26 marzo 2014

L'aiutino alla presunta

L'articolo di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza a commento della puntata di Presa diretta "Matteo Messina Denaro"
D’Ambrosio e l’ “aiutino” alla trattativa

 Loris D’Ambrosio era a conoscenza delle manovre per la dissociazione dei boss mafiosi ed era contrarissimo. Fu lui uno dei primi a segnalarne l’esistenza’’. Lo rivela, a sorpresa, l’ex pm di Palermo Alfonso Sabella che lunedì sera, nell’intervista a Presadiretta , ha raccontato come nel maggio 2000, dalla sua scrivania di capo di gabinetto del ministero della Giustizia, Loris D’Ambrosio (futuro consigliere giuridico di Napolitano) è il primo a informare il Dap delle operazioni avviate nei penitenziari per promuovere la dissociazione dei detenuti al 41-bis. L’informazione è contenuta in una lettera, ufficialmente firmata dal Guardasigilli Piero Fassino, ministro del governo Amato, ma in realtà scritta proprio dal suo capo di gabinetto (“se non ricordo male, il documento riportava in calce addirittura la sigla di Loris”, ricorda Sabella), il magistrato che 12 anni dopo, nel ruolo di spin-doctor del Quirinale, sarebbe finito al centro delle intercettazioni telefoniche che hanno svelato il tentativo di interferenza del Colle nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia.

   La rivelazione di Sabella getta nuova luce sulla consapevolezza che nel tempo D’Ambrosio (scomparso per attacco cardiaco il 26 luglio 2012) può aver acquisito su alcuni passaggi del dialogo sotterraneo tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra. Consapevolezze che potrebbero aver contribuito a provocare in lui quel timore “di esser stato considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo di indicibili accordi”, tra l’89 e il ‘93: preoccupazione manifestata in una lettera scritta a Napolitano un mese prima di morire. Ma cosa sapeva D’Ambrosio? Nella lettera indirizzata nel maggio 2000 a Gian Carlo Caselli, all’epoca capo del Dap, Fassino chiede un parere sui colloqui investigativi intrattenuti dall’allora Pna Pier Luigi Vigna con i boss detenuti Pietro Aglieri, Piddu Madonia, Salvatore Buscemi e Giuseppe Farinella, disponibili a dissociarsi da Cosa Nostra: pronti, cioè, ad ammettere le loro responsabilità, senza però accusare nessuno. Aglieri, però, chiede di incontrare altri 4 boss: Nitto Santapaola, Salvo Madonia, Carlo Greco e Pippo Calò, disposti a dissociarsi. Sabella, all’epoca capo dell’ufficio ispettivo del Dap, legge la lettera e ricorda una vecchia intercettazione di Carlo Greco che il 18 luglio 1996 diceva al cognato Salvatore Adelfio: “Ancora non l’hanno messa questa legge della dissociazione, ma appena entrerà in atto… saranno pochi quelli che fra pentito e dissociato faranno il pentito’’.

   Caselli e Sabella si oppongono all’incontro tra i boss in carcere. “Fassino sposò la nostra linea – dice Sabella – e la comunicò a Vigna”. Ma nel marzo 2001 al vertice del Dap arriva Gianni Tinebra. L’11 giugno Roberto Castelli è il nuovo ministro della Giustizia. In ottobre, Marzia Sabella, pm a Palermo, comunica al fratello Alfonso che il mafioso Salvatore Biondino, detenuto al 41-bis a Rebibbia, chiede di far lo “scopino”, ruolo umiliante per un boss, ma che gli darebbe libero accesso alle celle degli ideologi della dissociazione. Il 3 dicembre Alfonso Sabella stila una relazione, suggerendo di allertare la polizia penitenziaria. Due giorni dopo, Tinebra sopprime il suo ufficio e gli revoca ogni incarico. Tinebra aveva definito all’Ansa la proposta di dissociazione di Calò “veramente interessante ”.

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