22 agosto 2015

Stragi Rita Di Giovacchino

Da questo saggio, che scorre rapido come un romanzo, affiorano scenari inquietanti sugli eventi omicidiari e stragisti terroristico-eversivi che hanno profondamente segnato la vita democratica del nostro Paese,hanno contribuito a determinare nuovi assetti di potere. I risultati delle inchieste e le parole dei collaboratori di giustizia s’intrecciano ai ricordi personali e all’esperienza professionale dell’autrice maturata in Sicilia”.Dall'introduzione del magistrato Luca Tescaroli

Non credo che troverete libri così completi e documentati sulle stragi della stagione 1992-1993, sulla triste fine della prima Repubblica, sulla trattativa Stato Mafia.
Rita Di Giovacchino ha raccolto in questo libro, scritto nel corso di più anni, tutti gli appunti, gli articoli, le testimonianze, le rivelazioni dei pentiti su questo capitolo della nostra storia, a più di vent'anni.
“Quando ho cominciato a scrivere Stragi erano già passati venti anni dalla morte di Falcone e Borsellino e da quelle due terribili estati che hanno cambiato l’Italia. Venti anni sono un traguardo importante, era venuto il momento di tirare le somme di tante cose scritte o dette, nei processi e al di fuori dei processi”.

Ne è uscito un racconto che porta a sostenere una tesi abbastanza precisa: le stragi del 1992 1993, pur se eseguite in prima persona dalla mafia e riconducibili al capo dei capi Totò Riina, riportano ad una strategia decisa ad un livello ben più alto. Non si sta dicendo che la mafia si sia messa a servizio di un'entità esterna, ma che ci siano stati dei contatti tra rappresentanti delle Istituzioni, massoneria, e i vertici di cosa nostra che dai primi avrebbero preso suggerimenti sulla strategia da intraprendere, sugli obiettivi da colpire. Per una convergenza di interessi, tra stato e antistato:
Rita Di Giovacchino s’interroga se quelle stragi siano state «vendetta di mafia o un golpe messo in atto da quel “sistema criminale” che con la mafia si è sempre intrecciato, divenuto troppo potente per poter essere liquidato alla fine della Guerra Fredda»”.Luca Tescaroli, introduzione del libro.

Per parlare delle stragi e di “quello che Stato e mafia non possono confessare”, si deve partire dagli incontri al santuario della madonna di Polsi nel 1991, dove i boss della ndrangheta decisero che era arrivato il momento di costruire una nuovo referente politico. Dopo il crollo del muro di Berlino si doveva chiudere la stagione del governo della Democrazia Cristiana. E dove venne decisa la creazione della Santa, il livello superiore alle ndrine, dove far incontrare ndrine, massoneria e servizi.
Dall'omicidio del giudice Saetta e del giudice Scopelliti, che avrebbero dovuto sostenere l'accusa per il maxi processo rispettivamente in Appello e Cassazione. Si ritiene che anche il loro omicidio abbia influito poi sulla sentenza del maxi processo, per confermare le condanne.
Si deve riprendere l'inchiesta “sistemi criminali”, che non si limita a parlare di mafia, ma tira in ballo la massoneria, la stagione delle leghe meridionali e settentrionali, l'ipotesi di separare l'Italia in micro stati, come la voleva l'ideologo Miglio, come era stata raccontata dall'Economist.

Si devono riprendere in mano le inchieste sulla lunga stagione delle stragi in Italia e dei tentativi di golpe degli anni 70 quando le bombe furono usate (dai gruppi neofascisti controllati dai servizi deviati e dai politici cui questi facevano riferimento) per destabilizzare nell'ottica di una stabilizzazione verso il centro della politica. Nell'ottica di frenare la crescita del partito comunista, la crescita in senso democratico del paese, la rottamazione di una classe politica perpetuamente al potere per quasi cinquant'anni.
Capaci come piazza Fontana e come la strage di via Fani?
Se Ordine Nuovo ambiva a «fare disordine per ristabilire l’ordine», anche Riina, nei mesi delle bombe, spiegava ai suoi fedelissimi che con lo Stato bisognava «fare la guerra per fare la pace».

Stiamo parlando di un golpe, o di qualcosa che ci è arrivata molto vicino. Dopo quella stagione “l’Italia è uscita rimpicciolita nel suo ruolo internazionale, impoverita e priva di una classe dirigente. Del resto non era questo il progetto delle stragi? Mai si è capito perché l’inchiesta sui «sistemi criminali» sia stata archiviata, addirittura dimenticata, anzi rimossa.”

