11 marzo 2014

Presa diretta: la mafia della carne

A Presa diretta, dopo l'olio, la carne di maiale per insaccati (con il servizio di Liza Boschin): a parlare di "mafia della carne" è il sindacalista della NGG, che tutela i lavoratori agricoli in Germania. La Germania è uno dei più grandi esportatori di maiale, grazie agli allevamenti industriali nel nord del paese.
Allevamenti dove le bestie crescono in spazi angusti, senza poetrsi muovere e con il sospetto che vengano somministrati loro antibiotici e ormoni. Con qualche effetto collaterale sulla nostra salute che i medici del centro epidemiologico di Hannover confessano di aver ignorato.

La Germania, grazie a questa industria, ha schiacciato la concorrenza straniera, perché riesce a produrre a prezzi bassissimi.
Ma ha schiacciato anche i piccoli allevatori tedechi.
Il 70% dei prosciutti che consumiamo arriva dall'estero (Germania, Danimarca..): dalla Germania importiamo 46 milioni di cosce di maiale.
Solo in Sassonia ci sono 8 milioni di maiali, quasi più delle persone. Il giro d'affari attorno a queste "città della carne" è enorme, circa 1,3 miliardi di euro.
Città dove è difficile entrare: forse perché le telecamere andrebbero a inquadrare la questione della manodopera inpiegata nell'allevamento.
Le grandi imprese, con la loro forza, stanno licenziando tutti i dipendenti, per assumere personale straniero (per lo più rumeno o polacco) che è assunto tramite società terze.
Non solo i maiali sono allevati male, ma anche le persone lungo la catena di produzione sono pagate male e costrette a lavorare per turni lunghissimi.

E' questa la "mafia della carne" cui si riferiva il sindacalista: il capolarato che controlla e schiavizza i lavoratori stranieri, che non sono protetti in alcun modo. Persone invisibili, che vivono tutti stipati in case affittate dai caporali.

Gli allevatori tedeschi stanno portando avanti una battaglia, sia per tutelare la qualità del prodotto, sia per la difesa delle tutele nel lavoro.

Anche in Italia la situazione non è favorevole agli allevatori, costretti ad accettare prezzi che ritengono troppo bassi, dalle grandi aziende di trasformazione.
Aziende che comprano la coscia di maiale dai paesi stranieri come la Germania, perché costa di meno rispetto al maiale allevato in Italia (come abbiamo detto prima, per la grande meccanizzazione dell'industria).
Ma non solo c'è il problema del prosciutto che diventa made in Italy solo se viene stagionato in Italia.
C'è anche questa deregolamentazione nel mondo del lavoro, che va di pari passo col rischio di sofisticazione.
Come in Germania, iniziano ad esternalizzare a cooperative esterne il lavoro di macellazione.
Perché se sei precario (e chi lavora in cooperative lo è perché può essere licenziato in ogni momento), accetti anche di fare qualche lavoro fuori norma.
Come i prosciutti sbollati, che arrivano in azienda col marchio danese e ne escono col bollo di "prosciutto di Parma".

Presa diretta ha raccontato un caso di contraffazione del marchio di un'azienda modenese, in cui parte dei reati contestati, sono finiti in prescrizione.
20 cooperative a Modena sono state chiuse dalla finanza, perché false coop (i dipendenti non erano soci di nulla): il rischio che corriamo come consumatori è lo stesso per l'olio sofisticato, ovvero mangiare cibo di cui non si conosce la provenienza e che non ha subito alcun controllo.

Purtroppo il meccanismo dei contributi europei premia i più grandi ma non la qualità: sono soldi a pioggia che vanno proprio a quanti ne avrebbero meno bisogno.
Così a rischio non è solo la nostra salute, ma anche un pezzo della nostra industria, quella che le norme le rispetta.
Abbiamo perso 33000 aziende agricole in Italia in questi anni: è il fallimento delle politiche agricole europee ed italiane. 3 stalle su 4, nel distretto emiliano, hanno chiuso i battenti.
Altro che difesa del made in Italy: è la difesa del potere della lobby delle grandi aziende alimentari.

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