31 agosto 2015

Un caso politico

Il duplice omicidio di Palagonia, a Catania, dove presunto responsabile è un immigrato ospite del Cara, è diventato un caso politico: la figlia di una delle vittime attacca il governo:

"Il governo italiano, il popolo italiano è messo in balia di tutta questa gente - ha aggiunto - perchè non fanno altro che accogliere, accogliere ma non si accoglie per accogliere. Vengono qui a rubare, ad ammazzare. Il governo, i ministri chi lo sa, prendono soldi in cambio di questi umani e poi rimangono in Italia, a fare che cosa? Ad essere accolti nei centri di accoglienza dove sputano sul piatto che gli si viene dato? Vengono a maltrattare le persone che li ospitano? Vogliono questo, vogliono quello...".
Anche il segretario della Lega ha deciso di cavalcare la brutta vicenda: "Renzi e Alfano, quanti morti avete sulla coscienza?"

Si prevedono altri tempi difficili per chi cerca di dare una soluzione ragionevole al problema dell'accoglienza.

Sempre a proposito della storia del paese bloccato


Renzi ci aveva spiegato, al meeting CL, che l'Italia è stata messa in pausa per vent'anni dallo scontro berlusconismo antiberlusconismo.

Poi è arrivato lui, e ha sbloccato il bavaglio per le intercettazioni.

C'è chi dice si al bavaglio!
Viva le riforme che fanno uscire il paese dalla palude per portarlo all'800!

Come si scrive in inglese aiutiamoli a casa loro?


Il governo di Cameron alza il muro a tener fuori gli immigrati, anche europei (sperando abbia più fortuna del Vallo di Adriano).
Trovo che sia paradossale che nell'epoca dove merci e denaro non hanno confini e possono muoversi come pare e piace (ai nababbi, ai re della finanza, alle multinazionali, agli speculatori), siano invece le persone quelle che devono essere bloccate ai confini.
Certo, i soldi che una multinazionale guadagna (lecitamente) in Italia (e che sono tassati in Inghilterra o in Irlanda) sono diversi da una persona in carne e ossa.
Ma tutti questi paletti (o muri) che stiamo alzando per difenderci suonano un po' ipocriti.
In Inghilterra come in Italia lo slogan è lo stesso: prima noi. Poi se rimane qualcosa, loro.

Per dire: cosa stanno facendo gli inglesi per impedire questa tragedia laddove ha origine?
Le tasse che arrivano in UK (e sfuggono all'Italia) non sono forse un problema anche per noi (meno tasse, meno servizi ..)?

Come si scrive in inglese aiutiamoli a casa loro?

30 agosto 2015

Il governo fa le pentole ma non i coperchi

Una volta era il diavolo a fare pentole senza coperchi, dunque inutili.
Dobbiamo aggiornare anche i proverbi, ora.
Perché questo è l'unico commento che mi viene rivedendo a posteriori tutte le riforme messe in atto e sbandierate da questo esecutivo che “accelera”, “non si fa bloccare”, “fa le riforme attese da anni”.
E chi critica viene battezzato dalla stampa embedded come ribelli”, “tafazzisti”..

Eccole qua le riforme.
Quella della Buonascuola, partita dall'ingiunzione dell'Europa che ci chiedeva di stabilizzare tutti i precari nella scuola: non è possibile continuare a tenere insegnanti precari, di anno in anno, visto che la scuola ne ha bisogno.
La più grande operazione di assunzioni nella scuola (così la definita il sottosegretario Faraone) si è fermata così a quota 70-80 mila insegnanti, che dovranno ora scegliere tra lavoro e famiglia, visto che i posti sono al nord e molte delle domande arrivano dal sud.
Ma in questo piano sono rimasti fuori gli insegnanti delle suole materne, a carico dei comuni: non potendo richiamare i +36 (i precari con più di 36 mesi di insegnamento alle spalle, lo vieta l'Europa), circa 10000 posti negli asili sono vaganti. Che fare?

La riforma delle province doveva far risparmiare 10 miliardi l'anno, dicevano i giornali anni fa. Mi piacerebbe che qualcuno ora verificasse la cifra. Le provincie, dopo la grande riforma, sono rimaste come enti non elettivi e dove non c'è modo, per il cittadini, di punire o premiare, le amministrazioni.
Le strade sono piene di buche, le scuole sono a pezzi e non sono a norma (per le norme sulla sicurezza)?
Basta non parlarne. Come dei buchi di bilancio di questi enti. Così inutili, dicevano: le regioni potrebbero prenderne le funzioni.

Dalle regioni pescheremo i futuri senatori della Repubblica, se va in porto la seconda riforma costituzionale (quella per cui se realizzata arriva poi la ripresa e il bengodi).
Che farà il Senato? Siamo sicuri che sarà una camera a costo zero (niente stipendi, né diaria..)? Chi controlla che il Senato (e le sue immunità per questi altri non eletti) non diventi poi terra di rifugio per i consiglieri regionali con problemi giudiziari?
E, infine, la domanda più importante: chi controlla poi l'esecutivo che, dopo tutte queste riforme, ha nelle sue mani una grande concentrazione di potere? Non sono domande da poco.

La riforma del lavoro. Nemmeno B. (che pure aveva messo in pausa il paese, dice il rottamatore) era riuscito a picconare così i sindacati, togliere tutte le tutele sul lavoro e prendere così in giro gli italiani.
Sono soddisfazioni.
Via l'articolo 18. Via, di fatto, l'aggettivo indeterminato da tutti i nuovi contratti.
Via al demansionamento dei dipendenti.
Via ai licenziamenti collettivi.
Imprenditori volete assumere? Ecco gli incentivi per tre anni. E nessun controllo se qualcuno fa il furbo (licenzia e poi riassume). Funzionano tanto bene che, se continua così, potrebbe esserci un buco da 2 miliardi. Con questi incentivi si volevano creare 1 milione di posti lavoro (nuovi).
Sui numeri veri, dei posti di lavoro creati da questo governo poi, è in corso una farsa.
Numeri sparati sui giornali senza controllare, numeri usati per giustificare il taglio ai diritti.
L'occupazione non riparte così: mettendo assieme i dati, come ha fatto Marta Fana sul Manifesto, si vede una situazione stabile. Nè migliora né peggiora. Peccato che già prima eravamo messi maluccio ..

Possiamo parlare anche della flessibilità che stiamo chiedendo all'Europa, per avere quei miliardi per poter togliere le tasse sulla prima casa e abbassare quelle sul lavoro (per le imprese).
L'Europa è tirata in ballo anche come alibi per una soluzione al dramma dei profughi che scappano e muoiono da guerre, carestie, fame, disastri.
Oggi Repubblica titola “L'Onu: subito un summit mondiale”.
Perché mentre Sagunto viene espugnata, questi qua sanno fare solo summit, incontri (come quello Merkel Hollande), tavoli. Specie dopo aver visto che i profughi muoiono non nel silenzio delle acque del Mediterraneo. Ma dentro i tir, a pochi km dalle capitali europee.

Ma rimaniamo in Italia. Anche noi abbiamo le nostre piccole grandi tragedie che rimarranno senza risposta: l'Ilva di Taranto, le bonifiche nella terra dei fuochi, la bonifica di Roma dopo mafia capitale, l'Aquila e la sua ricostruzione, il dopo Expo (e le interdittive antimafia, e i conti sugli incassi). Finché si faranno pentole senza coperchi.  

29 agosto 2015

Sangue e neve, di Joe Nesbo

La neve danza come bambagia nella luce dei lampioni. Smarrita, non riusciva a decidersi se salire o scendere, e si lasciava guidare dall'insopportabile vento gelido che arrivava dalla vasta oscurità del fiordo di Oslo. Turbinavano insieme ininterrottamente, il vento e la neve, nel buio fra i magazzini della banchina chiusi per la notte. Finché il vento si stancò e mollò la sua dama a ridosso di un muro. In quel punto la neve asciutta si era raccolta a folate intorno alle scarpe dell'uomo a cui avevo appena sparato al petto e al collo.[..] la neve ai suoi piedi mi ricordava un manto regale di porpora e ermellino, come nei disegni del libro di fiabe popolari norvegesi che mi leggeva mia madre. Le piacevano le fiabe e i re. Probabilmente per questo mi ha messo proprio il nome di un re.