La bomba di Capaci fece saltare Giovanni Falcone in quella maniera così eclatante, ma anche la candidatura di Andreotti alla presidenza della Repubblica.
Le stragi hanno condizionato la politica italiana in quegli anni, impedendo che la battaglia contro cosa nostra (e la zona grigia tra stato e mafia) venisse combattuta.
È scrittoa in una nota della Dia, firmata dal direttore De Gennaro:
Nel documento si dipingeva lo scenario di un pactum sceleris, stretto dalla mafia «con centri di potere politici occulti e illegali», non con i partiti di governo, per «intimidire lo Stato… condizionare il rinnovamento politico e istituzionale del nostro Paese»”.

Si fa in fretta a classificare queste ipotesi come le solite dietrologie. Oggi, a vent'anni e più da quei fatti, si ha tanta voglia di dimenticare, di relegare su un cippo celebrativo Falcone e Borsellino (assieme alle scorte), chiudendo in un armadio tutti i dubbi e le domande senza risposta, sui depistaggi. Si dice che oggi la mafia non uccide più come prima, che le bombe non le mette più (dal 1994, dal fallito attentato all'Olimpico, dal primo governo della seconda repubblica...). Si dice che lo stato ha vinto, che l'ala militare della mafia sia tutta in carcere. Che se in tanti anni non sono stati individuati i committenti esterni delle stragi, è inutile cercare ancora.
Che in tutte le guerre ci sono delle trattative, tra i due eserciti, per evitare altre morti. Che è stato giusto trattare con la (nuova?) mafia, se questo ha salvato altre vite ....

Ma quella trattativa (che c'è stata e non è presunta come spesso si scrive) non ha fermato la mafia, che oggi ha semplicemente cambiato faccia (entrando dalla porta principale in economia, nella politica, nella finanza). Quella trattativa è stato, da una parte e dall'altra, un tentativo di condizionare la politica di uno stato sovrano: obiettivo era ripristinare quei patti scellerati, che dopo la sentenza del maxi (e gli ergastoli) erano stati rotti.
Da più di 150 anni si assiste, scrive il pm Tescaroli, alla convivenza tra due realtà antitetiche:
“questa atavica convivenza non si spiega a meno che non si ammetta che la linea di demarcazione tra il bene e il male, cioè tra Stato e mafia, non sia poi così netta”.

E ancora:
..è in quest’area grigia – permeata di inconfessabili accordi, scambi, depistaggi, disimpegno, complicità di esponenti delle istituzioni e del mondo economico con assassini – che si collocano le condotte ruotanti attorno ai negoziati e ai ricatti degli anni ’92-94”.
Se il sud (e non solo), è in condizioni peggiori della Grecia (come ci dice il rapporto dello Svimez) è anche per questo.
Non possiamo e non dobbiamo fermarci alle celebrazioni sterili e anche ipocrite del 23 giugno o del 18 luglio. Dobbiamo riprendere a ragionare sulle stragi di mafia chiedendoci se sia stata solo la mafia, quali erano gli obiettivi reali e chi più di altri ne ha beneficiato.
“Occorre che venga a galla la verità sulle stragi, soltanto allora sapremo con certezza come, chi e perché qualcuno ha trattato con la mafia, ha sfruttato la sua rabbia per spingerla a distruggere l’Italia. Bisogna evitare che la protezione di «segreti» di Stato metta in pericolo la vita di chi, comunque sia, questa verità sta cercando”.

Quelle bombe, quelle di Capaci e via D'Amelio, ma anche quelle in continente di Firenze, Milano e Roma, che uccisero gente che non aveva nulla a che fare con la mafia e con l'antimafia, spazzarono via il sistema dei partiti che aveva governato nella prima repubblica, preparando il campo ad una nuova stagione politica, con partiti e leader nuovi.
Come l'eterno gattopardo.
Le bombe ebbero anche come altro effetto quello di spazzar via la mafia corleonese, i loro boss sono finiti in carcere, sepolti da sentenze passate in giudicato senza speranza di vedere nuovamente la libertà.
Fa riflettere come, quasi dieci anni prima, gli stessi corleonesi avessero preso il posto delle famiglie egemoni negli ultimi anni '70, i Bontade e gli Inzerillo, depositari di segreti pesanti, con cui potevano ricattare la classe politica democristiana.
Specie dopo aver gestito in Sicilia il finto rapimento di Michele Sindona. Rapimento che fu seguito da una lunga scia di cadaveri eccellenti: l'omicidio del presidente della regione Piersanti Mattarella (fratello dell'attuale presidente della Repubblica), del prefetto Dalla Chiesa, dei giudici Costa e Terranova, del segretario del PCI Pio La torre.

