29 luglio 2015

Rocco Chinnici - la vera antimafia

Il 29 luglio 1983 un'autobomba esplose in via Pipitone a Palermo uccidendo il consigliere Rocco Chinnici (capo dell'uffizio istruzione), i componenti della scorta del magistrato il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi.
Solo il suo autista Giovanni Paparcuri si salvò dalla strage.
Palermo come Beirut titolarono i giornali.

La mafia usò l'autobomba per mettere fine al lavoro di quel giudice che, assieme ai magistrati dell'ufficio istruzione, aveva iniziato a mettere il naso negli affari della mafia, nelle banche, negli uffici dei signori Salvo, gli esattori per la regione Sicilia (e grandi elettori DC).
Lo ha raccontato il generale dei carabinieri nel suo libro "Noi, gli uomini di Falcone": 
“Il consigliere istruttore, dopo i mandati di cattura per l’omicidio Dalla Chiesa, voleva «salire di livello», andare a colpire il sottobosco politico e affaristico che garantiva complicità e protezione alle cosche. In vena di confidenze, mi aveva fatto quel nome: i Salvo”.

Quel salire di livello voleva dire colpire la mafia nel suo punto nevralgico: quello degli affari, dei rapporti col potere politico per quella convergenza di interessi per cui mafia e stato vanno a braccetto.
Mettere fine a quella zona grigia tra stato e antistato: parole chiare, senza guardare troppo in faccia a nessuno.
Non si faceva spaventare il giudice Chinnici, quando gli chiedevano di seppellire Falcone (nel pool) di processetti e di smetterla di mettere in crisi l'imprenditoria siciliana con le loro inchieste.
Foglio del 24 novembre 1981. Appunto relativo al 18 maggio 1982.ore 12 - Vado da Pizzillo per chiedere di applicare un pretore in sostituzione a La Commare dal momento che il Csm ha deciso che la competenza è del presidente della corte. Mi investe in malo modo dicendomi che all'ufficio istruzione stiamo rovinando l'economia palermitana disponendo indagini ed accertamenti a mezzo della guardia di finanza. Mi dice chiaramente che devo caricare di processi semplici Falcone in maniera che "cerchi di scoprire nulla perchè i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla". Osservo che ciò non è esatto in quanto sono stato proprio i giudici istruttori di Palermo che hanno - inconfutabilmente - scoperto i canali della droga tra Palermo e gli Usa e tanti altri fatti di notevole gravità. Cerca di dominare la sua ira ma non ci riesce. Mi dice che verrà ad ispezionare l'ufficio (ed io lo invito a farlo); è indignato perchè ancora Barrile non ha archiviato la sporca faccenda dei contributi (miliardi per la elettrificazione delle loro aziende agricole); l'uomo che a Palermo non ha mai fatto nulla per colpire la mafia che anzi con i suoi rapporti con i grossi mafiosi l'ha incrementata. Pizzillo con il complice Scozzari ha "insabbiato" tutti i processi nei quali è implicata la mafia, non sa più nascondere le sue reazioni e il suo vero volto. Mi dice che la dobbiamo finire, che non dobbiamo più disporre accertamenti nelle banche.
Ecco, parli di Chinnici e pensi a tutta quell'antimafia di facciata che c'è oggi. Che preferisce non vedere il gattopardismo dei politici di ieri che si riciclano nei nuovismo di oggi.
Che preferisce non aprire certi cassetti, non far partire certe inchieste.
Che preferisce celebrare i loro eroi antimafia a tutte le ricorrenze (Capaci, via D'Amelio, via Pipitone, via Carini), per poi far finta di niente. 
Sono questi, i veri professionisti dell'antimafia cui faceva riferimento Sciascia nel suo articolo.

Ma tanto, domani sarà un altro giorno.

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