14 febbraio 2015

Il Vaticano pagò la borsa di Calvi – di Giuseppe D'Avanzo

Su Internet ho recuperato questo “vecchio” articolo scritto dal giornalista di Repubblica Giuseppe D'Avanzo, nel maggio 1992: l'anno delle stragi, delle trattative, di Tangentopoli, di un potere che affondava e che però cambiava per pelle per rimanere a galla.
È anche l'anno in cui un giudice istruttore tenace e testardo come Mario Almerighi (autore del libro La borsa di Calvi) non si ferma davanti a niente, pur di seguire la pista che, dalla borsa di Roberto Calvi, porta dritto al Vaticano. Passando per personaggi equivoci come Carboni o Giulio Lena.

IL VATICANO PAGO' LA BORSA DI CALVI

ROMA - La verità della Santa Sede è stata sempre categorica. Joaquin Navarro, portavoce del Vaticano, ha detto (27 giugno 1991): "I documenti presumibilmente provenienti dalla borsa di Roberto Calvi non sono mai giunti in Vaticano. Inoltre la Santa Sede non aveva alcun interesse circa i suddetti documenti, se esistevano. A maggior ragione, affermo che la Santa Sede non ha versato mai alcuna somma per avere questi documenti".
Se la verità giudiziaria è una verità, la verità del giudice istruttore di Roma, Mario Almerighi, è un' altra, diametralmente opposta, altrettanto ferma e risoluta, costruita pazientemente in anni di indagine, sorretta da prove documentali e testimonianze, raccolta nelle 379 pagine che accusano di ricettazione aggravata il "faccendiere sardo" Flavio Carboni, il vescovo cecoslovacco Pavel Hnilica, il romano Giulio Lena.
' Hnilica non agì da solo' Il giudice sostiene che nella borsa del presidente dell' Ambrosiano "erano contenuti documenti che ' dimostravano con chiarezza' il coinvolgimento dello Ior nelle illecite operazioni condotte prima da Sindona poi da Calvi". La borsa del banchiere - nera, di pelle, marca Valextra, tipo a soffietto - è stata in possesso di Flavio Carboni, molto probabilmente dal giorno stesso della morte di Calvi, sicuramente dall'agosto del 1984. "Furono proprio ambienti del Vaticano - scrive il giudice - a contattare Carboni non appena questi, ancora in stato di detenzione, giunse in Italia". Il mediatore della Santa Sede - Pavel Hnilica - non agì da solo, ma fu sollecitato da "eminenti personalità ecclesiastiche" e il suo comportamento, i suoi impegni furono "avallati dalle più alte autorità ecclesiastiche". Alla fine della lunga, estenuante trattativa - ha potuto accertare l' Ufficio Istruzione - il Vaticano "pagò effettivamente, nel quadro di un' operazione finanziaria di 12 miliardi, da 3 miliardi e 534 milioni (cifra approssimata per difetto) a 6 miliardi e 234 milioni".
Malinconicamente, Almerighi conclude che "certamente i documenti che Carboni cedette a monsignor Hnilica non sono soltanto quelli acquisiti agli atti di questo processo", questa è "soltanto una piccola parte dei documenti venduti da Carboni".
Dalle carte, sequestrate dal giudice, "emerge in modo chiaro il potenziale di ricattabilità del quale Calvi intendeva avvalersi" contro lo Ior e contro il Vaticano "stando in un posto più sicuro di quanto fosse l' Italia in quel momento e quindi la grande rilevanza della documentazione in suo possesso".
Il 20 gennaio del 1982, il banchiere scrive a un misterioso "Caro Onorevole".
Ricorda che "molte delle cause che hanno determinato la tragica fine dell' impero Sindona sono le stesse che oggi potrebbero provocare il mio crollo".
In un' altra lettera, priva di destinatario e data, ma firmata, il banchiere si scaglia contro "Marcinkus, Mennini e tutti i dirigenti dello Ior... (che) hanno abbandonato me e il gruppo che rappresento...". Calvi minaccia: "Ora che sono stato abbandonato e tradito dai miei più sicuri alleati non posso non ricordare le opere che ho svolto di concerto con i rappresentanti di S.Pietro. Mi prodigai in America Latina in ogni senso arrivando perfino ad occuparmi di forniture di navi militari e di altro materiale bellico". Chiede: "...che mi siano restituiti i 1000 milioni di dollari che, per espressa volontà del Vaticano, ho devoluto in favore di Solidarnosc; che mi siano restituite le somme che ho impegnato per organizzare centri finanziari e di potere politico in 5 Paesi dell' America del Sud, somme che ammontano a oltre 175 milioni di dollari; che mi sia riconosciuto in termini economici ancora da quantificare l' efficace opera da me svolta in favore di molti Paesi dell' Est e dell' America latina".
Infine, l' ultima drammatica lettera al Papa del 5 giugno 1982, pochi giorni prima della fuga e della morte. Almerighi non ha dubbi che quella missiva fu "scritta da Calvi con la stessa macchina per scrivere usata per redigere gli altri documenti rinvenuti nella borsa" anche se "non esiste la prova in atti che il Pontefice l' abbia ricevuta o potuto leggerla".