Rita Di Giovacchino, in uno dei passaggi più interessanti del libro, parla di un filo, che lega l’eliminazione politica di Aldo Moro a quella di Andreotti a Capaci, e dell’intera Dc in via D’Amelio, “accomunati dal fatto di non essere più funzionali agli interessi del Gioco grande”.

La mafia militare di Riina e Provenzano come una sorta di holding criminale, come a Roma lo era la banda della Magliana, nel nord Ordine Nuovo e, forse, la Uno Bianca in Emilia?
Forse.
Di certo, se è impensabile ritenere che i boss mafiosi rispondessero ad un quarto livello superiore, è plausibile pensare che per una sorta di convergenza di interessi, si fossero prestati a diventare una sorta di braccio armato per compiere quei delitti politici che hanno insanguinato la Sicilia a cavallo degli anni '80. Subito dopo il finto rapimento di Sindona, gestito dal massone piduista Miceli Crimi.
E qui il cerchio si chiude.

Perché davanti al lettore si spalanca una nuova prospettiva, con cui rivedere tanti episodi della storia di mafia, mettendoci dentro la Gladio siciliana, il centro scorpione di Trapani, i servizi deviati, il traffico di armi e rifiuti dalla Sicilia verso l'Africa.
Di artificieri della mafia addestrati in zone di guerra, misteriosi telefonisti della Falange armata, di impronte e tracce di T4 lasciate da «operatori distratti», dei telefonisti della Falange armata che (dice il prefetto Fulci ex direttore del Cesis), facevano parte di Gladio.
Il livello di interessi in campo si alza dalla sola cosa nostra siciliana.

Tornano in mente le parole di Pio La Torre, quando parlò di un “tribunale internazionale” che avrebbe deciso gli omicidi politici in Sicilia. Non può essere solo mafia.

Dietro le bombe (e i depistaggi delle inchieste, che sottrassero prove utili ai magistrati per costruire false piste) degli anni '70 si intravede la presenza di Gladio, dell'Anello (o Noto Servizio), dei contatti con i servizi e poteri forti di oltre atlantico.
Servizi che hanno tolto ai magistrati le prove per costruirne di false (la falsa pista degli anarchici per Piazza Fontana). Lo stesso è successo per Capaci e via D'Amelio.
Perché è stato creata la falsa pista (dalla squadra del questore La Barbera) del pentito Scarantino che si autoaccusò (a suon di sevizie) della bomba contro Borsellino?
Quale era l'obiettivo di La Barbera (che pure aveva fatto parte dei servizi)?
Perché la mafia decise di uccidere a Palermo, con quella bomba (forse potenziata con esplosivo di provenienza militare) il giudice Borsellino?
Perché decise di compiere un altro attentato, sempre con una bomba, contro il giudice Borsellino, appena 55 giorni dopo?
Non aveva forse messo a bilancio che lo stato sarebbe stato costretto a dare una risposta, anche di fronte all'opinione pubblica (come avvenne con l'approvazione de decreto Falcone)?
Come mai tanti dei protagonisti, politici e militari, di quegli anni, hanno perso la memoria? Il ministro Martelli che oggi racconta di come Borsellino sapesse della trattativa per voce di Liliana Ferraro.
Come il ministro Mancino e l'incontro con Borsellino al Viminale.
Come il guardasigilli Conso, che decise in solitudine di togliere il 41 bis a quasi 500 mafiosi, come segnale distensivo dopo le bombe?
E tutto questo nonostante la nota scritta dalla Dia di De Gennaro, che avvertiva come le bombe avessero come obiettivo proprio l'eliminazione del 41 bis.
Come si può capire, non stiamo parlando solo di mafia, si arriva al centro dello stato.
Alle bombe che servivano per dare un colpetto allo stato, come racconta Spatuzza che con le sue parole ha messo in luce il ruolo dei Graviano nelle stragi. La loro latitanza al nord, protetta da qualcuno in alto. All'espressione “abbiamo il paese in mano”, grazie a quel compaesano.
Si parla di Forza Italia, di Dell'Utri e Berlusconi, dei soldi che la mafia avrebbe investito al nord, proprio negli affari del cavaliere.
Il boss Tullio Cannella, fedelissimo di Leoluca Bagarella, racconta:
«Vitale mi disse che i soldi di Bontade, svariate centinaia di miliardi, se li erano fottuti Dell’Utri e Berlusconi. Spero ci sia qualcuno ancora vivo che possa confermarlo».

