08 giugno 2011

La ndrangheta in Piemonte

Operazione Minotauro in Piemonte da parte dei carabinieri:

‘Ndrangheta, maxi operazione in Piemonte: 142 arresti e sequestri per 70 milioni

I carabinieri di Torino stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di circa 150 affiliati alla ‘ndrangheta, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illegale di armi, trasferimento fraudolento di valori, usura, estorsione e altro. L’ordinanza è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino su richiesta della Dda della procura della Repubblica.

Circa 1.300 carabinieri sono impegnati nelle province di Torino, Milano, Modena e Reggio Calabria. Nell’ambito dell’operazione dalle prime ore della mattinata personale del Centro Operativo di Torino della Direzione Investigativa Antimafia, in collaborazione con i Centri Operativi di Milano e Genova, sta procedendo al sequestro di beni riconducibili a importanti esponenti della ‘ndrangheta in Piemonte, il cui valore è stimabile in diverse decine di milioni di euro. L’ammontare dei beni sequestrati e’ di circa 70 milioni di euro: più di 100 i Finanzieri impegnati per sequestrare 127 tra ville, appartamenti e terreni situati a Torino e provincia, in altre zone del Piemonte, Lombardia, Liguria e Calabria. Cautelate anche 10 aziende, più di 200 conti correnti e diverse cassette di sicurezza.

L’operazione si inserisce in una piu’ vasta attivita’ di contrasto alle ‘ndrine contestualmente svolta dal personale dell’Arma dei carabinieri di Torino.

[Il fatto quotidiano del 8 giugno]
Giusto un anno fa, partiva la maxi operazione con centinaia di arresti in Lombardia (per cui ora è iniziato il maxi processo alle ndrine al nord).

Aggiornamento:
Il livello politico:

Sono almeno sette i nomi di esponenti politici locali che, pur non figurando nell’elenco degli indagati, vengono infatti riportati nell’inchiesta. Tra questi, particolarmente rumoroso quello di Claudia Porchietto, assessore al Lavoro (in quota Pdl ) della giunta regionale di Cota. L’assessore regionale Porchietto (Pdl) è stata fotografata in via Vegli a Torino, nei pressi del Bar Italia di Giuseppe Catalano, nel periodo immediatamente precedente le elezioni provinciali del giugno 2009, mentre era candidata alla poltrona di Presidente della provincia. Nel bar, in altre occasioni utilizzato dalla ‘ndrangheta per le sue riunioni e di proprietà di Giuseppe Catalano (responsabile provinciale per Torino) Claudia Porchietto incontra, oltre al proprietario, anche Franco D’Onofrio, indicato come padrino del “Crimine” di Torino.

L’altro nome è quello di Caterina Ferrero, assessore alla Sanità della giunta Cota, sempre in quota Pdl, che solo qualche giorno fa ha rimesso le delege perché raggiunta da un avviso di garanzia per turbativa d’asta. Il nome della Ferrero emerge in due punti dell’inchiesta. Il primo fa riferimento ad un episodio relativo alle elezioni Regionali del 2005, in occasione delle quali l’architetto Vittorio Bartesaghi, indagato per concorso in tentata estorsione, si sarebbe fatto promotore della elezione della Ferrero in consiglio regionale presso Adolfo Crea (pluripregiudicato e indicato come responsabile del “Crimine” di Torino) promettendogli cospicui guadagni su lavori pubblici.

Il secondo punto interpella l’assessore per la sua prossimità con
Nevio Coral, imprenditore e politico di lungo corso a Leinì e nel canavese, suocero e supporter elettorale della Ferrero in Regione, accusato nell’inchiesta di concorso esterno in associazione mafiosa. Le carte riportano inoltre i nomi, non oggetto di indagine, di Paolo Mascheroni, sindaco di Castellamonte, che sarebbe stato eletto anche grazie al sostegno del sodalizio criminale; di Antonio Mungo, candidato al consiglio comunale di Borgaro (To) durante le consultazioni del 2009 e sostenuto secondo l’indagine da Benvenuto Praticò, indicato come appartenente al “Crimine”; e infine Fabrizio Bertot, candidato nel 2009 al Parlamento europeo e attualmente sindaco di Rivarolo Canavese, che avrebbe partecipato ad un incontro al Bar Veglia di Giuseppe Catalano con alcuni calabresi, indicati dagli inquirenti come esponenti della ‘ndrangheta, al fine di raccoglierne i consensi elettorali.

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