06 gennaio 2015

La strada per Itaca, di Ben Pastor

Incipit:
Mosca, hotel National, domenica giugno 1941,tre settimane prima dell'invasione dell'Unione SovieticaSe Martin Bora avesse saputo che entro mille giorni avrebbe perso tutto ciò che aveva (ed era), quella domenica non si sarebbe comportato in modo apprezzabilmente diverso.Quella domenica, le coser erano come erano.Non fosse stato per la pesante grafia inclinata in cui era scritto, il messaggio sul comodino sarebbe sembrato innocuo. Conteneva solo due parole: Dafni, Mandilaria.

Il suo andare avanti e indietro nella vita dell'ufficiale detective filosofo Martin Bora, ci ha portato in Spagna nella guerra civile del '37 (“La canzone del cavaliere”), nella Russia dal cielo di stagno del 1943, subito dopo la tragedia di Stalingrado.
Abbiamo visto muoversi l'ufficiale dei servizi segreti (Abwehr) negli intrighi italiani dell'Italia salotina, a Verona e a Roma, nei mesi cupi che precedettero la liberazione del giugno '44 (“Kaputt Mundi”).
Un girovagare per l'Europa in guerra: ma la guerra che gli occhi di Martin Bora raccontano per noi non è quella delle glorioso battaglie celebrate da tanti film. È più una guerra vista dal fronte interno o dopo il passaggio della battaglia. Dopo che i cannoni e i bombardamenti hanno già ottenuto il loro premio di sangue.
Dopo le stragi delle SS in Polonia, nella Roma dei razionamenti.
Bora come un novello Ulisse, sempre straniero in terra d'altri, sempre alla ricerca di qualcosa: la soluzione di un mistero, il proprio destino, l'adrenalina della battaglia:
Non si forma mai muschio su di me. Sono come un sasso che continua a spostarsi, anche quando non rotola”.

La storia lo porta ora a Creta, subito dopo l'invasione tedesca del 1941 e la sanguinosa battaglia che ha contrapposto inglesi e i parà tedeschi.
In realtà “La strada per Itaca” parte da più lontano, a Mosca, nelle settimane appena precedenti l'operazione Barbarossa del giugno 41: la pace tra Germania e Russia è tenuta in piedi ipocritamente dagli apparati d'ambasciata e sarà così fino alla fine. Il patto Ribbentrop Molotov ha sancito l'alleanza tra i due regimi: Bora, anche lui in servizio a Mosca riceve l'incarico da Berija in persona, di volare a Creta a prendere due casse di vino, il Dafni e il Mandilaria.
Perché il feroce numero tre del regime staliniano, il responsabile delle purghe, affida proprio ad un ufficiale dei servizi questo compito?
Con la sua impeccabile divisa, Bora si ritrova così nella luce splendente dell'isola del Mediterraneo, dopo che si sono conclusi gli scontri.
Un sentirsi fuori luogo, lui che non ha combattute in mezzo a feriti, con quella missione così particolare.
Ma il destino ha in serbo altro per il capitano Bora: dovrà occuparsi della strage di una famiglia di cittadini svizzeri, trucidati assieme ai loro coloni, nella loro villa ad Ampelokastro, in una zona mano. Un sottufficiale inglese è stato testimone del massacro: ha visto un plotone di parà entrare in villa ed in seguito ha udito le raffiche dei colpi dei mitra. Il sergente ha anche scattato delle foto  poi  consegnate ad un ufficiale con lui in un campo di prigionia tedesco, che in seguito ha denunciato quanto accaduto.
Non è la solita rappresaglia che, in tempi di guerra, si può mettere a tacere.
Villiger, il morto, era un cittadino svizzero che lavorava per la Ahnenerbe “la società fondata da Himmler per studiare il passato mitico della razza ariana”.
Prima che la faccenda arrivi all'attenzione della Croca Rossa (la Svizzera è un paese neutrale) e, peggio ancora, alle orecchie di Himmler e delle SS, a Bora viene chiesto di investigare sulla strage per cercare di capire se veramente è stata opera dei parà del 1 Reggimento aviotrasportato tedesco, oppure se dietro la strage ci sia qualcos'altro.