Siamo sempre a Oslo e si parla sempre della criminalità norvegese, dello spaccio della droga dalla Russia e dei tanti reati connessi.
C'è tanto sangue che scorre in mezzo alla gelida neve di un inverno, quello del 1977, che si annuncia come uno dei più freddi.
Sangue che, colato in mezzo al biancore della neve, sembra quasi il manto di un re, come racconta la stessa voce nell'incipit. Ricordatela questa immagine.
Ma, rispetto agli altri romanzi di Joe Nesbo che ho letto fin'ora, manca qualcosa in questo “Sangue e neve”: forse mi manca la lucida cattiveria di quell'Harry Hole che tornerà presto in libreria con “Scarafaggi”.
Troppo distante il protagonista di questo racconto: si chiama Olav, come il re del libro delle fiabe norvegesi, che si presenta fin da subito al lettore, mettendo in chiaro i suoi difetti.
Riassumendo, possiamo metterla così: non riesco a guidare piano, sono tenero come il burro, mi innamoro con troppa facilità, perdo la testa quando mi arrabbio e sono una frana in aritmetica. Ho letto un po' di tutto, ma so poco e niente che mi potrebbe tornare utile. E scrivo più adagio di quanto cresca una stalattite.Quindi cosa se ne fa uno come Daniel Hoffman di uno come me?La risposta, come probabilmente avrai già capito, è: se ne serve come liquidatore”.

Olav è un liquidatore, un killer di professione: non ci mette nulla di personale nell'uccidere le persone che il capo, Daniel Hoffmann, uno dei boss nel traffico della droga, gli indica.
Mai discutere i suoi ordini, ma bisogna sempre stare attenti quando ti chiedono di ammazzare qualcuno di importante. Perché poi potrebbero liquidarti a tua volta, se conosci dei segreti importanti.
Ma ci sono anche ordini che mandano in crisi uno dal cuore tenero come Olav: uno che ha speso parte del suo guadagno per aiutare una prostituta a sbarazzarsi del suo protettore.
Per esempio, quando Hoffmann gli chiede di liquidare la moglie, Corina, va in crisi. Perché spiandola dalle finestre di casa, viene colpito dalla sua bellezza.

Olav sa che se non uccide Corina, ha solo un'altra scelta: liquidare il capo con tutte le conseguenze. E per farlo, e magari ricostruirsi una vita lontano, dovrà escogitare un piano. Rischioso.
L'unica persona che lo potrebbe aiutare è l'altro boss della droga di Oslo, il “pescatore”, a cui Olav ha appena ucciso un uomo.
Riuscirà a il killer sentimentale a salvare il suo trono e la sua donna?
Chissà. Certo la realtà non è mai come le fiabe …

Dall'intervista all'autore su Repubblica:

Sangue e neve uscirà contemporaneamente in tutto il mondo, Leonardo di Caprio ne farà un film, le prenotazioni sono già da record: la preoccupa tutta questa attenzione?"In realtà non ci faccio molto caso e non lo dico per presunzione: cerco davvero di non farmi distrarre".
Ma non seguirà i progetti cinematografici?"Ho sentito delle voci, ho letto delle indiscrezioni, ricevuto qualche telefonata ma in quel mondo i progetti partono e si fermano con grande velocità e spesso senza una ragione. Dunque aspetto quel che succederà, magari alla nostra prossima intervista non se ne sarà fatto ancora nulla. Comunque non mi preoccupa chi potrebbe essere il regista o chi potrebbe interpretare i personaggi principali. Certo quando si tratterà di Harry spero solo che ci sia un grande attore".
Spesso gli autori non sono contenti di quel che vedono sul grande schermo."Una volta Michael Ondaatje, l'autore canadese del Paziente inglese , raccontava di aver incrociato per strada un suo amico, un altro scrittore del quale avevano appena portato sullo schermo un romanzo. E Ondaatje gli disse: oh no, guarda cos'hanno fatto del tuo libro! Ma l'altro sereno rispose: al libro non hanno fatto proprio un bel niente. Ed è vero. Quindi io vivo tranquillo".
Mentre scrive pensa ad una eventuale sceneggiatura?"Assolutamente no. Anche se in effetti ho una scrittura filmica, sono influenzato dalla quantità di pellicole che ho visto e che di certo supera il numero dei libri letti, e questo vale per qualsiasi scrittore della mia generazione. Per tutti noi il cinema, la musica e in genere la cultura popolare sono molto più importanti delle letture fatte".
Perché ha deciso di lasciare Hole, la sua creatura più amata?"Nessun trauma, lui continua ad esistere nella mia testa: non l'ho abbandonato per sempre, ma al momento ho altri progetti, altre idee. Quindi lui dovrà aspettare".
A cosa sta lavorando?"Ad una versione del Macbeth un po' particolare, ci sarà da divertirsi".
È soddisfatto della sua vita?"Sì, sto benissimo. Riesco a lavorare molto ed è la cosa che amo fare e che mi fa stare meglio. Mi spiace dire che non sono il classico autore tormentato per cui la scrittura è una sofferenza. Sono contento ogni volta che posso scrivere. L'unico ostacolo adesso, l'unico rischio, è quello di dover dedicare troppo tempo a viaggiare per promuoverei miei libri, ed essere troppo coinvolto nella campagna pubblicitaria. Finché riesco a essere sicuro di scrivere sono felice".

Qui la scheda del libro su Einaudi.

I link per ordinare il libro su Amazon e Ibs.

28 agosto 2015

Erano italiani

Era una notizia da prima pagina, oggi: "Mattanza a Catania Ucciso a bastonate per 450 euro".

E i commenti non mancavano, dove si tirava in ballo la solita storiella: ah, se si potessero usare le armi ...

Poi però, è venuto fuori che la rapina e l'omicidio del marito, era tutta una messinscena.

Notizie che non lo erano (per usare un titolo di un libro sull'informazione).

Almeno pagassero le royalties



Mai discutere con un cretino. Gli altri potrebbero non accorgersi della differenza
(Arthur Bloch)

Eppure a volte si deve farlo, per evitare che le sciocchezze, specie certe sciocchezze contro gli immigrati, a furia di sentirle in televisione, entrino nella testa delle persone e diventino l'unica verità.

Partiamo dal comizio dell'altro Matteo a Bormio, quando ha arringato contro l'albergatore che ospitava 60 profughi.
O clandestini, visto che ormai per certa gente sono sinonimi.
".. non è possibile che una persona, per campare sul business dell'immigrazione, metta a rischio il lavoro di tutti gli altri commercianti, imprenditori e ristoratori normali. Se un albergatore per far tornare i conti ha bisogno di ospitare sessanta clandestini a spese degli italiani - ha detto - vuol dire che non sa fare il suo lavoro e vuol dire che deve cambiare mestiere. Non è possible - ha aggiunto - che una località come Bormio abbia per biglietto da visita una situazione di questo genere. Un posto come questo dovrebbero chiuderlo domattina".

Detto da una persona che campa di politica da sempre e che, anziché fare l'europarlamentare a Bruxelles, fa la sua campagna elettorale permanente in giro per le televisioni, fa un po' ridere.
Non so chi ha deciso queste assegnazioni, ma non sarà stato di certo l'albergatore che non fa business sulla pelle degli immigrati (semmai sono altri che sulla loro pelle fanno politica).
Bormio e i suoi albergatori messi in crisi da così pochi profughi?

Ieri sera, ospite di In Onda, la Santanché proseguiva col non ragionamento: "gli italiani hanno paura". Paura di questa gente con la pelle scura che arriva da lontano e qui trova il bengodi: una casa, il mangiare tutto a spese nostre. Mentre gli italiani non hanno case e non trovano lavoro.

Dunque è per colpa degli immigrati (ospitati in alberghi, nelle tende della Caritas o nel futuro in caserme dismesse) che noi con la pelle bianca non abbiamo una casa dal comune?
Ed è sempre per colpa dei clandestini (magari proprio quelli sfruttati dai caporali per lavorare nei campi) se noi non abbiamo lavoro? 

