05 luglio 2011

La commissione parlamentare di inchiesta sull'informazione pubblica



A parlare di una commissione parlamentare di inchiesta sullo stato dell'informazione pubblica è stato ieri sera Bobo Craxi, intervistato su Rainews 24.

Intervista che seguiva un servizio sulla struttura delta, le persone dentro la Rai che condizionavano palinsesti e informazioni da mandare in onda per favorire lui, il presidente.

Affidare una commissione parlamentare il compito di capire come la politica ha condizionato l'informazione pubblica in Italia è rischioso: è come mettere la volpe a guardia del pollaio (chi presiederà la commisione, chi sceglierà i membri?).
Ma una cosa va chiarita: è inutile seguire la via giudiziaria per questi casi. Come per il caso Saccà, andrebbe tutto in fumo.
Esiste una legge che considera reato manomettere servizi, informazioni, raccontando un paese che non c'è?

Semmai si dovrebbe imputare a questi dirigenti Rai (un pezzo di servizio pubblico) il danno erariale, ma alla fine rischiamo di pagare sempre noi, come per il caso della nomina di Meocci.

Infine, un'ultima cosa: quello che si deve avitare ad ogni costo è il rischio di abituarsi a questa situazione, a questa Raiset che lavora non per il cittadino per per un cittadino solo.
Che si permette di perdere share, pubblicità (nonostante gli ascolti migliori di Mediaset), giornalisti con le spalle dritte.
Si ripete che in Italia non c'è regime: perchè c'è Santoro, c'è Floris, c'è la Gabanelli e Report.
Isole di informazione, in un palinsesto sempre più affollato di telefilm, fiction, reality.
Ma se in Italia non c'è un regime, come si spiegano quelle telefonate tra la Bergamini e Gorla?
Come si spiegano le telegonate tra Innocenzi, Masi, Berlusconi, Bisignani?

Rimane la rete internet, AGCOM permettendo.
E poi, lo Zimbabwe.

Nessun commento: