23 aprile 2012

Report – smarcamenti in campo


“La qualità della nostra vita sta peggiorando solo per la crisi o perchè stiamo sostenendo un sistema che non va più?”
Se la domanda della giornalista Gabanelli era retorica, non lo è la risposta: perchè la ricerca di un modello (economico, sociale e politico) diverso per l'uscita dalla crisi è un qualcosa che riguarda direttamente le nostre vite e quelle delle generazioni che seguiranno.
A meno di non voler accogliere tutti i sacrifici con spirito “cristiano”, in attesa di tempi migliori che non è detto che arrivino, è giusto porsi una domanda: non è che l'Europa, l'Italia, questo governo (e il passato) hanno sbagliato ricetta?

Nel mondo, la domanda se la sono fatta in tanti e a dispetto dei signori economisti, banchieri, professori, giornalisti presunti esperti, hanno anche iniziato a fare. Di questo ha parlato il servizio di Michele Buono "smarcamenti in campo" (qui il pdf della puntata).
Negli Stati Uniti per esempio, oltre alle proteste di piazza, la gente ha iniziato a ritirare i propri soldi dalle banche che fanno speculazione, per metterli nelle Credit Unit (ad oggi 46 miliardi di dollari spostati): così si ferma il monopolio di questi mostri finanziari che hanno smesso di essere banche.

In Austria e in Baviera si sono inventati la “banca democratica” che non fa speculazioni ma investe nel lavoro e nelle persone, perchè “il denaro è un mezzo” e non un fine, e nemmeno un Dio.

In Francia a Nantes hanno tolto di mezzo la moneta, imprese e banche compenseranno i crediti con un conto virtuale.

A Capannori, a Lucca, sindaci e assessori decidono assieme ai cittadini le opere del comune, ovvero il bene comune di tutti.

Un altro modello si sta sviluppando e ha preso piede: un modello di cogestione delle imprese, dove questa è parte della comunità. Niente delocalizzazione, niente super stipendi per manager che puntano solo al profitto a breve termine. Riusciranno a cambiare le cose? Forse a breve termine rideranno in molti, ma d'altronde non è detta l'ultima parola. Non è vero che la BCE aveva garantito per le nostre banche? 

Fuori dal mondo c'è gente che rimette al centro la persona: come in Argentina: 10 anni fa la crisi, dunque la solita ricetta. Austerità, speculazioni e ai cittadini fu detto che bisognava fare altri sacrifici ma la gente non accettò.
Dopo le proteste il presidente se ne scappò (con un elicottero) e il successivo che venne eletto non accettò la ricetta neoliberista americana.
Le imprese furono assegnate ai lavoratori: si dicevano che queste erano decotte che bisognava chiuderle e invece oggi sono ancora qui.

Perché una cosa si deve imparare in economia: chè non è vero che le crisi, le speculazioni e le tempeste finanziarie sono nell'ordine naturale delle cose.
Sono invece il frutto di precise politiche finanziare di enti che si ritengono al disopra delle regole.
Come Deutsche Bank che nel 2011 iniziò a vendere i titoli pubblici italiani, facendoli deprezzare.Così l'Italia dovette pagare interessi più alti.
Ma la banca guadagno anche grazie ai CDS (credit default swap) sui nostri titoli, che aumentarono di valore per la nostra crisi. Una plusvalenza su una speculazione bella e buona: è questa l'economia giusta, naturale? Una nazione democratica che deve tagliare la spesa sociale perchè una banca deve specularci sopra?

La liquidità dei mercati.
Come per la crisi americana del 2008, anche la BCE nel 2011 ha concesso qualche centinaia di miliardi alle banche europee (un centinaio a quelle italiane) per affrontare la crisi (nonostante gli stress test dellaEBA ..): ma oggi le banche stanno usando quei soldi (nostri) in sostituzione dei titoli italiani o nei titoli sovrani.
Il gioco ha fatto abbassare lo spread a breve termine, per questi acquisti di titoli, ma alle imprese non è arrivato un euro. Hanno preferito investire a basso rischio, col risultato che l'economia italiana è rimasta al palo e la bolla (per questa immissione di liquidità) è comunque destinata a scoppiare. Siccome le banche italiane, pure in crisi, non possono fallire, serviràaltra liquidità (fin che c'è né) e il gioco andrà avanti.

