12 dicembre 2012

Antonio Ingroia, io so

Il lungo libro intervista di Antonio Ingroia (con Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco) è qualcosa di più del racconto dell'indagine sulla trattativa Stato Mafia. E' anche un racconto della vita di un magistrato che si ritiene "partigiano della Costituzione" e non si vergogna di dirlo: partigiano e Costituzione due parole che, in questi anni di berlusconismo, anche senza Berlusconi, sono quasi diventati due insulti. Partigiani come quelli che, prima del 25 aprile, decisero che lottare per la libertà e sacrificare la vita era la cosa giusta da fare. E la Costituzione è il frutto di queste lotte: la Costituzione che sancisce i diritti dei cittadini, la divisione dei poteri su cui si poggia il nostro Stato.

Ingroia rivendica, a differenza di altri colleghi, il diritto (e quasi il dovere) di poter esprimere le sue opinioni laddove, ad esempio, il Parlamento (o una sua maggioranza) partorisce una legge anti costituzionale. Contro cioè quei diritti e quei principi che ci rendono tutti cittadini di uno stesso stato. Italia.

"Il magistrato dev'essere indipendente rispetto agli altri poteri, autonomo e imparziale, perché esercita il controllo della legalità, ma non dev'essere neutrale."
Quando anche la Corte Costituzionale, nel conflitto sollevato dal Quirinale (per le intercettazioni di Nicola Mancino fatte dai magistrati di Palermo), ha dato ragione al capo dello Stato usando una norma che con l'eposodio contestato c'entra poco. Senza dover colmare un vuoto legislativo che comunque esiste.
La ragion di stato, che è stata citata spesso per giustificare certi comportamenti (come quegli ufficiali dei carabinieri che hanno ritenuto di dover scendere a patti con la mafia dopo le bombe di Capaci e via D'Amelio): ma intendiamoci, possiamo accettare in uno stato di diritto (dove cioè esistono delle leggi e dei paletti nell'azione dei corpi dello Stato), che questa ragione di stato nasconda a noi cittadini la verità su cosa è successo?
La strage di Portella della Ginestra.
La bomba alla Banca dell'Agricoltura.
Le stragi di mafia (solo della mafia?) del periodo 1992-93. Quando cioè, siamo stati ad un passo da un golpe.

Si chiede il magistrato:

"Un'azione criminale diventa legittima solo perché eseguita nell'interesse dello Stato? E chi può legittimare una tale azione? Chi ci difende come cittadini dall'abuso della ragion di Stato (soprattutto se questa viene coperta dal segreto)?"
No, come cittadini, non vogliamo zone oscure nello Stato. E l'inchiesta di Palermo, che lo stesso Stato, in alcune sue parti, sembra non volere, ha proprio questo obiettivo.

Capire cioè se ci sono stati comportamenti penali nei comportamenti di politici, vertici della Repubblica e delle forze dell'ordine: perché la trattativa, come viene chiamata, può essere accettata solo in uno stato di guerra dichiarata. Quello che, dalle carte, dalle rivelazioni, da quanto sta emergendo piano piano, è un arretramento dello Stato, nei confronti della mafia.

Anzi, viene da chiedersi se mai c'è stata, una vera guerra alla mafia. La stessa mafia che, sempre dagli stessi uomini di stato, i politici di Roma e della Sicilia, veniva negata. Presunta mafia, come oggi si dice presunta trattativa.
Lo stato si accorge dell'emergenza mafiosa solo con l'omicidio Lima: la vendetta di cosa nostra dopo la sentenza della Cassazione nel mazi processo.

"La legislazione cosiddetta 'di emergenza' non è un'emergenza per tutelare la quiete pubblica, ma per tutelare la classe dirigente che solo nel momento in cui si sente direttamente minacciata è pronta a reagire per legittima difesa. Altro che antagonismo dello Stato nei confronti della mafia."
E anche:
"Il vero cataclisma per la classe politica è stato l'omicidio Lima. Le minacce di golpe infatti arrivano dopo l'omicidio Lima, non dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio. Questo ci fa capire molto dello spirito della politica antimafia in Italia e direi persino dell'essenza del potere mafioso."
Secondo la ricostruzione di Ingroia è in questa fase, e non dopo la strage di via D'Amelio, che la politica si mette in moto: esiste una black list di politici da far fuori (tra cui anche l'ex ministro Mannino). E cosa si può fare allora, per trovare un accordo con questi mafiosi?
Non c'è solo Cosa Nostra: il crollo del muro di Berlino e l'inchiesta di Milano ("Mani pulite") stavano picconando tutta la classe dirigente del paese, tutti i grandi partiti. La DC in particolare.
Anche altri poteri criminali erano attenti osservatori della situazione politica: massoneria deviata, estrema destra, forze separatiste.
Cosa succede poi? Anzichè i politici, a morire sono due magistrati (e le rispettive scorte). Due stragi mediaticamente forti (Falcone poteva essere ucciso a Roma, e la morte di Borsellino sorprende perché segue a pochi giorni la prima). Cosa stava scoprendo Falcone a Roma?
E Borsellino fu ucciso perché ritenuto di ostacolo per la trattativa?

