05 ottobre 2015

Presa diretta: pesca selvaggia

Sicilia, Sciacca: il servizio sulla pesca selvaggia di Presa diretta parte dal peschereccio Maristella, che va al largo nel mare della Sicilia per pescare sardine, acciughe, quando si trovano.
I banchi di pesce sono avvistati dal sonar che ora non vede nulla: oggi si pesca molto meno di una volta. La pesca viene prima stimata col retino, per capire quanto sono grosse le sardine avvistate: se della misura giusta, si può pescare, con la rete grande.

Fino a 10 anni fa c'erano 50 aziende che lavoravano il pesce: col diminuire del pesce sono chiuse. Delle 50, ne sono rimaste 12: il pesce lavorato viene spesso importato dall'estero, dalla Francia alla Croazia. Il poco pesce del mare di Sciacca fa saltare i conti agli armatori dei pescherecci.
Non conviene più pescare nei nostri mari. Meglio demolire le barche, lo stato da anche un contributo.
Come mai c'è meno pesce?
Perché ci sono le grandi navi che pescano a strascico: era una pesca sperimentale ma va avanti da 20 anni.
Le navi che usano la pesca tradizionale, tornano invece vuote in porto: oltre ai pescatori, in questo tratto di mare ci sono anche le barche tunisine che pescano senza regole.

Il pesce azzurro sta sparendo nei nostri mari: nel 2013 il calo delle acciughe è stato del 30%. Nel mediterraneo il 93% del pescato è stato preso in modo non sostenibile dice un report della UE.

La storia del tonno rosso.
Era a rischio estinzione e per cercare di risolvere il problema sono state introdotto le quote: per l'Italia sono 2300 tonnellate. Ma che fine fanno queste tonnellate del tonno pescate in Italia?
La storia inizia a Carloforte, in Sardegna.
Sull'isola c'è l'unica tonnara fissa del Mediterraneo: qui arrivano i tonni a deporre le uova, al caldo nei nostri mari.
Rimangono imprigionati nella camera della morte: quando la rete è sollevata, inizia la mattanza davanti ai turisti.
Il 90% di questi tonni non arriva sui nostri mercati: ci sono imbarcazioni con bandiera maltese si prendo la maggior parte dei tonni, ingabbiati in camere a rete.
Stessa scena, i rimorchiatori maltesi con la gabbie galleggianti, sulle coste campane.
Così i tonni arrivano nelle gabbie a Malta: qui vengono tenuti e ingrassati con mangime, tonnellate di pesce azzurro.
La società del signor Azzopardi, ha un giro d'affari da 30ml di euro l'anno: il tonno è venduto ai giapponesi, a Tokio per 30000 l'euro l'uno.

In Italia i tonni sono pescati anche da barche italiane: sono pochi gli armatori italiani che fanno la parte del leone nella pesca del tonno rosso e in una settimana fatturano 1 ml di euro, quota che poi si divide con i pescatori.

Oggi con le quote per la pesca del tonno, i pochi armatori italiani che hanno il grosso delle quote le difendono: è stato in investimento, dicono, quando nessuno le voleva.
Perché lo vendono ai broker, come i maltesi?
Perché è il modo più semplice per venderli, perché se li vendessero in Italia calerebbe il prezzo.

Ora sono aumentate le quote di pesca del tonno: a chi andranno?
Il 20% delle quote sono state assegnate a chi già le aveva: gli altri pescatori sono rimasti fermi, visto che non c'è stata distribuzione. I grossi armatori continueranno ad arricchirsi.
I piccoli pescatori, quando non rispettano le leggi, arrivano subito le multe e i sequestri.

Lisa Iotti è salita sulla barca del cap Mezzapelle: pescano anche i tonni rossi, che non possono tirar su perché hanno già sforato le quote, li devono abbandonare.
I preziosi tonni rossi devono essere ributtati a mare, e il pesce spada che si pesca è poco.

Il sistema delle quote è una vergogna, dicono i piccoli pescatori: ma c'è un altro scandalo, il tonno pescato viene trattato in modo illegale sui pescherecci e venduti in modo illegale nei mercati.
Nei mercati il tonno dovrebbe avere un bollo, che indica la tracciabilità: ma nessuno ha la bolla, girando per Ballarò. E i controlli?
Il mercato nero, del tonno illegale è un altri frutto della politica delle quote, quella che favorisce i grandi a discapito dei piccoli. Inoltre il tonno trattato in modo illegale può anche far male la salute delle persone: nel 2013 centinaia di persone sono finite in ospedale per intossicazione da Istamina.

80% delle 2000 tonnellate di tonno rosse finisce in Giappone. Il resto è pescato e venduto per l'Italia, oltre al tonno illegale.
Ma sulle nostre tavole arriva anche il tonno surgelato, pescato nell'oceano Indiano.
Riassumendo, il tonno italiano finisce in Giappone, mentre noi ci mangiamo il tonno pescato mesi prima negli oceani lontani.
Il famoso tonno a pinna gialle, che deve essere rosso scuro per essere sano: la maggior parte di quello che si trova ha un colore più vivace ed è frutto di coloranti.
Anche il tonno riceve trattamenti cosmetici: nitriti e altri prodotti non ammessi, delle frodi commerciali, alle spalle del consumatore.

