20 ottobre 2013

Notti e nebbie di Carlo Castellaneta

«Per il personaggio del funzionario, io mi ispirai come carattere a mio padre, ma come pulsioni istintuali (anelito alla sopraffazione, spinte sadomasochistiche) si rifanno a quelle che io per primo avverto dentro di me negativamente, e che non sono solo un'eredità dell'epoca fascista, ma una componente eterna dell'uomo».
(dall'intervista rilasciata a C. Lovati e apparsa sul Giornale di Bergamo del 17/X/1978)
Gli ultimi giorni della repubblica di Salò, a Milano tra il 1944 e l'aprile del 1945, visti e narrati in prima persona dal funzionario di polizia protagonista di questo romanzo, crudo e feroce, caratterizzato da periodi lunghissimi, articolati, che mescolano le riflessioni personali e il susseguirsi dei fatti.

Un commissario di polizia, poi promosso a capo della squadra politica, archetipo del fascista della prima ora, convinto servitore del partito.
Questo poliziotto senza nome è testimone, in quegli ultimi anni del regime, dello sfascio delle istituzioni, del tradimento e del cambio di casacca di molti italiani. Anche da parte di esponenti del partito, fascisti con la camicia nera prima, ed esuli con le loro fortune in Svizzera poi.
Ma assiste anche alla violenza con cui vengono perseguiti i nemici della repubblica e del partito: i partigiani che finiscono nelle mani di gruppi di torturatori, come la banda del suo amico conte Casella, una delle mille polizie semi ufficiali del regime (oltre alla Muti, le SS italiane, la Guardia Nazionale) che godeva della carta bianca del regime per torturare partigiani e sovversivi, depredare i malcapitati che finivano nelle loro mani e mettere da parte un bottino per un domani.

I suoi occhi feroci osservano una Milano devastata dalle bombe, invasa dalle macerie di una guerra il cui fronte si avvicina pericolosamente sempre di più e dove la guerriglia dei partigiani si fa ogni giorno più coraggiosa.

Nemmeno la sconfitta imminente incrinano il suo ideale fascista, da fascista della prima ora, fedele a quel regime che nella sua idealità distorta, aveva riportato l'Italia ai lustri dell'epoca gloriosa che fu.
"Ogni volta, questo tragitto in treno fino a Erba, mi mette di malumore: i discorsi che mi tocca ascoltare mi lasciano depresso, la lentezza del convoglio da una stazione all'altra, i musi lunghi dei passeggeri, come se la guerra non fosse una necessità ma un castigo, la voglia che è in tutti di finirla comunque, a qualsiasi costo senza riguardo alla dignità o all'onore, mi chiedo se davvero siamo uno stesso popolo o non piuttosto un'accozzaglia di famiglie dove solo l'astuzia è legge comune, e di dove venga questa smania di abiezione, la prontezza che vedo in ognuno a vendersi, a tradire, a considerare l'interesse materiale come il solo segno di rispetto, un popolo di piccoli bottegai imbarcato in un'avventura più grande di lui, capace di rispettare soltanto l'uso della forza".
La vergogna per il tradimento degli italiani, ma anche il piacere quasi sadico per la violenza, per la caccia all'uomo, per l'annichilimento dei partigiani e dei sovversivi, a cui arriva anche grazie alle soffiate delle sue informatrici.
Come Noemi, una prostituta del casino di via Carpoforo, che è innamorata di lui ma non ricambiata. Perché un altro aspetto di questo poliziotto è l'ossessione per le donne, che man mano che l'ora della fine si avvicina, prende una piega sempre più degradante e violenta.

Pur se sposato, con la famiglia mandata al sicuro nell'erbese (vicino Como), è ancora ossessionato da Magda, una indossatrice che l'ha mollato per mettersi assieme ad un pezzo grosso del partito. Su cui inizia a preparare un dossier: “non avevo mai fatto il suo nome con lei ma sapevo che Bottarini si era fatto avanti più volte, un verme che le relazioni personali e la piaggeria hanno portato in alto nel Partito, uomo a cui una donna come lei serviva soprattutto come segno del suo prestigio”.

Col passare dei mesi, comunque parte delle sue verità iniziano ad incrinarsi: il disgusto per l'uso della violenza

mentre il biondino la sta forzando, mentre lei morde il lenzuolo, ho sentito che barcollavo travolto dalla violenza che io stesso avevo scatenato, una vampata che saliva dalle budella, uno schifo e un piacere intollerabili a vederle scorrere sulla faccia lacrime di dolore e vergogna”
Si ricrede sul rapporto coi tedeschi, che considerano gli italiani solo subalterni e sugli italiani stessi:


mi chiedo come ha potuto questo popolo marciare per vent'anni ordinato e pacifico, senza domandarsi dove andava, questo é stato il vero miracolo del fascismo, d'aver trasformato milioni di servi in liberti, rispettati da tutti, ma la nostalgia della servitù é così radicata nell'uomo da indurlo a rimpiangere suo malgrado quella condizione”.


Il voltafaccia della Chiesa:

sono stati con noi fino a ieri, preti e monsignori, hanno auspicato la vittoria, benedetto i nostri gagliardetti, e oggi si preparano a cambiare cavallo”.
L'insurrezione lo coglierà quasi di sorpresa, in una Milano dove tutte le camice nere sono scappate assieme al duce nel tragico tentativo del ridotto alpino.
Sa che inizierà una caccia all'uomo, ma nonostante questo passa le ultime notti assieme a Magda per dare sfogo alle sue ossessioni. Ma nonostante questo cercherà fino alla fine di tenere assieme l'ordine a Milano, almeno secondo i suoi principi: costringe un anziano operaio a pulire il suo sputo, per strada, che questi aveva fatto per dispregio dopo il passaggio di un plotone di della Guardia Repubblica.

un vecchio con la bicicletta era fermo sul bordo del marciapiede, l'ultimo gagliardetto stava sfilando e l'ho visto sputare davanti a sè, sfrontatamente, il tempo di rendermene conto e gli sono piombato alle spalle, lo afferro per il bavero del giacchettone. «Adesso pulisci dove hai sputato, pezzo di merda».

Mi guarda imbambolato, baffi grigi e faccia macilenta, un fattorino, forse un operaio in pensione.
[..]
con gente simile è inutile mostrarsi magnanimi, abbiamo recuperato la classe operaia solo durante gli anni del trionfo, adesso siamo di nuovo all'epoca di Matteotti, ci sfidano con gli scioperi, con le armi nascoste nei sotterranei delle fabbriche, anche qui abbiamo sbagliato, non si doveva allentare il morso”

L'ultimo emblematico atto di un regime, forte coi deboli, con le prostitute, forte della sua sola violenza.

Il cinico finale, lasciato volutamente aperto dell'autore, per dirci che tutto il marcio di Salò è in realtà un marcio che è dentro noi italiani, una colpa e un peccato originale che ci portiamo dentro: che di questo fascismo (violento, arrogante, vigliacco coi forti e coi vincitori) la nuova Repubblica ne avrà ancora bisogno:


"Siamo stati travolti, eppure qualcosa mi dice che non é finita, che la nostra idea, la nostra natura continuerà  a sopravvivere. Perchè i vincitori, i nuovi padroni presto avranno bisogno di me. Finchè l'uomo sarà  fatto della stessa merda. Conto su di voi".



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