14 marzo 2011

Presa diretta - solo per ricchi



Non aveva finito di parlare la ministra Gelmini, intervistata a Che tempo che fa, che partivano le immagini di Presa diretta con le manifestazioni dei ricercatori e degli studenti universitari. Manifestazioni contro la riforma Gelmini, ovvero i tagli al nostro futuro.

Mi chiedo, dopo aver sentito le risposte date dal ministro, se è mai entrata in una scuola italiana: aule non a norma, genitori costretti a pagare una tassa per le spese correnti dell'istituto.
Insegnati di sostegno che non ci sono, stanze strapiene, richieste di tempo pieno che non possono essere soddisfatte dalle scuole.
Eppure, pare che il problema sia sempre quello del 68, del 6 politico, della proletarizzazione degli insegnanti che non sono premiati (e forse per questo hanno pure uno stipendio basso).

Il top dell'intervista è stato l'ennesimo insulto a chi va in piazza a protestare: "Vanno in piazza per la scuola ma mandano i loro figli negli istituti privati"
.

Bisogna premiare il merito, rispondeva alle domande di Fazio, ma prima dobbiamo tagliare sprechi e avere il coraggio di cambiare. I soldi alla scuola privata (cattolica), in spregio all'articolo 33 della costituzione?
Non è un problema, scuola pubblica o privata pari sono. Parola di avvocato che ha fatto l'esame di stato a Reggio Calabria.

Presa diretta aveva già parlato dello stato della scuola pubblica, nella puntata "La scuola tagliata". Tagliato il diritto allo studio, tagliata la sicurezza negli istituti.
Sembrava una specie di lotta di classe all'incontrario, per favorire gli istituti privati, che godono di finanziamenti e, in alcune regioni come la Lombardia, pure di assegni di studi concessi senza controllare il reddito delle famiglie.

Solo per ricchi, invece, è quello che potrebbe succedere all'università italiana se va avanti così: una università pubblica di basso livello per tutti e una università privata di eccellenza. O magari una università privata capace solo di sfornare lauree a chi paga.

E le parole di Napolitano al Cern di Ginevra ”Anche in questa fase di tagli della spesa pubblica, di rigore in seguito all’accumulo di un grande stock di debito pubblico, ritengo che i tagli della spesa pubblica non possano essere fatti con il machete. Non si possono mettere sullo stesso piano tutte le spese”,

“Non è retorico dire – ha concluso – che cosa si può tagliare e che cosa non si può tagliare. Ci sono voci di spesa che non possono essere sacrificate in modo schematico e alla leggera perché sono in un certo senso dei finanziamenti dati ai nostri giovani, alla scienza e al nostro futuro. Non so se sia più miope trascurare il valore in sé della scienza o sottovalutare le ricadute che le scoperte scientifiche hanno sulla nostra vita sociale”.

Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo.
Presa diretta ha raccontato dello stato dell'università di Torino, i cui ricercatori come Alessandro Ferretti sono saliti sul tetto della facoltà in protesta ("quando c'è una piena si sale sui tetti...").
Con questa riforma, che in realtà è un pò una scatola chiusa, visto che serviranno 47 decreti attuativi per applicarla, i ricercatori hanno meno fondi a disposizione, meno borse di studio. Si introduce la figura del ricercatore con data di scadenza. Terminati gli anni di studio, se l'università non ha fondi per assumerti, te ne vai.

Così invogliamo la ricerca? Così blocchiamo la fuga dei cervelli?
Mentre le scuole private prendono 254 milioni di euro (più dei soldi del FUS), ci sono ricercatori (come Anna Maria D'Agostino) a Torino che devono lavorare con 0 euro.
Torino dovrebbe ricevere 800 milioni euro, ne ha presi 254 milioni nel 2010 e 215 nel 2011.
Come si fa a migliorare la didattita e la ricerca con meno soldi?
Si dice sempre che si deve investire nello sviluppo e nella ricerca, poi Tremonti blocca gli stipendi ai ricercatori (parliamo dei 1200 euro al mese), riduce del 50% gli assegni di ricerca.
A Torino non ci sono i soldi per i tutor e le aule informatiche ad Economia devono stare chiuse.
Avendo accorpato i corsi, alle lezioni e agli esami arriva più gente (con meno posti a disposizione).
Nelle biblioteche c'è personale assunto con contratti a tempo, a scadenza.