Se mangiassimo il tonno rosso non ci sarebbero questi problemi, perché si consumerebbe in fretta.
Chi sono i più grandi pescatori di pesce? La Spagna, i russi, i giapponesi.

Elena Stramentinoli è andata poi in Senegal, per mostrare la pesca dei grandi pescherecci: pescano in una sola volta fino a 250mila tonnellate di pesce.
Pesce che arriva sui nostri mercati: stiamo svuotando i nostri mari, col rischio di non avere poi nulla da pescare entro il 2050.
Questa pesca selvaggia è un problema per il Senegal: la pesca illegale, fatta con reti strette, senza rispettare le regole, è un furto nei confronti dei pescatori e del Senegal. Circa 800ml di dollari l'anno, che il governo locale perde.
E poi c'è l'impatto ambientale perché i grandi pescherecci prendono di tutto, distruggendo l'ecosistema.

L'ex ministro della pesca si occupa oggi di salvaguardia dell'ambiente: definisce la pesca selvaggia nei loro mari come atto di pirateria, perché le navi che entrano nelle acque senza nessun controllo, grazie alla corruzione.
Saccheggiano i paesi creando un danno ambientale e sociale per questi paesi dell'Africa.
80% della ricchezza deriva dalla pesca tradizionale: i pescherecci russi, spagnoli distruggono la ricchezza del Senegal, mettono in crisi i pescatori tradizionali.
La pesca era il 15% del PIL, dava lavoro a 700mila persone.

E così la gente è costretta ad emigrare, per arrivare nella vecchia Europa, dove si trovano tanti vecchi politici dal cervello piccolo, che gridano “aiutiamoli a casa loro”.
In cambio di questo ipersfruttamento dei loro mari, almeno il Senegal riceve dei soldi?
La FAO usa le parole di crisi umanitaria, circa lo sfruttamento della pesca da parte dei pescherecci occidentali. Per la diminuzione delle risorse ittiche, le famiglie dei pescatori devono trasferirsi in altri paesi, abbandonando i bambini, chiamati qui “bambini della spiaggia”.
Dal Senegal le persone cercano di arrivare in Europa, affrontando un lungo viaggio con le barche.

E il governo africano cosa fa? L'anno scorso il Senegal ha firmato un accordo che permetterà a grosse navi europee di pescare nelle loro acque, in cambio di 2,8ml di euro l'anno.
Una miseria, se pensiamo a quanto viene venduto il pesce sui nostri mercati, dove l'80% del pesce arriva dall'estero (se si esclude il pesce azzurro).
Sono 150ml di euro il fatturato del mercato ittico solo a Milano: quanti di questi arrivano poi in Senegal?

C'è ancora modo di salvare il mare.
In Puglia diversi comuni si sono messi assieme, per salvaguardare il pesce e il pescato: hanno bloccato la pesca nella zona di riserva per pochi anni.
Ora la pesca si concede con delle licenze, rispettando i limiti sul pescato e sulle reti.
Regolamentare la pesca conviene ai pescatori e anche ai consumatori: i biologi della riserva controllano il pescato e i dati arrivano all'Università del Salento.
Torre Guaceto è oggi riconosciuta come una buona pratica di pesca nel mondo.

Isola di Favigana: qui c'è l'area protetta più grande del Mediterraneo.
Qui c'era un problema di pesca a strascico illegale: si sono usati dei dissuasori, in fondo al mare, per distruggere le reti illegali.
Poi c'è il controllo da parte della capitaneria delle barche che entrano in zona protetta: chi non rispetta le regole viene bloccato e gli viene vietato l'ingresso in zona protetta.
Il risultato è stato il salvataggio dell'ecosistema, è tornata la Poseidonia, i coralli e anche il pesce.
Si fa turismo, si fa pesca: questo in una riserva dove semplicemente si è regolamentata la pesca.

Cosa possiamo fare noi consumatori: per esempio non dovremmo comprare la “neonata”, ovvero i pesci appena nati (come le Sarde), tra febbraio e aprile, che non si potrebbe né pescare né vendere.

Silvio Greco, biologo marino, consigliere del min dell'Ambiente, esperto di pesce, spiega a Lisa Iotti che cogliere i cambiamenti nel mare è più difficile: i modelli matematici indicano che tra 50 anni c'è il rischio dell'estinzione delle specie che peschiamo.
Molto sta a noi consumatori, che dovremmo cercare di mangiare altro pesce, oltre allo spada e al tonno.

Come le razze di piccola taglia, con ciclo vitale breve e che dunque non accumula contaminanti nelle loro carni.

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