Mi chiedo se l'ultimo processo di Palermo, sulla trattativa, dove lo Stato è chiamato a processare se stesso, riuscirà a far luce anche su queste domande.

Giulio Andreotti, l'uomo dei misteri.
Nell'ultimo capitolo si torna a parlare di Andreotti e della sua decisione di rivelare l'esistenza di Gladio, dopo essere stato zitto (non so, non ricordo) per anni:
Giulio Andreotti è sempre stato l’uomo dei misteri ma la decisione, apparentemente suicida, che lo spinse il 24 ottobre 1990 a rivelare l’esistenza di Gladio è ancora oggi difficile da comprendere. Era a due passi dal diventare Capo dello Stato [..]sono in molti a pensare che aver sollevato il velo sul segreto di Stato sia stato all’origine di tutti i suoi guai. La reazione immediata fu un terremoto politico internazionale senza precedenti:[..]l’unica spiegazione plausibile è che il Divo, avendo intuito cosa stava maturando contro il suo progetto di scalare l’Alto Colle, avesse deciso di giocare d’anticipo: lui i golpe si era limitato a minacciarli per poi sventarli, qualcuno ora faceva sul serio.

Gladio, ovvero l'emazione italiana di Stay Behind, la rete ideata (senza avvisare il Parlamento italiano né tantomeno i cittadini italiani) dalla Cia in accordo col Sifar, in ottica anti invasione sovietica.
Forse l'ultima mano di poker del sette volte primo ministro, condannato (ma prescritto) per mafia, nei confronti del sistema di potere che aveva deciso a fine guerra gli assetti politici del nostro paese?
In proposito, scrive l'autrice:
dietro la Gladio ufficiale, coordinata dalla Nato, ci sarebbe una seconda Gladio alle dirette dipendenze della Cia che avrebbe pescato le sue milizie «ideologicamente selezionate» all’interno di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, entrati a far parte delle «reti» parallele[..]Ma c’è anche chi pensa che la mafia sia stata una vera e propria «rete» parallela, come la Banda della Magliana, ribattezzata da Sica «Agenzia del crimine».

L'agenzia del crimine alle dipendenze di quel tribunale internazionale composto da gente di altissimo livello, come disse Pio La Torre dopo l'omicidio Mattarella.

Non fu un golpe, forse, la stagione delle stragi. Ma un riequilibro dei poteri dopo che caduto il muro di Berlino, si capì che si doveva spostare l'asse dei conflitto si spostava da Est-Ovest verso il Nord e il Sud del mondo. E dunque non serviva più quella classe politica che già aveva deluso negli anni '70 con l'apertura a sinistra.
E non serviva nemmeno più Gladio né l'ala militare mafiosa.
I poteri sovranazionali che hanno (forse) gestito o pilotato questo stragi l'avevano capito da tempo.

Una considerazione sull'estremismo islamico.
L'ultima considerazione dell'autrice: se dovesse sbarcare sulle nostre coste, l'Isis avrebbe più timori di cosa nostra e ndrangheta che dello stato. Cosa nostra non ha mai chiuso i canali verso il con il Nordafrica e i Paesi mediorientali: 
Magari, come nello sbarco alleato, anche il Califfo spedirà in Sicilia il suo Lucky Luciano. ”

I capitoli del libro.
Introduzione di Luca Tescaroli
Il mio romanzo siciliano di Rita di Giovacchino

1988-1991. La rottura dei patti
L'omicidio di Campo Calabro.
I segreti di Trapani
Guerre di mafia e antimafia
Storia di Nino Gioè

1992. L'Italia salta in aria
Mondello, l'omicidio Lima
Capaci, la strage annunciata
Nuovi e vecchi misteri
Via D'Amelio, la strage decisa in fretta
La verità negata

La trattativa
L'atto d'accusa della procura di Palermo
Il Viminale
L'inchiesta del pm Chelazzi
Il grande progetto
Lo scontro al vertice del DAP
Il generale Mori
La fine di un ciclo politico-mafioso

1993: gli ultimi mesi della prima Repubblica
Le stragi in continente
Ciampi e la notte del black out
La nascita di Forza Italia
L'ordine venuto dal nord
I segreti di Trapani/2
L'ombra del golpe

Un capitolo del libro dedicato a Matteo Messina Denaro.
La scheda del libro sul sito di Castelvecchi editore.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

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