuadere Berlino dall'occupare l'Austria. Mussolini oscillava tra revisione (delle frontiere, dei rapporti di forza, delle sfere d'influenza) e mantenimento dello status quo.
Lo status quo continentale di cui la Francia si faceva sostenitrice e garante.
pagine 139-140

Si vedrà poi, con la Conferenza di Monaco, quanto queste premesse non verranno mantenute.
Torniamo al libro: la missione per i due finisce al rientro in Italia li aspetta il Duce in persona e una sorprendente scoperta: la genesi della nuova arma del regime.
Amaro finale, che testimonia della scarsa lungimiranza politica del regime.
Un racconto che sfrutta il meccanismo del giallo e del thriller, per tracciare un affresco dell'aria di regime degli anni 30, gli anni ruggenti, del clima pieno di intrighi che si respirava in Europa, le tensioni che stavano crescendo e che sarebbero sfociate poi nella Seconda guerra mondiale.
Piccola nota di storia, che assumerà la sua importanza proprio nel finale, l'assassinio di Alessandro I fu uno dei primi omicidi filmati su pellicola
L'attentatore era diritto in piedi davanti al cineoperatore, che poté così riprendere non soltanto l'assassinio ma anche i suoi effetti seguenti: il corpo dell'autista (ucciso immediatamente) che crolla contro i freni dell'automobile, permettendo così al cineoperatore di continuare a filmare a breve distanza il re per un certo numero di minuti ancora.[wikipedia]

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