09 novembre 2014

Il sonno della cicala, di Roberta Gallego

Incipit
Malachia Duprè se ne stava sprofondato nella sua poltrona di vimini, che aveva perso la sua forma originaria negli anni trascorsi ad accogliere la sua stanchezza, circondato dai suoi nipoti.Sotto il pergolato di uva americana i bambini ascoltavano assorti il silenzio che seguiva le parole del grande vecchio, rimuginando ciascuno per sé sulla storia appena sentita.

Il terzo romanzo ambientato nella procura imperfetta di Ardese è una complessa inchiesta sulla morte di Malachia Duprè, vecchio patriarca di una famiglia blasonata di produttori di vino.
Rispetto ai precedenti capitoli, è un libro meno corale poiché quasi tutto il racconto si concentra sull'indagine affidata al sostituto procuratore Alvise Guarnieri e condotta assieme al braccio destro, il maresciallo Saverio Alfano e ai due poliziotti Onis e Pantani.
Certo, compaiono in brevi capitoletti anche tutti gli altri procuratori, i civili che lavorano in procura e ne costituiscono il microcosmo: c'è il procuratore aggiunto con la sua indagine privata per capire chi sta avvelenando le sue piante.
C'è il mistero della pizzeria, affidato al procuratore Mascherini, uno di quelli poco inclini ad affrontare le rogne.
C'è un caso di sparizione di un minore, che verrà risolto giusto in tempo dalla pm Anna Vescovo.
Un altro caso su presunti maltrattamenti su minori verrà assegnato a Teatini, su una ragazzina cinese con strani segni sul corpo. E si scoprirà che è tutta colpa della distanza tra le due culture.
Ma la morte del vecchio patriarca, come più volte viene chiamato da tutti i protagonisti, Malachia Duprè, si prende tutto lo spazio che merita: perché è la morte di un industriale importante, uno di quelli che contano in provincia. Perché l'indagine si presenta fin dall'inizio molto complicata: il vecchio Malachia aveva portato avanti la sua aziende senza mai delegare troppo potere ai quattro figli maschi. Eredi del nome, ma non della forza del vecchio. “Giganti della montagna”, come nella commedia di Pirandello, “boriosi ed arroganti, privi di immaginazione e convinti che il mondo debba ruotare ai loro piedi, eterno servitore per i loro desideri immortali”.
Delfo, Ermes, Ares, Ismale. Questi i nomi che il vecchio Malachia aveva affibbiato loro, dopo averli battezzati a modo suo, schiacciandogli un acino d'uva sulla fronte appena nati.
Se Delfo era l'amministratore delegato, la mente dell'azienda era Susanna Ardito, figlia del ragioniere dell'azienda Grandi Rossi Duprè e considerata dal patriarca come una figlia.

