07 novembre 2010

Solo fango di Giancarlo Narciso

In un piccolo paese in provincia di Trento, Riva del Garda, uno di quei posti dove sembra non succedere mai nulla, meta di turisti in cerca di un angolo di paradiso, il direttore di una discarica di rifuiti viene selvaggiamento picchiato fino alla morte. Sarà solo il primo di una serie di omicidi: la polizia individua subito un facile colpevole, un ragazzo romeno che aveva una relazione col morto.

Inizia così, una persona che muore senza capire perchè e un colpevole troppo facile in un contesto, quello della provincia autonoma di Trento, che dietro l'apparenza di tranquillità, cura del territorio, nasconde un'altra faccia: “Ci sono già stati già abbastanza omicidi per una piccola, pacifica, comunità come questa, non trova? E poi, questa non è la Sicilia, non c'è bisogno di uccidere. Il nostro è un sistema raffinato. Un sistema di contrappesi perfettamente bilanciato. Carota e bastone. La provincia controlla tutto quanto si muove sul suo territorio. A chi si adatta vanno e briciole. E chi non si accontenta delle briciole, bè, tanto peggio per lui”.

Questo è quanto racconta uno degli angeli custodi (dall'anima sporca) del sistema provinciale trentino all'investigatore Butch Moroni, chiamato da una amica per aiutare il ragazzo romeno, Stanciu, che ne frattempo è sfuggito dalla polizia.

Un sistema di cui fanno parte amministratori provinciali e politici di Roma, legati a dirigenti di imprese (nel settore edile, estrattivo, minerario), persone che usano tutto il danaro “che lo Stato itaiano riversa su un territorio di soli quattrocentomila abitanti. Denaro che viene usato per finanziare la costruzione di distese di capannoni industriali e centri commerciali che a loro volta richiedono strade, svincoli, parcheggi su terreni dove prima c'erano vigne, oliveti, cascinali, riuscelli”.

Altro che difesa del territorio.

E per tutto questo si arriva ad uccidere? Per questi scempi ambientali? Narciso usa l'espediente di un omicidio avvenuto nel presente, per raccontarci una tragedia del passato.

La frana di Stava, quando una parete di fango di un bacino di decantazione di una miniera, franò su un paese, Prestavel, spazzandolo via.

La catastrofe della Val di Stava si verificò il 19 luglio 1985 quando i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 160.000 m3 di fango sull'abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero, provocando la morte di 268 persone. È tristemente famosa per essere stata una delle più grandi tragedie che abbia colpito il Trentino in epoca moderna. [Wikipedia]

Stava come il Vajont, una tragedia un cui la fame di profitto, l'avidità, il desiderio della carriera politica di quanto sapevano dei rischi e non hanno fatto nulla. Tutto ciò mise in secondo piano tutte le cautele, le norme di sicurezza per un impianto, il rispetto per la natura.


A legare la tragedia di ieri, con le morti di oggi, il primo morto: l'ingegner Fronza, nel 1985 dirigente provinciale nel settore mineriario, oggi direttore tecnico di una discarica con troppe zone ombra: ombre gettate dai tanti camion che vengono qui dalle altre regioni d'Italia a sversare rifiuti, di notte.

Il racconto dell'oggi, l'indagine per scoprire chi e perchè uccide le persone nel paese, si alterna alle pagine in cui si racconta della frana, il mostro che risucchiò nel fango i bambini che trascorrevano qui le vacanze, le indagini e il processo, che tenne fuori i politici, e portò a giudizio quasi esclusivamente dei tecnici, della Montedison, della Prealpi e dell'amministrazione pubblica, coloro i quali avrebbero dovuto controllare e non l'hanno fatto.
Nessuno di questi, tra l'altro, si fece mai un giorno di galere, potendo godere di pene inadeguate alla strage, e dei benefici di legge.

Lo dice chiaramente l'autore: “se la Montedison, o la Prealpi, avessero speso solo un decimo non sico di quello che si troveranno costrette a risarcire, e nemmeno un decimo delle spese legali, ma un decimo delle sole perizie del tribunale, la tragedia non sarebbe mai avvenuta. No, non è stato per attaccamento al denaro che duecentosessantotto persone sono morte lasciandone molte di più storpiate per sempre da un dolore senza nome. È stato per stupidità. Per presunzione. Per arroganza. Qualità che nessuno tra i condannati, è riuscito a incarnare meglio dell'ingegnere capo del distretto minerario.”

Dalla tragedia di Stava, alla denuncia del traffico di rifiuti di oggi. Una denuncia di una provincia che affonda, senza che la stampa nazionale ne parli abbastanza, nello stesso fango criminale di altre zone d'Italia: traffico di rifiuti, crimini ambientali, interessi politici e dove gli inquirenti danno l'impressione di aver poco interesse a scoprire la verità.

Dall'intervista all'autore di Paola Pioppi:

Tesero e la tragedia di Stava. La massa di fango che ha travolto e ucciso, in una delle catastrofi più devastanti al mondo, ma evitabile: era il 19 luglio 1985, ore 12 e 22 minuti. Il cedimento di un bacino di decantazione alto 50 metri, provoca il riversamento a valle di 300mila metri cubi di sabbia, limi e acqua, che scendono a una velocità di 90 chilometri orari spazzando via, case, alberghi, capannoni. Persino otto ponti. Muoiono 283 persone, quasi tutte quelle presenti in quell'area di 453mila metri quadrati che si risveglia sotto una colata di fango dello spessore di 40 centimetri. Solo fango di Giancarlo Narciso (Edizioni Ambiente collana Verdenero, 271 pagg., 16 euro) parte cercando il perché di quella tragedia. Lo fa attraverso un investigatore, Butch Moroni, che inizia l'indagine su un delitto che lo fa entrare nelle storia e una discarica di rifiuti da cui passano interessi che coinvolgono un intero paese. L'incombere e l'avvicinarsi del cedimento delle diga (che nessuno chiamava con questo suo vero nome, ma piuttosto "argine", più riduttivo nonostante le dimensioni), la crescita incontrollata di quell'ammasso di detriti destinato a cedere, raccontati con tono documentaristico, segnano il passo del romanzo, alimentano la paura e la claustrofobia, la certezza di un epilogo inevitabile. Narciso narra attraverso i suoi personaggi sbrigativi e indipendenti, si infiltra alla ricerca di una risposta possibile. O forse probabile.

Perché Stava e questa storia di venticinque anni fa?

Andiamo con ordine. Ero partito per raccontare la realtà del Trentino dietro la rassicurante facciata della felice oasi ecologicamente corretta. La scintilla era scoccata quando, già stanco della speculazione edilizia e delle colate di cemento che hanno trasformato uno dei più splendidi angoli d’Italia – la conca di Riva del Garda dove vivo – nella periferia urbana di una città industriale, ho scoperto che sulla mia testa, c’era una discarica di rifiuti che non solo minacciava di franare sul paese, ma che era anche sospettata di accogliere rifiuti tossici provenienti da altre parti di Italia. Mentre scrivevo, tra l’altro, così come molte altre in Trentino, è stata posta sotto sequestro dalla magistratura in attesa di accertamenti. Nel frattempo, una sinistra serie di coincidenze mi ha portato a Stava, dove ho scoperto la vera portata di una strage di cui, fino a quel momento, sapevo ben poco, anche perché all’epoca dei fatti non vivevo in Europa. Da quel momento in poi la trama del romanzo mi è apparsa di fronte agli occhi.

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La scheda sul sito di VerdeNero.
Fondazione Stava 1985
L'intervista di Paola Pioppi all'autore.

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