Basterebbe cercare di portare avanti questo non ragionamento, per far emergere tutte le incongruenze.
Che portano all'assenza di politiche per la casa (specie a Roma poi, ma vale anche per Milano).
Che portano ad un paese dove l'immigrazione è usata come specchietto per nascondere problemi più gravi: l'uscita dalla crisi, la criminalità organizzata, il livello di corruzione generalizzato.
Almeno pagassero ai profughi le royalties ..

27 agosto 2015

Marino stai sereno

Tanto vale che continui a starsene in vacanza, Marino.
Il prefetto Gabrielli si prende alcune deleghe importanti.
I soldi per il Giubileo arriveranno dal governo e in ritardo (ora non ci sono): così non ci sarà il tempo per fare le gare e si dovrà lavorare per affidamento diretto dei lavori.
Come per Expo.
Tra l’altro il consiglio dei ministri ha varato una delibera che consente una riduzione dei tempi delle procedure a evidenza pubblica: “Non c’è nessuna deroga – dice il sottosegretario di Palazzo Chigi – ma la possibilità di ridurre i tempi delle procedure in modo che le opere necessarie a gestire Giubileo siano realizzate in tempo”.

E magari tra qualche mese, Cantone scoprirà che c'è del marcio in Danimarca..

L'Europa che non c'è

L'Europa, intesa come unione europea, è riuscita ad imporre alla Grecia una linea politica e una linea economica, anche andando sopra l'esito delle elezioni (dove i cittadini avevano scelto per il paese un altra politica).
Contro Tsipras e contro il suo ministro Vaoufakis (definito buffone, stravagante, incompetente) abbiamo puntato il dito, abbiamo tenuto una linea dura, abbiamo usato dei ricatti (i soldi alle banche).

La stessa Europa è invece assente, ingiustificata, di fronte alla tragedia umana degli immigrati in fuga dalle guerre (e dalla fame): in quel caso, niente ricatti, niente diktat, niente imposizioni. La vita di un uomo vale meno della falsa politica del rigore (quella che non salverà la Grecia ma terrà in vita le banche) a quanto pare.
L'Europa, intesa come unione, non vuole vedere i morti nel Mediterraneo e nemmeno il muro della vergogna che un suo paese membro sta ultimando ai confini, in Ungheria.
E dopo il muro i blindati, l'esercito, i cani.

Il bilaterale Merkel Hollande ha prodotto solo la proposta di pattugliare meglio i nostri confini. Come l'impero romano, che costruì il vallo di Adriano per tener fuori i barbari. Almeno la cancelliera Merkel ha deciso di sospendere l'accordo di Dublino e accoglierà una parte dei siriani.
Anche lei dovrà guardarsi le spalle da quanti speculano sull'apocalisse dell'immigrazione, sull'invasione, sul buonismo.
Aiutiamoli a casa loro.
Accoglieteli a casa vostra.
Prima gli italiani (o gli ungheresi o i tedeschi ..).

Il presidente del consiglio ha detto a Rimini una cosa giusta: continueremo a salvare vite umane, anche se questo dovesse costarci dei voti. Ma non possiamo limitarci ai compitini.
A stare a guardare.

PS: ma quando si deciderà a partire per l'Africa il nostro Salvini? Sta aspettando che gli preparino la felpa?

26 agosto 2015

La rivoltella di Maigret, di Georges Simenon

Incipit:
In futuro, quando Maigret avrebbe pensato a quell'inchiesta, l'avrebbe sempre associata a qualcosa di anomalo, come una di quelle malattie che, invece di esplodere, cominciano con un vago malessere, dei piccoli spasmi, dei sintomi così leggeri da non meritare attenzione.L'inchiesta non partì con una denuncia alla Polizia Giudiziaria, né con una chiamata al Pronto Intervento o una segnalazione anonima, ma con una semplice telefonata della signora Maigret.In ufficio, la pendola di marmo nero sul camino segnava mezzogiorno meno venti – Maigret ricordava distintamente la posizione delle lancette sul quadrante. La finestra era spalancata, e sotto il caldo sole di giugno Parigi emanava il suo consueto odore estivo.«Sei tu?»

Un'inchiesta anomala per un caso anomalo, nato da una telefonata della signora Maigret a Maigret: un ragazzo giovane lo sta aspettando nello studio perché vorrebbe parlargli.
Senza aspettare il suo arrivo, il ragazzo sgattaiola via dalla casa e si porta via il suo revolver, un dono dell'FBI, lasciato incustodito nello studio.
Si scoprirà poi che questo ragazzo, armato e potenzialmente pericoloso, è il figlio di un signore che doveva partecipare ad una delle cene mensili che Maigret organizza assieme al medico Pardon.
Il barone Francois Lagrange, almeno così si fa chiamare, anche se non è barone ed è anzi uno di quei signori che ha sempre delle bellissime idee per la testa ma niente soldi per finanziarle.
La sua amante, interrogata in seguito da Maigret, di lui dirà: "E' il tipo d'uomo che ti afferra per i risvolti della giacca e ti comunica che ha per le mani un affare di qualche centinaio di milioni, e che finisce col chiederti di prestargli i soldi per la cena o per un taxi".
Un debole, un incapace, che ha dovuto allevare i figli da solo, per la morte della madre, che poi l'hanno abbandonato arrivati alla maggiore età.
Eccetto Alain, il più piccolo.
Che si caccia in un guaio più grande di lui proprio per difendere il padre. Che viene arrestato perché si scoprirà che ha trasportato il cadavere di un importante uomo politico nel deposito della stazione, dentro un baule. È lui l'assassino? E quale la causa dell'omicidio?

Maigret, per motivi che nemmeno lui riesce a spiegarsi, si ritrova dentro questa inchiesta: che fine ha fatto il ragazzo e la sua pistola? Che uso intende farne? È il padre il colpevole, e che legami aveva col politico?
Per scoprirlo Maigret deve andare fino a Londra, nella terra dei “selvaggi”, perché negli hotel non può bere all'ora che gli pare e per mangiare deve accontentarsi di una tavoletta di cioccolato. Al latte.

Insomma, che cosa ci faceva lì? Era rimasto in piedi tutta la notte. Aveva bevuto un caffè in una portineria, poi aveva ascoltato le chiacchiere di una ragazzona in pigiama rosa che gli lasciava intravedere una striscia di pancia e cercava in ogni modo di rendersi interessante.E cos'altro? Alain Lagrange gli aveva sottratto la rivoltella e con quella aveva minacciato un passante per derubarlo del portafoglio prima di salire su un aereo per Londra. All'infermeria del carcere il barone faceva il matto.E se lo fosse stato davvero?Ammesso che anche Alain si fosse presentato in albergo, come si sarebbe comportato Maigret? Gli avrebbe rivolto la parola in tono gentile? Gli avrebbe detto di volere una spiegazione?E se quello avesse tentato di scappare, se avesse opposto resistenza? Che figura avrebbe fatto, davanti a tutti quegli inglesi che sorridevano al sole, a prendersela con un ragazzino? Magari avrebbero aggredito lui, Maigret ...”.

Inchiesta anomala e anche la soluzione sarà alquanto anomala. Di conseguenza anche l'umore di Maigret, nell'affrontare il caso, il viaggio a Londra, le “selvaggerie” degli inglesi (e il loro rispetto degli orari per poter bere), non sarà dei migliori. Ma accetterà tutto stoicamente sia per un senso paterno nei confronti del ragazzo, per evitargli guai peggiori. Sia perché Maigret non un poliziotto capace di lasciar perdere una storia, senza andare fino in fondo.

La scheda del libro sul sito di Adelphi

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E poi sono arrivato io ..


Troppo semplicistico raccontare dell'Italia messa in pausa da Berlusconismo e antiberlusconismo (il nostro caro leader ieri dal palco di CL).
Primo, perché Berlusconi e i suoi governi hanno fatto riforme e leggi che hanno cambiato in peggio il paese: la legge Gasparri, il falso in bilancio, la Bossi Fini, la ex Cirielli, la riforma della scuola della Gelmini ....
Secondo, perché molti degli antiberlusconiani di ieri (veri o finti) sono oggi suoi alleati. Per non dire che quel berlusconi che avrebbe bloccato il paese è indispensabile (assieme a Verdini) per far passare le sue riforme (jobs act, la riforma della scuola, il Senato e la riforma costituzionale).
Per esempio, mettiamo anche Repubblica tra gli antiberlusconiani che hanno bloccato il paese?

