29 febbraio 2016

Noi che gridammo al vento, di Loriano Macchiavelli

Incipit:
L'hanno costruito in una posizione strategica, su una collina a 250 metri sul livello del mare, sud della città. Dominava e controllava il traffico nello stretto di Messina.Forte Petrazza.È su due piani collegati da una rampa, nel piazzale d'ingresso. Vista dal mare, la struttura grigia e massiccia incuteva un certo rispetto. Forse per i quattro cannoni e sei obici che spuntavano dalle mura. E per numerose feritoie dalle quali potevano scaraventare in mare chissà quali ordigni.Chi entrava e usciva dallo stretto passava sotto la sua sorveglianza. Un tempo, alla fine dell'ottocento, era così. Nel 1980, era lo stesso, solo che gli obici non c'erano più. C'erano binocoli che scrutavano notte e giorni chi arrivava dal mare aperto e chi usciva in mare aperto.

Dopo Strage (che si aggancia al finale di questo libro, costituendone una continuazione), Loriano Macchiavelli ritorna a raccontare in forma romanzata un altro dei misteri d'Italia, la formula usata per chiamare gli atti criminosi della nostra storia recente, rimasti senza mandanti e con moventi oscuri.
Strage partiva dalla bomba alla stazione di Bologna, esplosa il 2 agosto 1980, per raccontare dei salotti dove si ritrovavano massoni e politici, dei legami tra mafia e politica, utilizzando dei personaggi inventati che si ritrovavano in storie più grandi di loro.

Noi che gridammo al vento” ha al centro la strage di Portella della Ginestra, che viene raccontata attraverso i ricordi e le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti alla strage che, dopo 36 anni (nella primavera del 1980), si ritrovano a Palermo e nel paese di Piana degli Albanesi.
Ci sono Stella, nata e cresciuta a Piana e poi trapiantata in Svizzera: all'inizio della storia non sappiamo che mestiere faccia e perché dopo tanti anni sia scesa in paese. Forse lavora in uno studio di costruzioni ma sappiamo che le sue notti sono offuscate dagli incubi in cui sente ancora le raffiche di quei mitra della banda di Salvatore Giuliano (e non solo della sua banda ..).
Qui Stella incontra Vito, anche lui nato a Piana e poi scappato via, per una fuga che l'ha poi riportato alle sue origini, alla sua passione per i posti natii, la rocciosa Kumeta e la magnifica Pizzuta, l'azulene usato per pitturare i muri delle case, la masseria Ducco, il dialetto di origine albanese usato dai contadini del posto (Arberesh).
Stella incontra in paese anche Eva e Ditria, due amiche che la ospitano e che pure loro sono state testimoni e vittime della strage. Ma dal paese non se ne sono mai volute andare.

Ma ci sono anche altri personaggi nel racconto, gli antagonisti: Ceschina (la ragazza che abbiamo già incontrato in Strage) e Antonino Bontà il capo mafia di Palermo, don Giuseppe Agàte, vecchio capomafia testimone di un antico e scellerato patto sottoscritto dagli americani con Cosa nostra nella seconda guerra mondialle ..
E, infine, c'è 'u miricanu, George, italo americano mandato dalle famiglie di Cosa nostra americane in Sicilia con in mano dei documenti compromettenti, capaci di mandare all'aria lo stato democratico.
Documenti che parlano di Portella della Ginestra: la famosa lettera di Giuliano, di cui tutti parlano ma che nessuno ha mai tirato fuori, e altri scritti del bandito in cui aveva indicato chi aveva sparato sui contadini in festa e dei mandanti a volto scoperto della strage. Politici della Democrazia Cristiana, ministri, monarchici. Alcuni dei quali sopravvissuti fino all'oggi della narrazione, come Zombi:
Zombi sapeva.Zombi c'era, nel 1947.Zombi era già dentro gli ingranaggi poiù segreti della politica. Sapeva quanto e in che modo alcuni membri del governo e dei servizi nel '47 fossero implicati in quel maledetto imbroglio che, a distanza di anni, esattamente trentatre, faceva ancora paura.Sapeva dov'erano e quali i materiali compromettenti. Conosceva le capacità della mafia di interferire nei fatti politici italiani

La strage di Portella, quel 1 maggio del 1947.
Avevo la bocca piena di solee di aria tiepida di primaveraquella mattina di maggio, su a Portellae avevo gli occhi pieni di gentee di canti, e di bandiere rosseche sventolavano orgogliose ed allegre


Comincia con questi versi la poesia di Guccini, che termina con versi dove le persone che erano saliti a Portella, per festeggiare assieme il 1 maggio, dopo la guerra, dopo la miseria, dopo la fame, dopo il fascismo, si sono trovati
la bocca piena di terrae d’erba, e di sangue,e di sassi, di Portella della Ginestra”.

Portella è una ferita aperta, perché ancora aperta è la ricerca della verità: la fine delle illusioni per l'arrivo finalmente di una stagione di cambiamento, che metteva fine a latifondo e soprusi, nei confronti dei contadini.