Ci si lamenta che nelle prima 150 università nel mondo non ci siano quelle italiane: ma queste misurazioni sono fatte tenendo conto anche di quanto una università investe in uno studente. Con meno soldi a disposizione, è difficile fare di più.
Difficile anche perchè il ministro, diversamente da quanto ha chiesto il presidente della repubblica, non ha mai ascoltato la voce della protesta, che è pure stata criminalizzata.
Non è incendiando le auto che si risolvono i problemi (come ho scritto dopo i fatti di Roma). Ma nemmeno soffiando sul fuoco (come Gasparri e c.).

Pensare che l'università, non solo quella di Torino, da allo stato quasi quanto quello che riceve.
214 milioni tasse (Irpef, Iva), di fronte a 250 milioni in ingresso.
Ed è stimanto in 2 miliardi di euro il giro per l'indotto: l'università è anche un motore economico.

Non solo terra di privilegi, caste e baroni.
Baronie che questa riforma tocca lievemente (il divieto di assumere parenti è solo nella stessa università).
Se si voleva veramente rinnovare, si doveva avere il coraggio di federare le università, chiudendo le sedi piccole (e migliorando però i trasporti e la situazione delle sedi per gli studenti).
Come le tante, troppe università che sono sorte come funghi nell'epoca della Moratti e di cui ha parlato diffusamente Stella e Rizzo nel loro libro La deriva.
La presentazione della puntata di Iacona su Il fatto quotidiano:

I dati ufficiali sono stati resi pubblici pochi giorni fa e ci dicono che per la prima volta in Italia diminuiscono gli iscritti alle università pubbliche, del 9 per cento, mentre aumentano le immatricolazioni agli atenei privati, più 2 per cento. Ed è una pessima notizia, perché meno studenti significa meno laureati, in un paese che già ne ha pochi rispetto alla media europea.

CERTO , pesa la crisi economica, oggi infatti costa migliaia di euro all’anno mantenere un figlio all’università. Ma dietro questi dati c’è anche la sfiducia delle famiglie nella possibilità di migliorare la propria posizione sociale grazie agli studi. E qual è la strategia del governo? Tagli, tagli e ancora tagli. Quest’anno le università pubbliche riceveranno dallo Stato 700 milioni di euro in meno rispetto all’anno scorso e questa sera vi faremo vedere da vicino cosa significa: accorpamento dei corsi, aule strapiene perché non ci sono i soldi per pagare i docenti, laboratori di ricerca fermi perché mancano persino i materiali di consumo, centinaia di studenti che si accalcano nei corridoi e nelle aule per sostenere gli esami, aule di informatica chiuse perché non ci sono fondi per pagare i “tutor” che dovrebbero tenerle aperte e aule che rimangono chiuse semplicemente perché non sono a norma, tanto per portare un esempio, questa è la situazione del 50 per cento delle aule di Medicina dell’università pubblica di Torino, mancano infatti i soldi per rimetterle a posto. Il governo ha tagliato persino i fondi per il diritto allo studio, quest’anno il segno meno vale 62 milioni di euro, tutti soldi che sarebbero serviti a mantenere agli studi gli studenti più meritevoli, ma socialmente sfavoriti. E già sono a rischio in Piemonte cinque mila borse di studio per il prossimo anno, cinque mila tra ragazze e ragazzi che rischiano di non laurearsi.

E LA RIFORMA Gelmini? Tante affermazioni di principio e di buoni intenti, ma come si dovranno realizzare concretamente ancora nessuno lo sa. Per entrare in vigore, infatti, la legge ha bisogno di ben 47 decreti attuativi.
Abbiamo provato a chiederlo direttamente al ministero e... non ci hanno neanche risposto, mentre tutto il mondo accademico è letteralmente terrorizzato dalla vera e propria valanga di regole, re-golette e provvedimenti che stanno per abbattersi sulla vita già difficile delle università pubbliche italiane. Una riforma a costo zero, una scatola vuota, che non ha avuto neanche il coraggio di chiudere le tante università inutili che pure sono sorte come funghi negli ultimi anni, altro che lotta ai “baroni” e appelli alla “meritocrazia”!
Eppure, come vi faremo vedere stasera, il nostro futuro, sta lì, dentro le università, tra i professori, i ricercatori e gli studenti che da mesi sono in mobilitazione, gli stessi che ieri a centinaia di migliaia hanno riempito tutte le piazze di Italia per difendere il bene comune, il diritto all’istruzione sancito dalla Costituzione.

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