Non è che l'Italia è rimasta bloccata: è proprio scivolata all'indietro, su temi etici, sulla giustizia, sull'equità sociale (pensiamo al livello di evasione fiscale, ai soldi alle scuole private e tolti al pubblico).
Insomma, mi sembra che tutto questo voler semplificare il ragionamento serva solo a dire: l'Italia era nella palude e poi sono arrivato io. A salvarla.
Col jobs act e coi 47 contratti a tempo indeterminato in più.
Con la riforma della scuola che sta causando qualche problemino per le supplenti e per i presidi.
Con le norme che consentono le trivellazioni al largo, con tutti i rischi ambientali (di cui nessuno tiene conto).

Esiste oggi un'Italia dello storytelling, dei masterplan, delle grandi riforme (necessarie, urgenti, che aspettavamo da anni) e un'altra Italia, di cui se ne parla solo quando fa comodo.
Quella delle proteste degli insegnanti, di chi si oppone alle trivelle, al jobs act (dei licenziamenti collettivi, del demansionamento), al preside manager.
Tutta queste che ogni giorni prende la sua bastonatura quotidiana, sul web e sui giornali (leggetevi il post di Gilioli): perché realtà inventata a parte, il governo sa che sta camminando su un percorso in salita. Che se si coagula un movimento, un partito a sinistra, poi sono dolori.

25 agosto 2015

L'ombrellone


Quest'estate, sulla porzione di spiaggia libera di una località turistica del Cilento, ad un certo punto sono spuntati gli occupatori di spiaggia. Gente cioè che arrivava alla mattina presto, piazzava l'ombrellone con le stuoie e poi se ne andava. Per poi scendere in spiaggia con la famiglia qualche ora dopo, con calma.
Altri, ancora più pigri, avevano chiesto questo compito ai bagnini semi ufficiali dei lidi.
Non so quanto sia lecito questo comportamento, di certo è scorretto nei confronti di quanti poi arrivano al mare e si trovano tutto occupato da ombrelloni vuoti.
Un giorno una signora non ha più tollerato questa situazione (vengo al mare presto apposta e non posso avere uno spazio?) e ha chiuso l'ombrellone e spostato le stuoie.

Non che questo sia servito a qualcosa: i signori dell'occupazione si sono spostati più in là e comunque si è cercato di tenere la cosa nei limiti del buon senso.
Tutto questo mi ha fatto pensare a come a volte si reagisce ad una prepotenza (o a qualcosa che noi percepiamo come tale) solo quando ci colpisce da vicino.
Concretamente da vicino: come il pezzettino di spiaggia libera che, come dice il nome, è di tutti.

Se invece gli abusi e le prepotenze non ci toccano direttamente cambia il discorso: stessa località di mare, che dovrebbe vivere di turismo. L'ospedale pubblico, completato nemmeno sette anni fa è stato chiuso, per la razionalizzazione decisa in regione. È rimasto un polo sanitario e un pronto soccorso. Dove però se arrivi per una botta ti viene detto che la macchina per le radiografia è rotta. Forse la riparano oggi, forse domani ..
Sono settimane, mi dicevano altre persone, che il personale ripete questa storia. Che magari è vera.

I turisti devono così arrangiarsi con gli altri ospedali: il Cilento ha questo di bello, che è lungo, collinoso, con tanti piccoli paesi magari sui cucuzzoli delle colline.
Gli ospedali più vicini sono a 30-40 km di distanza: per andare a Vallo della Lucania, per esempio, si deve percorrere la strada Statale 18, che è interrotta da anni, a causa di una frana.
A Vallo la macchina per le radiografia c'è e funziona.
Ma è il resto che non funziona: il parcheggio, la confusione, tutta la gente che arriva al pronto soccorso, la sensazione di sentirsi come un pacco.

Ecco, di fronte a queste storie (che sarebbero i servizi pubblici cui noi avremmo diritto) ho visto una grande rassegnazione.
Gente che viene qui da anni e che dice: ho sempre paura che succeda qualcosa.
Tipo un malore e l'ambulanza che non arriva in tempo.
Tipo: “ho la casa che è peggio di una farmacia, per evitare di dover andare fuori”.


Forse un giorno qualcuno si renderà conto che è pure peggio dell'ombrellone piazzato lì per occupare il posto. Anche se, ammetto, spostare un ombrellone è più semplice che non far valere i diritti in comune, provincia (che ha competenze sulle strade) e regione.

24 agosto 2015

Montalbano e i cardini della storia

Nel libro “Il giro di boa”, Andrea Camilleri affronta il tema dell'immigrazione clandestina, prendendo di punta la legge Bossi Fini (nel libro chiamata Cozzi Pini).
Una legge sintomo di una società distorta, pensa il commissario Montalbano che, una sera, assiste ad un talk show in cui è presente uno di questi politici che soffiano sul fuoco dell'emergenza immigrati.
«Ho solo una breve dichiarazione da fare. La legge Cozzi Pini sta dismostrando funzionare egregiamente e se gli immigrati muoiono è proprio perché la legge fornisce gli strumenti per perseguire gli scafisti, che in caso di difficoltà, non si fanno scrupolo di buttare a mare i disperati per non rischiare di essere arrestati. Inoltre vorrei dire che ...».Montalbano, di scatto, si susì e cangiò canale, più che arraggiato, avvilito da quella presuntuosa stupidità. Si illudevano di si illudevano di fermare una migrazione epocale con provvedimenti di polizia e con decreti legge. E s'arricordò che una volta aveva veduto, in un paese toscano, i cardini del portone di una chiesa distorti da una pressione accussì potente che li aveva fatti girare nel senso opposto a quello per cui erano stati fabbricati. Aveva domandato spiegazione ad uno del posto. E quello gli aveva contato che, al tempo della guerra, i nazisti avevano inserrato gli 'omini del paese dintra alla chiesa, avevano chiuso il portone, e avevano cominciato a gettare bombe a mano dall'alto. Allora le pirsone, per la disperazione, avevano forzato la porta ad raprirsi in senso contrario e molti erano arrinisciuti a scappare.Ecco: quella gente che arrivava da tutte le parti più povere e devastate del mondo aveva con sé tanta forza, tanta disperazione da far girare i cardini della storia in senso contrario. Con buona pace di Cozzi, Pini, Falpalà e soci.
I quali erano causa ed effetto do un mondo fatto di terroristi che ammazzavano tremila americani in un botto solo, di americani che consideravano centinara e centinara di morti civili come effetto collaterale dei loro bombardamenti, di automobilisti che srafazzavano pirsone e non si fermavano a soccorrerle ... di bilanci falsi che a norma di nuove regole non erano da considerarsi falsi, di gente che avrebbe dovuto da anni trovarsi in galera e invece non solo era libera, ma faciva e dettava leggi.

E con buona pace di Salvini ma anche di Hollande e Merkel, che di fronte a questo esodo, questa tragedia non pensano ad altro che a pattugliare meglio le frontiere. 

Fumisteria, di Fabio Stassi

Certe storie sono peggio dei mafiosi. Non si fanno catturare. È per questo che si deve tacerle. Solo così, se si ha fortuna, all’ultimo, qualcuna si riesce pure a prenderla. Ma capita di rado. E, se capita, è solo per la coda. Perché da questa terra hanno rapinato tutto, proprio tutto, anche le voci, e il silenzio, è rimasto meno di niente”.

Fumisteria, lo spiega l'autore a fine libro, in dialetto siciliano significa indica il gusto di fare scherzi, ma anche quei discorsi altisonanti ma vuoti, destinati a risolversi in fumo.
Significa promettere e non mantenere: una pratica ben nota a taluni politici capaci di passare attraverso le varie ere politiche, voltando semplicemente gabbana.
Cosa c'entra questo col libro? Fabio Stassi racconta, attraverso un fatto di cronaca, della Sicilia del dopo guerra, delle lotte dei contadini e della (finta) riforma agraria che lasciò ancora le terre ai latifondisti. Dove le rivolte dei contadini e dei sindacati che aspiravano finalmente ad un cambiamento, furono soffocate con la violenza, col sopruso, col beneplacito dei politici che, dopo le ambizioni separatiste, avevano ben capito come avrebbe girato il vento e si erano rifugiati dietro lo scudo crociato.
A Kalamet, Padre Bendicò invocava ogni domenica, dal pulpito della Matrice, la scomunica per i comunisti e i socialisti e le fiamme dell’inferno per chi desse loro credito. Ma la precarietà del momento era solo apparente, l’ultima convulsione di una crisi ormai sotto controllo. La Democrazia Cristiana prometteva di portare a perfezione antichi e affidabilissimi sistemi di governo”.