Chi ha ucciso Malachia, sparandogli diversi colpi di una pistola calibro 9, avvolgendolo dentro un tappeto, per gettarlo poi cadavere nel lago?
Come da prassi, si inizia ad indagare nella cerchia familiare. Dall'alibi dei quattro figli, che si rivelerà poco affidabile, perché in parte affidato alla deposizione delle rispettive mogli.
Malachia non era stato un padre capace di farsi amare, e nemmeno un imprenditore senza nemici. La sua stessa azienda aveva affrontato diverse crisi, negli ultimi anni, frutto della sua testardaggine a voler proseguire la coltivazione con metodi tradizionali. Nel non volersi allargare alla coltivazione di vitigli esteri.
Ma dalla crisi era uscito: una prima volta con una sottoscrizione da parte dei suoi stessi dipendenti, che avevano firmato una fideiussione, per mettere le loro case a garanzia dei debiti. Una specie di azionariato diffuso, senza azioni da distribuire.
Una seconda volta, grazie ad una vincita milionaria alla lotteria.
Ultimamente poi, il patriarca aveva in mente di rivoluzionare l'assetto dell'azienda. Lasciare definitivamente il comando, mettersi da parte.
Le intercettazioni, le indagini nella vita privata dei Duprè, portano a galla un mondo fatto di gelosie, di risentimento, di odio all'interno dello stesso nucleo familiare. Un padre ingombrante e dei figli capaci solo di inseguire i propri vizi. E delle mogli capaci solo di interpretare il loro ruolo nella vita mondana. Emerge un mondo basato sulla ricchezza e sull'ostentazione del blasone, del potere. Ma nonostante tutte queste piste, nessun indizio sembra permettere l'individuazione di un colpevole, che ha voluto uccidere in un modo così rituale. Il tappeto, il corpo avvolto, quelle parole scritte sul telo, che rimandano all'antica storiella della formica e della cicala:
«La formica richiuse la porta e tornò al calduccio della sua casetta, mentre la cicala, con il cappello e il violino coperti di neve, si allontanava, ad ali basse, nella campagna».«E l'altro punto di vista della stessa storia», concordò Pantani, comprendendo il ragionamento dell'amico. «Una parte del pensiero letterario celebra la scelta edonista della cicala, e un'altra parte la condanna.» 
«Già: il carpe diem diventa lo scialo. Dipende dall'occhio che lo giudica.» 
«Quindi, Malachia Duprè è stato ucciso dopo essere stato imbozzolato in un tappeto che decantava l'estate della cicala.»«E noi dobbiamo cercare una formica», concluse Pantani, che aveva compreso l'importanza di leggere i tappeti.
Come in altri romanzi, saranno la pazienza e la capacità della coppia Guarnieri e Alfano nel saper mettere assieme tutti i pezzi di questo enigma che porteranno l'indagine verso la direzione giusta. Come in Quota 33, un ruolo importante per i suoi consigli l'avrà l'ex procuratore Speranza, ora in pensione:

Speranza lo ascoltava attento, giocherellando con una palla di vetro contenente una miniatura della mole Antonelliana che, quando veniva capovolta e poi rigirata, si lasciava avvolgere in una finta neve, più simile a forfora. [..]«Il figlio di Felicidad, la signora che mi aiuta in casa, ha dimenticato qui questo passatempo», lo informò il padrone di casa intuendone la curiosità. «Ha una sua attrattiva, se si supera l'impatto iniziale. Trovo ipnotico il fatto che capovolgere l'ambiente rinchiuso nel vetro porti conseguenze tanto vorticose, ma poi tutto torni come prima. Non le pare emblematico?»«Forse anche Malachia Duprè ha capovolto la sua palla di vetro, generando una nevicata fragorosa.» 
«Che si è gattopardescamente conclusa con il ritorno all'assetto originario.»«Una volta eliminata la mano che scuoteva la palla.» 
«In cosa è consistita di preciso la rivoluzione posta in essere dal patriarca? Questa trasformazione societaria che lei mi ha descritto, chi danneggiava? I figli?»

Buona lettura!
Qui un pezzo del primo capitolo:
Il turno esterno di Procura consiste in quel periodo di reperibilità durante il quale un sostituto deve abbarbicarsi a un cellulare, preferibilmente acceso, e subire l'ondata di piena di telefonate con le quali la Polizia giudiziaria comunica catastrofi e chiede illuminate direttive.Spesso le catastrofi le commette la Polizia giudiziaria stessa nei primi approcci investigativi, e le direttive, soprattutto in orario notturno, sono nebulose e sconnesse, commisurate al grado di finta lucidità del magistrato assonnato.I sostituti a inizio carriera vivono il momento del turno di urgenza esterno come un incubo adrenalinico, angosciati dall'idea di non saper fornire a gettone soluzioni sapute alle richieste eccentriche degli sbirri operativi, ma eccitati dall'idea di dispensare con brillante assertività precetti e disposizioni, a tempi record di reazione.I sostituti di consumata esperienza smettono di prendere appunti a ogni telefonata di turno, emancipati dall'ansia di prestazione, convinti che la loro minorata preparazione si sia andata nel tempo bilanciando con una migliorata capacità di improvvisazione.I sostituti consumati e basta vivono la reperibilità con la scontatezza distratta e filosofica di chi sa molto bene che l'interlocutore farà comunque di testa sua e spesso dimenticano il cellulare del turno nei bagni della Procura, dove l'apparecchio freme in solitaria sul l'orlo del lavabo di ceramica.


La presentazione del libro a La passione per il delitto a Erba

La scheda del libro sul sito di Tea

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