Chiaramente è un'indagine che non attira la benevolenza dei colleghi dell'aviazione, che lo ostacolano in tutti i modi. Bora dovrà cercare la collaborazione del poliziotto Kostaridis, un personaggio all'apparenza un po' stolto e trascurato. E di una signora americana, moglie di un partigiano comunista nelle mani dei tedeschi, Frances Allen, che lo accompagnerà nel sua “Odissea” per i monti dell'isola cretese, come Arianna accompagnò Teseo nel labirinto del Minotauro.
Un viaggio alla ricerca del testimone della strage.
Perché forse le cose non sono andate come sembrano. Forse non è stata una rappresaglia da parte di un plotone di parà particolarmente nervoso per le perdite subite.
Questo Villiger era una persona dalla duplice natura: era solo un archeologo che non aveva legato con gli altri storici anglofili dell'isola oppure lavorava per i servizi? E per quali servizi?
“Che cosa faceva Villiger per Himmler, esattamente? Quali erano i suoi compiti oltre a misurare crani e classificare occhi?”

Strani documenti vengono recuperati dal capitano e dal poliziotto nella banca. Diversi passaporti con la stessa faccia ma nomi diversi. Lasciapassare “arianizzati”, e una lista di nominativi ebrei.
Questa storia, si disse, è cominciata con le fotografie. Da qualche parte il sergente maggiore Powell si lecca le ferite, si crede al sicuro, e si chiede (o forse no) se il severo ufficiale anglo-indiano cui ha affidato l'apparecchio fotografico, abbia denunciato la strage ad Ampelokastro. Villiger, Powell, Sinclair, Savello, Kostaridis, Bush, l'Ufficio Crimini di Guerra e presto la Croce Rossa internazionale: tutti in un modo o nell'altro collegate dalle fotografie, per diversi motivi. Se ne avesse avuto i mezzi, perfino Achille avrebbe mostrato le immagini cruente di Ettore, che i suoi cavalli avevano trascinato cadavere intorno alle mura di Troia. Eccome, se ne sarebbe vantato. Solo Ulisse, reso ora grinzoso, ora splendido agli dei, poteva permettersi di non somigliare alle foto del suo passaporto. Invece Villiger – prete mancato, razzista, himmleriano, antiquario, studioso di antichità e spacciatore di visti «arianizzati» - temerariamente o stupidamente usava la stessa foto su documenti diversi”.

L'indagine diventa un viaggio pieno di riferimenti della mitologia antica, come giusto che sia nell'isola che è stata culla della civiltà occidentale: il trafficante di uomini e donne che si chiama Minosse (il guardiano dell'inferno), Satanas è uno dei banditi che imperversano sui monti all'interno dell'isola.
D'altronde Ulisse di Joyce è il libro che compra e legge nel viaggio da Mosca a Creta. Un segno del destino.
Il viaggio dentro l'isola diventa anche un viaggio nei ricordi: l'infanzia e il suo rapporto duro col patrigno Il generale Sickingen), il litigio con Waldo Preger (il compagno di giochi poi ritrovato come parà a Creta), la guerra in Spagna, la parole di Remedios (“Quando mi si mostrerà di nuovo, sarà perché dovrò morire”).Sul suo diario, Bora annoterà:
Quest'isola è come una ruota, dove il tempo continua a girare su se stesso. Creta è una macchina del tempo dove le memorie si susseguono, e io vi sono caduto dentro a mio rischio e pericolo”.

La strada per Itaca sarà l'ennesima prova di coraggio (e di intelligenza, e di intuito) per il militare-detective Martin Bora: la strada che lo ha portato fin qui dalla Spagna e poi in Polonia, in poche settimane lo manderà sul fronte russo per l'imminente invasione.
.. e dissi sì voglio Sì”: è la risposta (nelle ultime parole di Joyce) della sua coscienza di soldato per questa sfida. Di cui è consapevole dei rischi.
Perché Bora è come Achille, l'eroe del mito dalla “solitudine irata”.
Un eroe che, sempre di più con l'avanzare della guerra, dovrà fare i conti con la sua coscienza di uomo, in contrasto con gli ordini che riceve come soldato. In contrasto coi modelli e i valori del nuovo mondo nazista: anche questa è un'altra traccia di lettura interessante del libro. Il contrasto tra le due germanie: quella nobiliare aristocratica da cui proviene Bora, quella sconfitta dalla prima guerra mondiale. E quella che il nazismo vuole costruire, togliendo di mezzo i “privilegi” e le classi.
È la Germania di Bora e di Waldo Preger, l'amico di infanzia con cui si era scazzottato e che ora ritrova a Creta come comandante di un'unità di parà.
Potranno ancora andare avanti queste due visioni di Germania nello stesso esercito?

E cosa riserverà il futuro all'ufficiale Martin Bora, nel suo peregrinare come soldato, per l'Europa?
Ogni luogo è Itaca per chi vi è nato e desidera tornarvi. Così, ogni strada verso casa è la strada per Itaca”.

La scheda del libro sul sito di Sellerio.

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