Tutto questo viene raccontato attraverso un fatto di cronaca, ambientato nel paese di Kalamet (inventato, ma reale): uno dei tanti avvenuti in quegli anni in Sicilia. È l'omicidio del sindacalista Rocco La Paglia, trovato morto accanto la fontana del paese:
“Rocco fu ucciso che beveva dalla fontana di via Verdi. Bastarono due colpi di pugnale alle spalle, la punta nel cuore. L’uomo cadde chino in avanti e il viso combaciò con la fessura di pietra ai suoi piedi. Un pacchetto di sigarette sgusciò da una tasca della sua camicia e si aprì sul selciato. Non era ancora l’alba”.
Ma questo, invece, una soluzione la trova: i carabinieri individuarono in motivi d'onore (perso) la ragione per cui l'avvocato Licata (che aveva gestito i latifondi per i baroni e i signori) aveva ucciso il sindacalista ritenendolo l'amante della moglie Ester.

Ma anche questa è fumisteria: la storia, raccontata in brevi capitoli, ha un'altra amara verità, che riporta alla strage di Portella della Ginestra, ai suoi veri mandanti (politici).
Le ultime speranze di Rocco si infransero il primo maggio del 1947, quando Giuliano il bandito, o chissà chi altro, e chissà per conto di chi, e chissà perché, sparò contro i contadini in festa di Piana degli Albanesi”.

Il primo maggio del 1947, a Portella della Ginestra (nel paese di Piana degli Albanesi), la mafia, la banda di Giuliano e commandos armati con fucili americani spararono sulla folla lì radunata per festeggiare è una di quelle storie “che non si fanno catturare”, come dice la voce narrante che alterna il suo racconto della Sicilia alle storie dei protagonisti. Il primo segreto di Stato, Portella segna l'ingresso al tavolo della politica regionale (e nazionale) della mafia, segna il patto tra latifondo, massoneria, mafia e malapolitica.
Dal paese se ne sono andati anche gli scarpari, mi hanno detto, perché non hanno più nessuno a cui fare le scarpe. Sono rimasti solo quelli senza cervello, un poco di pescatori e chi sta in carcere, come me.”

Questa è l'amaro commento di questa voce, un contrabbandiere finito in carcere dopo aver ucciso un carabiniere (come il bandito Giuliano): la fine delle lotte contadine, la chiusura delle miniere, la fine nel sangue dei sindacalisti che cercavano giustizia e libertà (senza la prima non si può avere nemmeno la seconda), costrinsero quanti poterono ad andarsene dai paesi, dai campi.
È che da quest’isola se ne vanno tutti, non solo gli scarpari, anche le storie, perché non c’è più a chi raccontarle. Restano solo quelle che non hanno senso e non dicono niente.”

La storia del fumo.
Non è solo la fumisteria delle promesse non mantenute: il fumo in questo racconto è centrale per altri motivi. Parte dall'odore del fumo la storia inventata della relazione tra la moglie dell'avvocato e il sindacalista Rocco:
Il letto sapeva di fumo. L’avvocato Licata ne fiutò l’odore appena mise la testa sul cuscino. La data di quella notte non la dimenticò più: 24 settembre 1954, giorno d’estate appena bruciata, di vendemmia e luna equinoziale”.

E la lettera anonima che porta i carabinieri su questa pista fa ancora riferimento al fumo.
E il fumo era un vizio che accomunava la domestica di casa Licata ma anche Ester, la moglie.
Fumo l'inchiesta dei carabinieri.
Fumo la resistenza, il partito di Rocco. Fumo i suoi assassini e la mafia.
Tutto fumo:
soltanto qualche naso più fine di altri, a volte, in particolari circostanze, potrà appena percepire un certo lontano odore di bruciato”.

I muli della vergogna e la storia personale di Fabio Stassi
Il bisnonno di Fabio Stassi quel giorno era salito a Portella, assieme ai suoi muli: i suoi parenti hanno raccontato le storie che fanno da cornice al racconto. Le partenze e i ritorni, le lotte per ribellarsi ad un destino di ingiustizia già scritto.
Da loro, ha ascoltato il primo racconto sulla strage di Portella della Ginestra, troppo bella per non riportarla:
Sciatu meu, la valle era tutta una giostra di bambini.
Arrivavano contadini da ogni paese. Da San Giuseppe Jato, Altofonte, da Montelepre, da San Cipirello...
Erano due anni dalla fine della guerra, in Sicilia quattro.
Ma ancora non si sapeva in che ordine sarebbero tornate le cose.
Nell’isola avevano vinto le sinistre. C’era clima di attesa, e di speranza.
Da ogni lato della montagna si inerpicavano muli.
Da una parte venivano su carichi di nespole, vino, carciofi e pane.
Dall’altra, nascosti tra insenature di roccia e sentieri di pascolo, risalivano il costone pieni di moschetti militari e fucili americani.
Tu i muli li vedi, e ti sembrano uguali, diceva mio padre. Invece uguali non sono.
Alcuni quella mattina portavano la morte, sotto coperte di spago; altri dispensavano pane e frutta. Erano muli contrari nella dignità e nella soma.

La scheda del libro sul sito di Sellerio.

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23 agosto 2015

Era di maggio di Antonio Manzini

Dalla finestra aperta entrava il profumo dei fiori di campo. Riusciva a superare la puzza dei tubi di scappamento delle auto. Per tutto l'inverno aveva sentito solo l'odore della legna bruciata. E la resina dei boschi. Anche la neve avrebbe dovuto avere un odore. Ma Rocco non era mai riuscito a catalogarlo, preso com'era a bestemmiare contro quel manto gelido che gli mangiava un paio di scarpe dopo l'altro.
A maggio la primavera esplode anche ad Aosta: laddove fino a poche settimane prima c'era il freddo, la neve sulle montagne, ora è tutta un esplosione di colori, di profumi come non ti aspetteresti.
Aosta, dove è stato relegato il vicequestore (mi raccomando, non commissario) Rocco Schiavone, potrebbe essere quasi un posto felice per viverci. Certo, se non fosse che anche ad Aosta ci si può imbattere in quegli intrecci criminali di cui abbiamo letto sui giornali: criminalità organizzata, appalti pubblici pilotati, usura che soffoca le imprese, politici compiacenti, banche colluse …
Ma per Rocco, il poliziotto con un concetto di giustizia molto personale, c'è anche altro di cui preoccuparsi: sono passati appena pochi giorni dalla morte dell'amica Adele, la fidanzata dell'amico Sebastiano, uccisa da qualcuno che non ha nome né volto a casa sua, nel suo letto. Così si concludeva il precedente romanzo di Antonio Manzini"Non è stagione": con quei colpi che hanno ucciso Adele, ma che erano chiaramente rivolti a lui: una vendetta per un vecchio conto da saldare ..
Da diversi giorni Rocco Schiavone sta chiuso nel suo residence (avendo i sigilli che chiudono il suo appartamento), assieme a Lupa, la cagnetta trovata sulla neve, senza farsi vedere in Questura:
"In Questura le cose continuavano ad andare avanti anche senza la presenza di Rocco. L'agente Casella di turno in portineria, Deruta e D'Intino alle prese con qualche documento smarrito, il vicequestore Caterina Rispoli al telefono nel piccolo ufficio al piano terra, Antonio Scipioni, l'agente siculo marchigiano, impegnato a raccogliere denunce. Italo Pierron sembrava l'unico a sentire la mancanza del suo capo. Affacciato sulla sua porta, guardava l'ufficio l'ufficio vuoto di Rocco".
“Era di maggio” parte da qui, come un naturale seguito dove il racconto però si divide un più filoni: la caccia all'assassino di Adele, portata avanti da Rocco assieme a Furio, Brizio e Sbastiano in una indagine non autorizzata, per dare nome a questa ombra, cercando tra quanti possono avere motivi d'odio nei suoi confronti.
La morte del boss della 'ndrangheta Cuntrera, nel carcere a Varallo, per un infarto durante una rissa. Che forse infarto non è perché un capo mafia come lui non può morire per morte naturale.
Ci sono gli strascichi dell'inchiesta sull'impresa Edil.Ber (il ruolo della banca locale, i complici di Cuntrera che non si trovano) dei signori Berguet: c'è qualcosa, nelle conclusioni dell'inchiesta, che non convincono né il vicequestore, né il giudice Baldi che ha seguito il caso.

