18 dicembre 2011

Il totem dell'articolo 18

Riformare il lavoro, magari senza far piangere o commuoversi: la prossima manovra del governo Monti e del ministro Fornero.
Perchè mica parliamo di deputati (che difendono i loro provilegi coi denti), di tassisti (guai a toccarli) o di farmacisti.
Parliamo di chi entra o vorrebbe entrare nel mondo del lavoro, e delle donne.

In un momento in cui in pochi assumono, c'è una emorragia dei posti di lavoro, in cui le aziende (e anche le banche) parlano di esuberi e di prepensionamenti, appare proprio una bella sfida, quella di far lavorare più a lungo le persone.
Nell'intervista al corriere il ministro parla dell'articolo 18, delle donne, della produttività, delle pensioni, delle morti bianche e del contratto unico, con tante flessibilità all'ingresso e , immagino anche alla fine della vita lavorativa. 

Ma con questa crisi, anche occupazionale, ha senso tenere le persone al lavoro, in prospettiva, fino a 70 anni?«Siamo tutti concentrati sulla contingenza, ma questa è una riforma strutturale. Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione. Il punto è: il lavoro è ciò che ti dà la pensione. Un buon lavoro ti dà una buona pensione. Il messaggio è: non vi stiamo tagliando la pensione - al netto del blocco della perequazione dovuto all'impegno al pareggio di bilancio nel 2013 - ma vi stiamo chiedendo di lavorare di più, perché questo vi premia».

 Lei crede che le imprese terranno le persone fino a 70 anni?
 «Qui tocchiamo una anomalia del nostro sistema. La previdenza è stata troppo spesso un ammortizzatore sociale, per cui tutte le riorganizzazioni d'impresa sfociano in prepensionamenti. Accade perché se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo. Da noi non è così e questo fa sì che le aziende risolvano il problema mandando i dipendenti più anziani e costosi in prepensionamento. Anche i lavoratori hanno la loro convenienza con la pensione anticipata. E lo Stato copre questo patto implicito tra aziende e lavoratori anziani a scapito dei giovani. Se vogliamo fare la riforma del ciclo di vita, è proprio per rompere questo patto: non ce lo possiamo più permettere».

 Ma come può il governo intervenire sulla dinamica retributiva, materia della contrattazione? Eppoi, gli stipendi sono già bassi...  
«La riforma delle pensioni deve accompagnarsi a quella del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali e, anche se non è di mia competenza, della formazione. Sono tutti aspetti di un disegno di riforma del ciclo di vita. Certo che la contrattazione è materia tra le parti. Ma noi vogliamo presentare ad esse le nostre analisi e spingerle non a ridurre i salari, ma a riflettere sulla necessità di avvicinarli il più possibile alla produttività».
 La trattativa sul mercato del lavoro comincerà entro il 31 dicembre? 
«Forse non ce la faremo, perché vorrei presentarmi alle parti con delle analisi approfondite sulle diverse questioni». 
 Sicuramente, tra queste, c'è quella giovanile, come ci ha ricordato ieri l'Istat: il 40% dei disoccupati ha meno di 30 anni e chi lavora, ha quasi sempre contratti precari. 
 «Giovani e donne sono i più penalizzati perché la via italiana alla flessibilità ha riguardato solo loro, risparmiando i lavoratori più anziani e garantiti. Sono rimasta molto colpita nel sentire i pensionati che si lamentano perché devono mantenere anche i nipoti. Questo è un ciclo perverso. Non è possibile che la pensione di un nonno debba mantenere dei giovani né che questi si adagino su una prospettiva di vita bassa». 
Come se ne esce? 
«Penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permetta ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma, io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto». 
I sindacati non ci stanno a toccare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. 
 «Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: "Non voglio vincere contro mia figlia". Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte». 
Monti ha detto che le nuove regole si applicheranno solo ai futuri assunti. 
«Certamente penso ci voglia maggiore gradualità nell'introduzione delle nuove regole rispetto a quanto abbiamo fatto sulle pensioni».

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