Calvi lancia un' implorazione pesante come un ricatto: "...altro non mi rimane che sperare in una Sua sollecita chiamata che mi consenta di mettere a Sua disposizione importanti documenti in mio possesso e di spiegarLe a viva voce tutto quanto è accaduto e sta accadendo, certamente a Sua insaputa...".
E' di questo potere di ricatto che, con la Valextra, si impossessa Flavio Carboni. Il "faccendiere sardo" gioca le sue carte senza scrupoli, con una determinazione che soltanto il Calvi disperato degli ultimi giorni seppe trovare.

Come Calvi, Carboni scrive al Papa ("sicuramente dopo il 1984"). Con gli stessi argomenti di Calvi. Anzi, sbandierando con l' ultima lettera del banchiere, le sue stesse minacce. "Santità, la mia impresa non è stata facile. Essendomi trovato al fianco del presidente del Banco Ambrosiano nell'ultimo periodo della sua vita sfortunata, mi ero reso conto di quali dissesti immani era minacciata la Chiesa. Del resto, anche lo stesso Calvi, in una lettera indirizzata a Lei, pochi giorni prima di morire, così si esprimeva...".

"Il contenuto di questa lettera di Calvi e di molte altre non fu divulgato grazie a un provvidenziale intervento che impedì la sua caduta nelle mani di chi era pronto ad utilizzarla per colpire maggiormente la Chiesa - prosegue Carboni - E' stato un miracolo che ciò non sia accaduto considerando quanti e quali interessi ruotano intorno a quei tragici fatti; ed è stato un miracolo riuscire a raccogliere la documentazione più importante, non soltanto quella più direttamente legata al caso Ior-Ambrosiano, e impedire così non solamente il prosieguo di una virulenta campagna diffamatoria condotta in tutto il mondo contro le istituzioni cattoliche, ma anche la possibilità che essa degenerasse, suffragata da materiale estremamente delicato e pericoloso...".

Anche se non c'è "in atti" la prova per poter ritenere che questa lettera sia mai giunta al Pontefice, il giudice istruttore non ha dubbi che sono stati questi gli argomenti che convinsero Hnilica a cedere e a versare a Carboni, "direttamente o indirettamente oltre tre miliardi".
Campagna diffamatoria "Si indicano le somme di denaro minimali - avverte Almerighi - al di sotto delle quali non è possibile scendere sulla base della documentazione bancaria acquisita agli atti. Se si dovesse tener conto del carteggio epistolare e del resto della documentazione si arriverebbe ad una cifra di gran lunga superiore". Il vescovo cecoslovacco non agiva in solitudine, la sua iniziativa era "avallata" anche se non si ritenne di impegnare direttamente lo Ior "per non implicare il nome del Vaticano".
Scrive e conclude Almerighi: "Che padre Hnilica non fosse solo nell' operazione intrapresa è un fatto non solo suggerito da logiche di elementare profilo e da una serie di risultanze istruttorie, ma dallo stesso vescovo esplicitamente riconosciuto: ' eminenti personalità ecclesiastiche raccomandarono al sottoscritto di ricevere ed ascoltare Flavio Carboni perché avrebbe potuto essere utile alla causa ecclesiale' ". 

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