Anche perché ora un nuovo imprenditore rampante si è affacciato sulla piazza, prendendosi gli appalti dalla regione della Edil.Ber: si chiama Luca Grange, giovane e con l'aria del vincente, che ha come amici e come partner anche un ex terrorista, uscito dalla patrie galere grazie alla buona condotta e riciclato come produttore di vino assieme ad altri ex detenuti.
Rocco ha modo di incontrarli ad una festa e, col suo consueto cinismo, ne da una spietata radiografia:
“Scrutava i volti degli invitati. Gli uomini spruzzavano boria dai pori della pelle. Le donne, botulino. Sembravano avere tutte lo stesso viso. Quello ricreato nelle sale operatorie. Un'omologazione democratica di tratti somatici che azzerava razze e connotati rendendo quei visi lisci, lucidi e inespressivi. Una casa piena di rettili”.
Rettili, non a caso. Rocco Schiavone ha il vizio di associare al volto di ogni persona un animale: l'ex terrorista, ora riabilitato grazie alla giustizia italiana, è uno degli ospiti del ricevimento:
Walter Cremonesi era un Dendroaspis polylepis, noto come mamba nero. Gli occhi vivi e distanti, la bocca sena labbra e il corpo magro che sembrava poter scattare da un momento all'altro. Ma la cosa che aveva in comune col rettile era la forma della testa. Una bara”.
Certo, il dolore della morte dell'amica, le domande sull'assassino. Ma a scuotere Rocco dal suo stato sarà proprio la morte del boss in carcere:
«Sembra infarto, ma per il giudice si tratta di altro».«Già. Mimmo Cuntrera non muore così. Sarebbe troppo bello se le merde come lui fossero stroncate da infarto. È malerba, schiatta molto difficilmente».«Rocco, forse dovresti tornare in ufficio».Italo aveva ragione e il vicequestore lo sapeva. Mimmo Cuntrera era lo strascico dell'affare Berguet. E delle indagini che Rocco aveva fatto per salvare la pelle alla figlia Chiara. Non poteva restare chiuso dentro il Vieux Aosta. Adele era morta. E lui si sentiva responsabile.[..] Quei proiettili 6.35 erano diretti a lui, a Rocco Schiavone.«Mettilo agli atti, Italo. In una notte di maggio, alle ore .. una e dieci, al vicequestore Rocco Schiavone piomba addosso una rottura di coglioni di decimo grado!»

Apriamo una parentesi: dovete sapere che il vicequestore ha una sua gradazione personale per le rotture (..), dal sesto al decimo grado:
Italo aveva diviso il foglio in cinque grandi rettangoli che rappresentavano la classifica delle rotture di scatole di Rocco Schiavone, dal sesto al decimo grado. Oramai tutti conoscevano quella graduatoria. Partiva dalla sesta posizione con le grane più leggere per arrivare alla vetta, la decima, dove allignava in solitaria la peggiore delle rotture di coglioni: il caso da risolvere”.
La prima parte di questo romanzo si divide in tante storie che sembrano procedere separate, che confluiscono assieme nella seconda parte: da Francavilla a mare, dove l'assassino di Adele si è nascosto, nella casa di un ex rapinatore ora proprietario di un bar.
A
Roma, dove gli amici Brizio e Sebastiano cercano di capirci qualcosa su chi possa avere motivi di vendetta contro Rocco.
A
Varallo, dove è morto il boss e dove Rocco viene mandato per capire meglio la dinamica dei fatti.
Infine ad
Aosta: la città che ha scoperto la ndrangheta e le cricche affaristiche, che ora si risveglia dal lungo e colpevole sonno. Perché la mafia non è entrata da sola, ma fatta arrivare da banchieri e professionisti della città senza scrupoli.
È il mondo che Rocco ha già intravisto a quel ricevimento di cui sopra: imprenditori con la passione dei cavalli e stallieri che più che esperti in equini sono dei pesci pilota per altri traffici.
Donne p.r., con profumi particolari, che fanno una doppia vita.

Assieme agli agenti della Questura, il nostro vice questore arriverà alla soluzione del caso, anzi dei casi, in un finale che comunque non chiude tutte le storie.
Perché così è anche la vita: non chiude mai tutte le possibilità alle persone, anche a gente come Rocco.
Il poliziotto dal passato non troppo limpido e dove la linea di separazione tra bene e male non è così limpida.
Il poliziotto reso così cinico e disincantato dalla strada, dal male in cui è costretto ad affondare le mani.
«Perché ti sei intristito?»«Perché non mi abituerò mai alla realtà, Caterina. Passano gli anni, vedo lo schifo ma non riesco ad abituarmi».«Quale realtà .. di cosa stai parlando?»«Scoprire la verità, Caterì. È il mio mestiere. Mi pagano per questo. Poco ma mi pagano. E ogni volta che la scopro, vorrei chiudere gli occhi e fingere che non sia così. Ma i fatti, amica mia, quelli parlano e sono evidenti».Caterina non capiva. Guardava il vicequestore che s'era trasformato ai suoi occhi.«E' la merda, viceispettore Rispoli. Che tracima continuamente, e non sopporto più quella puzza. Tutto qui».

Dalla morte della moglie Marina (finalmente scopriremo un tassello importante della sua morte) e dall'incapacità di mettersi alle spalle il passato:
«Io a casa nuova non ci vengo».C'è qualcosa che non riesco a deglutire. Eppure non ho neanche cenato. «Che vuol dire non vieni?».«Non vengo. Non vengo più. Magari quando torni a Roma, se ci torni, ti aspetto lì. Ma qui non ho più altro da fare».«Non hai altro da fare? Dev stare con me».Si passa una mano sulla fronte. È bianca come la neve, e leggera come il polline. «Sono stanca, Rocco. Mi credi se ti dico che non ce la faccio più?» volta la testa. I muscoli del collo si tirano. Strizza gli occhi. «E neanche tu ce la fai più, amore mio».


Aspettiamo ora il prossimo capitolo della storia del vicequestore, che abbiamo imparato a conoscere un po' di più ad ogni romanzo. Con le sue spigolature, il suo cinismo, le sue canne in ufficio, il suo confine tra legalità e crimine spostato un pelino oltre. Ma anche la sua capacità nel vedere e decifrare la realtà italiana dei privilegi, delle cricche, delle piccole e grandi ingiustizie.
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.
La scheda del libro su
Einaudi.

22 agosto 2015

Stragi Rita Di Giovacchino

Da questo saggio, che scorre rapido come un romanzo, affiorano scenari inquietanti sugli eventi omicidiari e stragisti terroristico-eversivi che hanno profondamente segnato la vita democratica del nostro Paese,hanno contribuito a determinare nuovi assetti di potere. I risultati delle inchieste e le parole dei collaboratori di giustizia s’intrecciano ai ricordi personali e all’esperienza professionale dell’autrice maturata in Sicilia”.Dall'introduzione del magistrato Luca Tescaroli

Non credo che troverete libri così completi e documentati sulle stragi della stagione 1992-1993, sulla triste fine della prima Repubblica, sulla trattativa Stato Mafia.
Rita Di Giovacchino ha raccolto in questo libro, scritto nel corso di più anni, tutti gli appunti, gli articoli, le testimonianze, le rivelazioni dei pentiti su questo capitolo della nostra storia, a più di vent'anni.
“Quando ho cominciato a scrivere Stragi erano già passati venti anni dalla morte di Falcone e Borsellino e da quelle due terribili estati che hanno cambiato l’Italia. Venti anni sono un traguardo importante, era venuto il momento di tirare le somme di tante cose scritte o dette, nei processi e al di fuori dei processi”.