Il 2 marzo 2012 l'Europa ha varato il patto fiscale degli stati che impone il pareggio di bilancio che deve essere pure inserito nella Costituzione.
L'Italia, come per la riforma delle pensioni e sull'articolo 18, ha deciso di fare la prima della classe (mica parliamo di corruzione ed evasione): per la prima volta si è inserito in Costituzione una norma internazionale, ratificata da tecnici (non votati dai cittadini), senza una vera discussione.
Con questa norma gli Stati non potranno fare politiche in debito, per rilanciare la loro economia, per il welfare. Significa lo smantellamento dello stato sociale: sanità, cure per i più deboli, istruzione. In questi settori entreranno i privati e lo Stato, così come lo abbiamo conosciuto, che perderà la funzione di regolamentazione finanziaria ed economica nel paese.
Poichè il privato non avrà alcun interesse a tenere attiva la linea di bus verso la periferia, come i treni regionali dei pendolari (solo l'alta velocità che fa tanto moderno).

Come si è arrivato a questo?
Tecnocrazia è un termine che risale agli anni '70, con la nascita della Commissione Trilaterale, di Rockfeller: un parlamento globale di non eletti che decise che la democrazia, con i suoi lacci e laccioli, bloccava l'economia. Dunque meno democrazia, meno potere ai parlamenti e più potere ai governi.
In un mondo connesso a livello globale, non si capisce più a chi rispondono i governi locali: ai mercati, alle banche, al Dio denaro?

Piano piano si sono tolte le regole al mercato: nel 1999 Clinton eliminò il GlassSteagel Act, e da allora le banche poterono prendere i nostri risparmi e farci speculazione (nessuna separazione tra banche d'affari e private).
Oggi, Grecia e Italia sono governate da esponenti della Trilateral: non è un complotto, contro i paesi. Ma dobbiamo chiederci quali criterio e quali visione abbiano i nostri tecnocrati.
Che comunque non è la sola visione del mondo e dell'economia possibile.

Franz Bauman è un imprenditore bavarese che ha deciso di non andare in banca, per non perdere il controllo della sua azienda. Azienda che è rimasta florida, reinveste i profitti tra i lavoratori e nell'impresa.
Qui viene usato il “Bilancio del bene comune”: il bilancio è calcolato in base alla cura dell'ambiente, alle condizioni del lavoro.
Più punti significa anche più vantaggi per la clientela, che è più invogliata a prendere prodotti da una azienda che fa bene comune.
E anche la politica dovrebbe interessarsi a questo modello, che produce del bene che si riflette sul territorio.

Christian Felber è un saggista che si è inventato questo modello, oggi adottato da 500 aziende in 13 stati: sono poche, è vero, ma il tutto è nato in un anno e mezzo.
A Bolzano, il signor Engl produce stampi con la sua azienda: qui la produttività è fatta facendo lavorare le macchine di notte, non le persone.
L'impresa è concepita come “ospite della comunità”: e allora si creano relazioni con essa e non l'abbandoni con le delocalizzazioni.
Perché queste danno un profitto a breve termine, ma alla lunga creano un sistema staccato dalla società.
E allora serve un altro modello di banca.

La Banca democratica: i clienti della banca sono liberi di accettare o meno gli interessi sul credito e la moneta non deve creare denaro per fare altro denaro, altrimenti si creano problemi di accesso al credito da parte delle imprese.

A Nantes l'amministrazione vuole abolire il denaro, in favore di un circuito che lega imprese banche e comune per gestire crediti e debiti: in questo progetto c'è dentro anche un professore della Bocconi (chissà se in Italia?) : niente denaro, niente inflazione, niente problemi di restrizione del credito. Gli scambi finanziari sono gestiti automaticamente in modo immediato tramite un software: in questo modo si toglie di mezzo il costo del denaro.

Non è una soluzione originale: negli anni '50 nell'Europa che si stava rimettendo in piedi dopo la guerra, venne istituita “l'Unione Europea dei pagamenti”. La finanza per il mercato, non la finanza per la finanza e il benessere lo conquisti lavorando e non speculando su chi lavora.

