26 dicembre 2014

La guerra in Sicilia - il saggio storico sulla Sicilia tra il 1943-1950 di Alfio Caruso

Negli anni a cavallo della fine della seconda guerra mondiale si è combattuta una guerra in Sicilia. Una guerra che ha visto contrapposti l'esercito italiano, carabinieri, polizia, e dall'altra parte bande armate, come quella di Salvatore Giuliano a Montelepre.
In ballo c'erano l'indipendentismo dell'isola, o forse quello era solo un obiettivo simbolico. Perché la Sicilia è sempre stata il laboratorio della politica del paese e la politica isolana è sempre stata impostata dai desideri del Partito Unico Siciliano.
Latifondisti, notabili, agrari, nobili dal doppio cognome. Politici abili a cambiare casacca e a vendersi al miglior offerente: i Savoia prima, il fascismo poi.
L'indipendentismo era solo una leva per arrivare all'autonomia.
In questa guerra, che è costata migliaia di morti tra il 1943 e il 1950 e di cui pochi libri di storia ne parlano, anche la mafia ha avuto un ruolo importante.
Braccio armato nel latifondo prima, per far rispettare la legge del più forte in un territorio dove lo Stato italiano è stato sempre assente (se non per riscuotere tasse o per la chiamata alla leva).
La mafia è stata capace a ricostruirsi un ruolo importante nell'arginare la crescita dei comunisti e dei socialisti, ha saputo appoggiare il partito indipendentista senza compromettersi. Ha saputo conquistarsi la fiducia degli alleati anglo-americani, cui ha offerto i propri servigi fin dallo sbarco del luglio 1943.
Infine, è diventato un interlocutore politico dentro i nuovi assetti repubblicani, quando l'isola è diventata il granaio della Democrazia Cristiana.

Di tutto ciò parla Alfio Caruso nel suo ultimo saggio storico: “Quando la Sicilia fece la guerra all'Italia” (editore Longanesi), «Una ferocissima guerra civile, che causò circa duemila morti: soldati, sindacalisti, mafiosi, indipendentisti, carabinieri, poliziotti, fascisti, comunisti, banditi, poveri cristi».
In esso si accennano a figure storiche poco note, che ebbero però un ruolo importante nella genesi della nostra debole repubblica: Finocchiaro Aprile, il Massone ex Fascista che fondò il Mis (movimento indipendentista). Il professor Canepa, che fondò l'esercito dell'Evis per una mai tentata sollevazione dell'Isola. E poi Salvatore Giuliano, ovvero il bandito Giuliano. La primula rossa di Montelepre, il Robin Hood dei poveri, nella visione di bandito romantico che si costruì addosso.
Uno dei tanti pupi nelle mani di un puparo più ambizioso, secondo un'analisi più accurata della storia.
E i siciliani che ruolo ebbero in questo racconto?
Furono anch'essi usati, da una parte e dall'altra. Stretti tra uno stato che li teneva alla fame, con la politica dell'ammasso del grano che incentivava il mercato nero e, dall'altro lato, strumentalizzati dagli indipendentisti, che soffiarono sul fuoco della ribellione, per indebolire le istituzioni italiane.
Il PUS (massoni, latifondisti, la mafia) usarono il terrore della banda Giuliano finché fu necessario, finché non ottennero i loro scopi. Annacquare la riforma Gullo sull'agricoltura, il riconoscimento dell'autonomia siciliana (da cui figliarono tutti gli sprechi e i clientelismi della macchina regionale), la fine dell'avventura delle sinistra che avevano vinto le elezioni regionali nel 1947.

Questa la scheda del libro che potete prendere dal sito dell'autore:
Per quanto non dichiarata, fu una guerra ad altissima intensità.Si combatté in Sicilia fra il 1943 e il 1950, tra lo sbarco degli anglo-americani e l’uccisione di Salvatore Giuliano.Il numero finale dei caduti, malgrado manchi una contabilità ufficiale, oscilla tra i 1500 e i 2000: soldati, carabinieri, poliziotti, mafiosi, banditi, indipendentisti, fascisti, comunisti, sindacalisti, poveri cristi.Di volta in volta cambiarono i pupi e gli scenari, mentre il puparo rimase sempre il Partito unico siciliano, il Pus (massoni, imprenditori, boss di Cosa Nostra, politici di ogni colore, giudici). E suoi alla fine furono i guadagni. Come avrebbe sancito Totò Riina:«Per fare la pace, bisogna prima fare la guerra».
Furono sette anni di anarchia e terrore indiscriminato con lo Stato ospite indesiderato. Cominciarono gl’indipendentisti, cioè i grandi proprietari terrieri e i nobili per difendere anche i centimetri dei latifondi. Proseguirono gli agitatori fascisti per sabotare la leva obbligatoria in favore dell’esercito della nuova Italia.Poi avvennero le rivolte contro la politica dell’ammasso, la guerriglia per il pane, la ribellione di Catania, di Comiso, di Piana degli Albanesi, di Vittoria, di Ragusa, di Giarratana, di Scicli, di cento altri comuni, dove l’esercito per ristabilire l’ordine fu costretto a utilizzare mitragliatrici, cannoni, blindati.
In un misterioso agguato venne ucciso il personaggio più singolare di tutti, il professore universitario Antonio Canepa: nella sua breve vita aveva preparato un attentato a Mussolini, ne era diventato uno sperticato agiografo, aveva guidato la cellula dello spionaggio britannico nell’isola, aveva infiammato con un libello i cuori degli indipendentisti, si era clandestinamente iscritto al Pci.A intorbidare viepiù le acque provvidero la congiura per instaurare a Palermo una monarchia con i Savoia e l’arruolamento nell’Esercito dei volontari per l’indipendenza siciliana, Evis, della banda Giuliano a ovest e di quella dei niscemesi a est.Ne sarebbero discesi la strage di Portella delle Ginestre e quella degli 8 carabinieri di feudo Nobile, sulle quali da quasi settant’anni proseguono misteri e depistaggi.
Nell’ombra tramavano i grandi boss della mafia.Avevano individuato in Giuliano lo strumento perfetto dei propri disegni, lo fecero diventare il pericolo pubblico numero uno onde poter ricattare le Istituzioni e contrattare il prezzo della consegna, il più alto possibile: l’inossidabile alleanza fra la disonorata società e rappresentanti dello Stato, che sarebbe proseguita per oltre mezzo secolo.
Naturalmente Giuliano mai sarebbe potuto arrivare vivo in un’aula di tribunale.

Sul sito di Alfio Caruso potete leggervi anche il primo capitolo.
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