Ne è uscito un racconto che porta a sostenere una tesi abbastanza precisa: le stragi del 1992 1993, pur se eseguite in prima persona dalla mafia e riconducibili al capo dei capi Totò Riina, riportano ad una strategia decisa ad un livello ben più alto. Non si sta dicendo che la mafia si sia messa a servizio di un'entità esterna, ma che ci siano stati dei contatti tra rappresentanti delle Istituzioni, massoneria, e i vertici di cosa nostra che dai primi avrebbero preso suggerimenti sulla strategia da intraprendere, sugli obiettivi da colpire. Per una convergenza di interessi, tra stato e antistato:
Rita Di Giovacchino s’interroga se quelle stragi siano state «vendetta di mafia o un golpe messo in atto da quel “sistema criminale” che con la mafia si è sempre intrecciato, divenuto troppo potente per poter essere liquidato alla fine della Guerra Fredda»”.Luca Tescaroli, introduzione del libro.

Per parlare delle stragi e di “quello che Stato e mafia non possono confessare”, si deve partire dagli incontri al santuario della madonna di Polsi nel 1991, dove i boss della ndrangheta decisero che era arrivato il momento di costruire una nuovo referente politico. Dopo il crollo del muro di Berlino si doveva chiudere la stagione del governo della Democrazia Cristiana. E dove venne decisa la creazione della Santa, il livello superiore alle ndrine, dove far incontrare ndrine, massoneria e servizi.
Dall'omicidio del giudice Saetta e del giudice Scopelliti, che avrebbero dovuto sostenere l'accusa per il maxi processo rispettivamente in Appello e Cassazione. Si ritiene che anche il loro omicidio abbia influito poi sulla sentenza del maxi processo, per confermare le condanne.
Si deve riprendere l'inchiesta “sistemi criminali”, che non si limita a parlare di mafia, ma tira in ballo la massoneria, la stagione delle leghe meridionali e settentrionali, l'ipotesi di separare l'Italia in micro stati, come la voleva l'ideologo Miglio, come era stata raccontata dall'Economist.

Si devono riprendere in mano le inchieste sulla lunga stagione delle stragi in Italia e dei tentativi di golpe degli anni 70 quando le bombe furono usate (dai gruppi neofascisti controllati dai servizi deviati e dai politici cui questi facevano riferimento) per destabilizzare nell'ottica di una stabilizzazione verso il centro della politica. Nell'ottica di frenare la crescita del partito comunista, la crescita in senso democratico del paese, la rottamazione di una classe politica perpetuamente al potere per quasi cinquant'anni.
Capaci come piazza Fontana e come la strage di via Fani?
Se Ordine Nuovo ambiva a «fare disordine per ristabilire l’ordine», anche Riina, nei mesi delle bombe, spiegava ai suoi fedelissimi che con lo Stato bisognava «fare la guerra per fare la pace».

Stiamo parlando di un golpe, o di qualcosa che ci è arrivata molto vicino. Dopo quella stagione “l’Italia è uscita rimpicciolita nel suo ruolo internazionale, impoverita e priva di una classe dirigente. Del resto non era questo il progetto delle stragi? Mai si è capito perché l’inchiesta sui «sistemi criminali» sia stata archiviata, addirittura dimenticata, anzi rimossa.”

La bomba di Capaci fece saltare Giovanni Falcone in quella maniera così eclatante, ma anche la candidatura di Andreotti alla presidenza della Repubblica.
Le stragi hanno condizionato la politica italiana in quegli anni, impedendo che la battaglia contro cosa nostra (e la zona grigia tra stato e mafia) venisse combattuta.
È scrittoa in una nota della Dia, firmata dal direttore De Gennaro:
Nel documento si dipingeva lo scenario di un pactum sceleris, stretto dalla mafia «con centri di potere politici occulti e illegali», non con i partiti di governo, per «intimidire lo Stato… condizionare il rinnovamento politico e istituzionale del nostro Paese»”.

Si fa in fretta a classificare queste ipotesi come le solite dietrologie. Oggi, a vent'anni e più da quei fatti, si ha tanta voglia di dimenticare, di relegare su un cippo celebrativo Falcone e Borsellino (assieme alle scorte), chiudendo in un armadio tutti i dubbi e le domande senza risposta, sui depistaggi. Si dice che oggi la mafia non uccide più come prima, che le bombe non le mette più (dal 1994, dal fallito attentato all'Olimpico, dal primo governo della seconda repubblica...). Si dice che lo stato ha vinto, che l'ala militare della mafia sia tutta in carcere. Che se in tanti anni non sono stati individuati i committenti esterni delle stragi, è inutile cercare ancora.
Che in tutte le guerre ci sono delle trattative, tra i due eserciti, per evitare altre morti. Che è stato giusto trattare con la (nuova?) mafia, se questo ha salvato altre vite ....

Ma quella trattativa (che c'è stata e non è presunta come spesso si scrive) non ha fermato la mafia, che oggi ha semplicemente cambiato faccia (entrando dalla porta principale in economia, nella politica, nella finanza). Quella trattativa è stato, da una parte e dall'altra, un tentativo di condizionare la politica di uno stato sovrano: obiettivo era ripristinare quei patti scellerati, che dopo la sentenza del maxi (e gli ergastoli) erano stati rotti.
Da più di 150 anni si assiste, scrive il pm Tescaroli, alla convivenza tra due realtà antitetiche:
“questa atavica convivenza non si spiega a meno che non si ammetta che la linea di demarcazione tra il bene e il male, cioè tra Stato e mafia, non sia poi così netta”.

E ancora:
..è in quest’area grigia – permeata di inconfessabili accordi, scambi, depistaggi, disimpegno, complicità di esponenti delle istituzioni e del mondo economico con assassini – che si collocano le condotte ruotanti attorno ai negoziati e ai ricatti degli anni ’92-94”.
Se il sud (e non solo), è in condizioni peggiori della Grecia (come ci dice il rapporto dello Svimez) è anche per questo.
Non possiamo e non dobbiamo fermarci alle celebrazioni sterili e anche ipocrite del 23 giugno o del 18 luglio. Dobbiamo riprendere a ragionare sulle stragi di mafia chiedendoci se sia stata solo la mafia, quali erano gli obiettivi reali e chi più di altri ne ha beneficiato.
“Occorre che venga a galla la verità sulle stragi, soltanto allora sapremo con certezza come, chi e perché qualcuno ha trattato con la mafia, ha sfruttato la sua rabbia per spingerla a distruggere l’Italia. Bisogna evitare che la protezione di «segreti» di Stato metta in pericolo la vita di chi, comunque sia, questa verità sta cercando”.

Quelle bombe, quelle di Capaci e via D'Amelio, ma anche quelle in continente di Firenze, Milano e Roma, che uccisero gente che non aveva nulla a che fare con la mafia e con l'antimafia, spazzarono via il sistema dei partiti che aveva governato nella prima repubblica, preparando il campo ad una nuova stagione politica, con partiti e leader nuovi.
Come l'eterno gattopardo.
Le bombe ebbero anche come altro effetto quello di spazzar via la mafia corleonese, i loro boss sono finiti in carcere, sepolti da sentenze passate in giudicato senza speranza di vedere nuovamente la libertà.
Fa riflettere come, quasi dieci anni prima, gli stessi corleonesi avessero preso il posto delle famiglie egemoni negli ultimi anni '70, i Bontade e gli Inzerillo, depositari di segreti pesanti, con cui potevano ricattare la classe politica democristiana.
Specie dopo aver gestito in Sicilia il finto rapimento di Michele Sindona. Rapimento che fu seguito da una lunga scia di cadaveri eccellenti: l'omicidio del presidente della regione Piersanti Mattarella (fratello dell'attuale presidente della Repubblica), del prefetto Dalla Chiesa, dei giudici Costa e Terranova, del segretario del PCI Pio La torre.

Rita Di Giovacchino, in uno dei passaggi più interessanti del libro, parla di un filo, che lega l’eliminazione politica di Aldo Moro a quella di Andreotti a Capaci, e dell’intera Dc in via D’Amelio, “accomunati dal fatto di non essere più funzionali agli interessi del Gioco grande”.

