24 ottobre 2010

Conti e sconti: la finanziaria spiegata da Report

Perchè, fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.

Chi ci guadagna da questa finanziaria da 25 miliardi?
Sacrifici per tutti, sconti per molti, tornaconti per qualcuno?

Stefania Rimini ce lo spiega nella puntata di stasera:

Il ministro Tremonti dopo aver lasciato una carriera di successo come tributarista, esperto di un sistema fiscale “che fa schifo”, come disse nel 1994 nel primo governo Berlusconi, ora si trova costretto dall'emergenza Euro a dover tappare le via di fuga agli evasori. Devono entrare 10,5 miliardi per tenerci lontano dalla speculazione, basteranno le nuove misure previste dalla manovra tremontiana di luglio? Dagli scudi ai condoni alle sanatorie: gli sconti agli evasori sono stati sempre giustificati dal bisogno di far cassa, ma a quale prezzo? E poi si poteva evitare di arrivare a questo punto e se sì, chi aveva il potere e il dovere di evitarlo? Ora i sacrifici della manovra sono necessari perché lo chiede l’Europa, ma l’Europa non ha descritto anche quali sono le categorie che devono svuotare il portafoglio a seguito dei tagli lineari. Dietro l’angolo ci aspettano manovre delle Regioni e dei Comuni sulle tariffe locali, su trasporti e sanità senza le liberalizzazioni che avrebbero controbilanciato gli aumenti. Il rischio con manovre di questo tipo è che le famiglie si debbano caricare sulle spalle anche le spese dei servizi per cui pagano anche le imposte, come sta già succedendo in Veneto e in Puglia. Almeno i sacrifici richiesti mettono a posto definitivamente i conti? Il premio al rischio sul nostro debito sovrano rimane alto, segno che siamo ancora dei sorvegliati speciali. Da una parte c’è un Pil che non cresce, dall’altra c’è un gettito fiscale che cala sempre di più soprattutto in un futuro prossimo visto che la grande industria manifatturiera se ne sta andando in Serbia o in Albania. Ma certe delocalizzazioni servono solo a salvare l’azienda o servono piuttosto a evadere insieme l’iva, le imposte e i dazi?

L'angolo del "C'è chi dice no" è dedicato all'imprenditore Ambrogio Mauri.
Nell'aprile del 1997 si uccise con un colpo di pistola al cuore per protestare contro il sistema delle tangenti, a cui si era sempre ribellato. Aveva 66 anni. Lasciò la moglie, tre figli e un'azienda che da mezzo secolo costruiva autobus e tram esportandoli in tutto il mondo, ma a Milano era regolarmente esclusa dalle gare dell'Atm. Aveva il brutto vizio di non ungere i partiti. Quando partì l'inchiesta Mani Pulite, che falcidiò anche i vertici dell'Atm, Mauri andò a testimoniare davanti al pm Antonio Di Pietro. Il quale poi, quando lesse della sua morte, si ricordò di lui e partecipò al suo funerale, disertato da tutte le autorità. "I dirigenti corrotti dell'Atm", ricorderà Di Pietro, "gli avevano fatto una serie di soprusi.

Era una vittima del sistema e fu uno dei primi e dei pochissimi a collaborare spontaneamente. La testimonianza andò benissimo. Col tempo si creò un rapporto di stima e amicizia. Ci veniva a trovare in Procura, ci incoraggiava ad andare avanti. Ci diceva: meno male che c'è Mani Pulite, grazie al vostro pool sono tornato a credere nella giustizia. Si era illuso che potessimo ripulire l'Italia. Invece, dopo Tangentopoli, è scattata la vendetta". Nel 1996 Mauri fu escluso anche dalla gara bandita dall'Atm per la fornitura di cento autobus. Pochi mesi dopo scrisse poche parole su un biglietto: "Dopo Tangentopoli tutto è tornato come prima". E una lettera alla moglie Costanza: "Tu sei il mio primo e ultimo bene. Forse, se fossi stato più malleabile, le cose sarebbero andate diversamente e non ti avrei dato tutti questi problemi. Il mio suicidio è l'atto finale del mio amore". E si sparò. Anziché inviare un messaggio di cordoglio alla famiglia o partecipare ai funerali, durante le esequie i vertici dell'Atm convocarono una conferenza stampa per rivendicare l'"assoluta trasparenza" dell'ultima gara. I figli, che non avevano mai collegato il gesto paterno a quell'appalto, parlarono di "excusatio non petita".

Ecco, la prossima volta che le verrà il trip di cambiare nome a un parco di Milano, la sindaca Letizia Moratti potrebbe dedicarlo ad Ambrogio Mauri. La prossima volta che Renato Schifani cercherà una "vittima sacrificale di Tangentopoli" da beatificare in Senato, potrebbe raccontare la storia di Ambrogio Mauri. La prossima volta che a Giorgio Napolitano scapperà la voglia scrivere alla vedova di un uomo trattato con "una durezza senza eguali", Giorgio Napolitano potrebbe rivolgerla a Costanza Mauri. Risparmierebbe pure sull'affrancatura: la signora non abita ad Hammamet, ma a Desio (Brianza, Italia).
[l'articolo è di Marco Travaglio su l'Espresso]

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