Nei mesi successivi si registrano altri episodi poco chiari: il papello, un ministro della giustizia che decide di togliere il 41 bis ad un centinaio di mafiosi, uomini ritenuti più "morbidi" vengono chiamati al Dap (per gestire i detenuti in carcere). Le bombe della primavera del 1993. A Firenze, Milano e Roma.
La notte in Ciampì arrivoò a temere per un colpo di Stato.
E nel novembre 1993, il ministro Conso, in solitudine, non proroga il 41 bis a 334 mafiosi.
Che segnale sarà arrivato a Cosa Nostra? Un segnale distensivo?

Nella seconda parte della trattativa, il ruolo di "cerniera" passa (o i magistrati ritengono che sia passato) da don Vito Ciancimino a Marcello Dell'Utri.
E' in quegli anni che nasce l'idea del partito azienda, in seno a Publitalia. Si tratta dell'operazione Botticelli di cui ha parlato l'ex manager Ezio Cartotto.
Dell'Utri è uomo legato alla mafia da tempo: la sentenza della Cassazione lo definisce l'uomo che tratta per Berlusconi con la mafia, per difenderlo da ricatti e minacce.
E' un caso che nel 1994 si fermano le bombe (perché l'ala oltranzista di cosa nostra è messa in minoranza dall'ala di Provenzano, incline a trovare un accordo con lo stato) e i Graviano vengono arrestati (come Riina ad inizio 1993), prima delle elezioni che sanciranno la nascita della Seconda Repubblica?

E' un caso il depistaggio di stato messo in atto per l'omicidio Borsellino: il falso pentito Scarantino, i mafiosi sbagliati finiti in carcere con sentenza definitiva?
Sono un caso anche le leggi venute in seguito che hanno smontato, piano piano, tutta l'opera fatta in quei pochi mesi di vera emergenza antimafia?
Dal decreto Biondi, alla chiusura del supercarcere di Pianosa, alla legge dei pentiti (partorita dal centrosinistra con maggioranza bulgara)?
E' questo il frutto avvelenato del patto stato mafia?
Mafia che, secondo alcuni pentiti, proprio al nord, ad un certo imprenditore, avrebbe fatto affidamento?

L'Italia è il paese dei ricatti, ci ricorda Ingroia. I ricatti e i misteri che circondano le origini dei soldi di Berlusconi. Gli accordi sottobanco di cui parlò Violante alla Camera nel 2002.
Un paese in cui la politica è diventata una questione di interessi privati, di corruzione, e non più un lavoro per i beni comuni di tutti i cittadini.
Un paese che ha lasciato oggi gravi strascichi: ci si è assuefatti alla legge del più forte, al fatto che chi sta sopra, chi è potente, può permettersi il non rispetto della legge.
Il giornalista deve essere solo un portavoce sterile delle dichiarazioni del politico. Chi fa domande scomode, con la schiena dritta, è una mosca bianca.
Il magistrato che si permette di esprimere opinioni diventa eversivo, un nemico da abbattere, da attaccare.

Il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale ha messo in evidenza tutto quanto abbiamo appena detto: che questo sia stato fatto da un presidente "di centrosinistra", con l'appoggio di giornali ritenuti di area progressista (Repubblica), fa capire quanto il problema sia perfettamente bipartisan.
La soggezione all'establishment, a chi sta al potere.

L'intervista si conclude con un invito ai giovani:

"Vorrei dire ai giovani che è fondamentale recuperare la memoria della storia italiana, al di là di questo ventennio. Vorrei dire loro che devono assolutamente provare a ricominciare dal patrimonio, andato in parte disperso in quel ’92, con lo stragismo... per costruire un futuro di legalità. L’Italia migliore è lì, in quel pezzo di storia che le stragi hanno tentato di cancellare. Da lì, da quel patrimonio etico e morale, bisogna ricominciare.” a pagina 132
Infine, dopo aver spiegato che al momento non intende scendere in politica, l'autore cita Pasolini, per riferirsi alla strage di via D'Amelio: "io so che lo stato ha avuto una responsabilità nella morte di Paolo Borsellino, e non mi riferisco soltanto a una responsabilità morale ed etica".

Ed è lo stesso Stato di cui tutti noi facciamo parte.

La scheda del libro su Chiarelettere.
Il primo capitolo.
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