Festa gioiosa che fu interrotta dagli spari, dalle granate, dalle raffiche del mitragliatore Breda di Giuliano: sappiamo che a sparare c'erano anche militari addestrati come quelli della X Mas, i mafiosi di S Giuseppe Jato e Pirittello. Portella fu il primo segreto di Stato, il primo segreto inconfessabile (forse ancora oggi) della classe politica: con la strage di Portella della Ginestra si sperimentò per la prima volta l'uso del terrore come arma politica per spaventare le persone, per destabilizzare la situazione nell'ottica di stabilizzare in senso conservatore la situazione politica e sociale.
Dopo la vittoria del blocco delle sinistre in Sicilia alle elezioni regionali del 1947, dopo la scelta per cui l'Italia doveva rimanere sotto l'influenza degli americani, con la Democrazia Cristiana a guidare il paese e la mafia cui era delegato la gestione del potere locale.
Lo raccontano Omero (uno che potrebbe avere novant'anni o forse duemila e più, cieco per aver visto troppo, le guerre, la miseria e la strage) e il Professore:
Alle elezioni del 20 aprile del 1947, il blocco del popolo ottenne la maggioranza. La mafia non poteva permetterlo. Neppure la classe politica.Il potere, Professore, il potere. Cosa non si fa per conservarlo. Crisi sociali, crisi economiche, connivenze politiche, clientelismo ..E il bandito Giuliano e la strage di Portella della Ginestra e la strategia della tensione con le sedi del sindacato e del partito incendiate, attivisti e innocenti ammazzati, caserme dei carabinieri attaccate, depistaggi ..La mia opinione, Professore, è che la perversa alleanza di quegli anni abbia fatto capire alla mafia, e anche alla politica, che la collaborazione con lo Stato è più conveniente della guerra.Ne sentiremo parlare negli anni a venire, Professore, senza arrivare alla verità. E ne porteremo i segni sulla nostra carne.

I protagonisti della storia.
A tutti i protagonisti di questa storia, che stiano dalla parte della legalità o dell'illegalità (capiremo nel corso del libro come sia labile questo confine), è stato tolto qualcosa.
Sono le proprie radici, il proprio passato, la felicità dei giochi dei bambini che è stata loro tolta: le raffiche di mitra che popolano gli incubi di Stella, nascono da quel 1 maggio, in cui bambina di sei anni, si è salvata dalla morte.
Vito, pure lui dopo la strage se ne è andato per il mondo per poi tornare al paese e scoprire che tutto quello che amava nella vita era lì.
Anche a Ceschina, la protetta del boss Bontà, hanno tolto sei mesi della sua vita di adolescente: rapita a quindici anni durante la prima guerra di mafia, rimasta nascosta al buio dentro una tana, incatenata ad un palo. Per uscire senza più lacrime da piangere e con la sola volontà di vendicarsi.
Ma Stella, Vito e Eva e Ditria si conoscevano da prima di questo loro incontro: e sarà proprio l'andare indietro nella memoria e nelle foto del passato che farà scoprire a Stella la causa dei suoi incubi.

Ma questo romanzo non ha al centro solo il passato dei protagonisti e le loro ferite: è una storia di spie e intrighi, dove come si è anticipato prima, il confine tra legale e illegale è sottile.
Come alla fine della seconda guerra mondiale, anche ora in Sicilia è tutto un pullulare di spie e di agenti di servizi, deviati per natura.
Si può essere uccisi o uccidere per dei documenti su cui poggia la nostra traballante democrazia.
E il finale di questa storia non è per nulla confortante: da Piana degli Albanesi torneremo a Bologna:
BOLOGNA 2 AGOSTO ORE 10.20il cielo è un forno di pane pronto per la cotturascappare sul mare di questa pianura e poiapprodare a isole azzurre felici ma tu
BOLOGNA 2 AGOSTO ORE 10.21dicevi dicevi tu dicevi che hai bisogno di rifletterese in questi giorni le parole hanno un sensoanche fra noi
BOLOGNA 2 AGOSTO ORE 10.22d’accordo, non si può buttare via niented’altra parte non è possibile conservare tutto negli angoli dellamemoriasalvare l’indispensabileNotizia, di Roberto Roversi

Che fare allora, rassegnarsi al mistero, anche se è lì, a portata di mano e più che un mistero di dovrebbe dire segreto?
Lasciare che tutto scorri via, il dolore, le vite, la sofferenza, le angherie e le ingiustizie nei confronti degli ultimi?
Ricordare, portarsi dentro un pezzo della storia, come quella di Karushi, il sindacalista ucciso dalla mafia negli anni '20:
Il primo sole lo fece splendere di luce.
Sfilò davanti a lui il pianto di Piana e dei tanti, partiti a piedi o a dorso di mulo, non appena il vento portò ai compagni il nostro grido.
Noi abbiamo sempre gridato al vento il nostro dolore.
La scheda del libro sul sito di Einaudi.
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Altri riferimenti:
- Il film di Paolo Benvenuti Segreto di Stato
- Il blog di Giuseppe Casarrubea 
- Lupara nera , di Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino.
La “Santissima trinità” di Nicola Tranfaglia



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