In Italia, a Capannori, il nuovo modello lo hanno portato avanti nella gestione delle opere del comune.
L'amministrazione ha i conti in ordine e le somme accantonate permettono di fare investimenti.
Ai cittadini, o meglio ad un campione di cittadini che sono stati messi in condizione di leggere un bilancio, è chiesto dove investire .
Il 50% delle spese correnti sono per il welfare: la spesa sociale è stata rafforzata per prevenire i bisogni dei cittadini.
Niente discarica ma un centro di riuso che ricicla i beni non più usati: una cooperativa si preoccupa di rimetterli in ordine, affinchè si possano scambiare.
Una cooperativa comunale si preoccupa di dare assistenza ale persone senza alloggio.
Non si consuma il territorio, non si fa cassa col cemento, ma il comune incentiva i lavori di riqualificazione degli edifici, e per chi usa tecniche di risparmio energetico.
Raccolta dei rifiuti all'80%.
E i soldi accantonati? Si è deciso di darli alla scuola pubblica, il bene comune, appunto.
Altri comune stanno portando avanti politiche analoghe: c'è un comune di Baviera, Wildpoldsried, che ha investito nelle energie rinnovabili (anzichè tagliare i bilanci per diminuire il debito). Auto elettriche, produzione decentralizzata dell'energia (dal fotovoltaico e dall'eolico) che quando è in surplus viene immessa nella rete per alimentare le auto. Una centrale gestisce questi flussi energetici.
Tutto questo ha un costo per gli investimenti: ma si guadagna, a lungo termine per le minori emissioni di Co2 e per l'indipendenza dal petrolio.

A St. Paul, in Minnesota c'è la Bremer Bank.
I dividendi della banca anziché finire ai top manager finiscono alla fondazione Bremer, che li gira al territorio alle imprese.
Il 92% dei dividendi finisce alla comunità, le persone stanno bene e allora versano soldi alla banca che li reinveste nel territorio. Si chiama economia.

A New York, le industrie tessili che una volta erano la seconda industria del paese, oggi sono in crisi, per delocalizzazione. Un processo iniziato negli anni '80- '90 appunto con le politiche che favorirono le delocalizzazioni, perchè finanziarizzazione delle imprese e delocalizzazioni vanno assieme.

Milena Gabanelli
É andata bene per un bel po’ e adesso che non ce n’è più per tutti. Il tessile era la seconda industria americana e la nostra prima industria. E non è un genere che è passato di moda. La popolazione aumenta e tutti hanno bisogno di vestirsi, ma è diventato più conveniente andare a produrre da un’altra parte. Se la logica è questa, quando il paese povero crescerà e i lavoratori giustamente pretenderanno di farsi le ferie pagate e la malattia, si cercherà un altro paese messo peggio e via così. Costruendo un’economia sulla delocalizzazione, si fa terra bruciata perché oggi ci sei, domani no, cosa te ne frega di quel che lasci per terra? In sostanza: i pezzi non andranno mai a posto finché al centro dell’economia non ci si mette la persona.

In Argentina non hanno voluto accettare questo modello.
La gente si è assegnata le case, hanno riaperto le imprese, si sono uniti in cooperative. I lavoratori hanno studiato, per essere poi in gradi di gestire una impresa (anche se non sei della Bocconi..).
E sono riusciti a recuperare il lavoro, anche grazie alla comunità: gli utili sono stati reinvestiti sul territorio in scuole e strutture sportive.
Il profitto è necessario, per andare avanti, ma non il fine. Dunque redistribuzione del reddito, stimolo all'economia e non ai mercati. Un altro modello economico.

MILENA GABANELLI STUDIO
Se l’Argentina ha rialzato la testa non è solo per le fabbriche recuperate. Ma è anche e soprattutto scattata nella popolazione una consapevolezza che ha portato all’elezione di presidenti in grado di ricreare le condizioni di lavoro. Queste 250 imprese si sono riaperte in modo spontaneo, senza bisogno di seguire nessun sindacato, o partito. E non è l’autogestione che conosciamo anche noi: quella che nasce e muore dentro al perimetro di un’azienda. Quella coinvolge tutta la comunità che gli sta intorno. Certo, noi abbiamo mostrato delle luci e sicuramente ci saranno anche delle ombre, ma
puntando sulla ricostruzione del mercato interno, lo Stato, in qualche modo, diventa regolatore della cosa pubblica. E la disoccupazione è passata dal 25% al 10 e l’inflazione è rientrata.

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