La mafia militare di Riina e Provenzano come una sorta di holding criminale, come a Roma lo era la banda della Magliana, nel nord Ordine Nuovo e, forse, la Uno Bianca in Emilia?
Forse.
Di certo, se è impensabile ritenere che i boss mafiosi rispondessero ad un quarto livello superiore, è plausibile pensare che per una sorta di convergenza di interessi, si fossero prestati a diventare una sorta di braccio armato per compiere quei delitti politici che hanno insanguinato la Sicilia a cavallo degli anni '80. Subito dopo il finto rapimento di Sindona, gestito dal massone piduista Miceli Crimi.
E qui il cerchio si chiude.

Perché davanti al lettore si spalanca una nuova prospettiva, con cui rivedere tanti episodi della storia di mafia, mettendoci dentro la Gladio siciliana, il centro scorpione di Trapani, i servizi deviati, il traffico di armi e rifiuti dalla Sicilia verso l'Africa.
Di artificieri della mafia addestrati in zone di guerra, misteriosi telefonisti della Falange armata, di impronte e tracce di T4 lasciate da «operatori distratti», dei telefonisti della Falange armata che (dice il prefetto Fulci ex direttore del Cesis), facevano parte di Gladio.
Il livello di interessi in campo si alza dalla sola cosa nostra siciliana.

Tornano in mente le parole di Pio La Torre, quando parlò di un “tribunale internazionale” che avrebbe deciso gli omicidi politici in Sicilia. Non può essere solo mafia.

Dietro le bombe (e i depistaggi delle inchieste, che sottrassero prove utili ai magistrati per costruire false piste) degli anni '70 si intravede la presenza di Gladio, dell'Anello (o Noto Servizio), dei contatti con i servizi e poteri forti di oltre atlantico.
Servizi che hanno tolto ai magistrati le prove per costruirne di false (la falsa pista degli anarchici per Piazza Fontana). Lo stesso è successo per Capaci e via D'Amelio.
Perché è stato creata la falsa pista (dalla squadra del questore La Barbera) del pentito Scarantino che si autoaccusò (a suon di sevizie) della bomba contro Borsellino?
Quale era l'obiettivo di La Barbera (che pure aveva fatto parte dei servizi)?
Perché la mafia decise di uccidere a Palermo, con quella bomba (forse potenziata con esplosivo di provenienza militare) il giudice Borsellino?
Perché decise di compiere un altro attentato, sempre con una bomba, contro il giudice Borsellino, appena 55 giorni dopo?
Non aveva forse messo a bilancio che lo stato sarebbe stato costretto a dare una risposta, anche di fronte all'opinione pubblica (come avvenne con l'approvazione de decreto Falcone)?
Come mai tanti dei protagonisti, politici e militari, di quegli anni, hanno perso la memoria? Il ministro Martelli che oggi racconta di come Borsellino sapesse della trattativa per voce di Liliana Ferraro.
Come il ministro Mancino e l'incontro con Borsellino al Viminale.
Come il guardasigilli Conso, che decise in solitudine di togliere il 41 bis a quasi 500 mafiosi, come segnale distensivo dopo le bombe?
E tutto questo nonostante la nota scritta dalla Dia di De Gennaro, che avvertiva come le bombe avessero come obiettivo proprio l'eliminazione del 41 bis.
Come si può capire, non stiamo parlando solo di mafia, si arriva al centro dello stato.
Alle bombe che servivano per dare un colpetto allo stato, come racconta Spatuzza che con le sue parole ha messo in luce il ruolo dei Graviano nelle stragi. La loro latitanza al nord, protetta da qualcuno in alto. All'espressione “abbiamo il paese in mano”, grazie a quel compaesano.
Si parla di Forza Italia, di Dell'Utri e Berlusconi, dei soldi che la mafia avrebbe investito al nord, proprio negli affari del cavaliere.
Il boss Tullio Cannella, fedelissimo di Leoluca Bagarella, racconta:
«Vitale mi disse che i soldi di Bontade, svariate centinaia di miliardi, se li erano fottuti Dell’Utri e Berlusconi. Spero ci sia qualcuno ancora vivo che possa confermarlo».

Mi chiedo se l'ultimo processo di Palermo, sulla trattativa, dove lo Stato è chiamato a processare se stesso, riuscirà a far luce anche su queste domande.

Giulio Andreotti, l'uomo dei misteri.
Nell'ultimo capitolo si torna a parlare di Andreotti e della sua decisione di rivelare l'esistenza di Gladio, dopo essere stato zitto (non so, non ricordo) per anni:
Giulio Andreotti è sempre stato l’uomo dei misteri ma la decisione, apparentemente suicida, che lo spinse il 24 ottobre 1990 a rivelare l’esistenza di Gladio è ancora oggi difficile da comprendere. Era a due passi dal diventare Capo dello Stato [..]sono in molti a pensare che aver sollevato il velo sul segreto di Stato sia stato all’origine di tutti i suoi guai. La reazione immediata fu un terremoto politico internazionale senza precedenti:[..]l’unica spiegazione plausibile è che il Divo, avendo intuito cosa stava maturando contro il suo progetto di scalare l’Alto Colle, avesse deciso di giocare d’anticipo: lui i golpe si era limitato a minacciarli per poi sventarli, qualcuno ora faceva sul serio.

Gladio, ovvero l'emazione italiana di Stay Behind, la rete ideata (senza avvisare il Parlamento italiano né tantomeno i cittadini italiani) dalla Cia in accordo col Sifar, in ottica anti invasione sovietica.
Forse l'ultima mano di poker del sette volte primo ministro, condannato (ma prescritto) per mafia, nei confronti del sistema di potere che aveva deciso a fine guerra gli assetti politici del nostro paese?
In proposito, scrive l'autrice:
dietro la Gladio ufficiale, coordinata dalla Nato, ci sarebbe una seconda Gladio alle dirette dipendenze della Cia che avrebbe pescato le sue milizie «ideologicamente selezionate» all’interno di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, entrati a far parte delle «reti» parallele[..]Ma c’è anche chi pensa che la mafia sia stata una vera e propria «rete» parallela, come la Banda della Magliana, ribattezzata da Sica «Agenzia del crimine».

L'agenzia del crimine alle dipendenze di quel tribunale internazionale composto da gente di altissimo livello, come disse Pio La Torre dopo l'omicidio Mattarella.

Non fu un golpe, forse, la stagione delle stragi. Ma un riequilibro dei poteri dopo che caduto il muro di Berlino, si capì che si doveva spostare l'asse dei conflitto si spostava da Est-Ovest verso il Nord e il Sud del mondo. E dunque non serviva più quella classe politica che già aveva deluso negli anni '70 con l'apertura a sinistra.
E non serviva nemmeno più Gladio né l'ala militare mafiosa.
I poteri sovranazionali che hanno (forse) gestito o pilotato questo stragi l'avevano capito da tempo.

Una considerazione sull'estremismo islamico.
L'ultima considerazione dell'autrice: se dovesse sbarcare sulle nostre coste, l'Isis avrebbe più timori di cosa nostra e ndrangheta che dello stato. Cosa nostra non ha mai chiuso i canali verso il con il Nordafrica e i Paesi mediorientali: 
Magari, come nello sbarco alleato, anche il Califfo spedirà in Sicilia il suo Lucky Luciano. ”

I capitoli del libro.
Introduzione di Luca Tescaroli
Il mio romanzo siciliano di Rita di Giovacchino

1988-1991. La rottura dei patti
L'omicidio di Campo Calabro.
I segreti di Trapani
Guerre di mafia e antimafia
Storia di Nino Gioè

1992. L'Italia salta in aria
Mondello, l'omicidio Lima
Capaci, la strage annunciata
Nuovi e vecchi misteri
Via D'Amelio, la strage decisa in fretta
La verità negata

La trattativa
L'atto d'accusa della procura di Palermo
Il Viminale
L'inchiesta del pm Chelazzi
Il grande progetto
Lo scontro al vertice del DAP
Il generale Mori
La fine di un ciclo politico-mafioso

1993: gli ultimi mesi della prima Repubblica
Le stragi in continente
Ciampi e la notte del black out
La nascita di Forza Italia
L'ordine venuto dal nord
I segreti di Trapani/2
L'ombra del golpe

Un capitolo del libro dedicato a Matteo Messina Denaro.
La scheda del libro sul sito di Castelvecchi editore.

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