24 marzo 2016

Lo stato parallelo – La P2, Cefis e Gelli

Cefis ed Andreotti

Eugenio Cefis
Nel libro “Lo stato parallelo”  dei giornalisti Andrea Greco e Giuseppe Oddo, un intero capitolo è dedicato agli intrecci tra l'Eni, la P2, Cefis per arrivare poi alle P3 e P4 moderne.
Al centro c'è la figura di Eugenio Cefis, indicato in una nota del Sismi come il vero fondatore della loggia P2, che avrebbe poi passato la mano a Gelli dopo che un tentativo di golpe (forse solo minacciato) non era andato in porto.
Eugenio Cefis divenne presidente dell'Eni (dopo la morte di Mattei e la successione di Marcello Boldrini), per passare poi alla Montedison, il gigante della chimica nato dalla fusione di Montecatini ed Edison (al centro poi della maxi tangente Enimont..), grazie ai soldi dell'Eni stessa e all'appoggio economico del banchiere Cuccia e di Amintore Fanfani.
Al pari della P2, Cefis si poneva nei confronti delle istituzioni come un centro decisionale alternativo in grado di surrogarle «a causa del progressivo indebolimento dei meccanismi democratici e parlamentari e della degenerazione dei partiti nonché della loro capacità di rappresentare ed esprimere le grandi scelte politiche».Come ci ha detto Giorgio Galli in una conversazione avvenuta a casa sua nell'estate del 2014, il «fatto che Cefis ufficialmente non facesse parte della P2 può essere veramente l'indizio che possa esserne stato l'ispiratore». Entrambi i sistemi di potere – quello cefisiano e quello gelliano – puntavano a un riassetto istituzionale attraverso lo svuotamento del parlamento e lo spostamento delle funzioni decisionali nell'esecutivo o al di fuori delle istituzioni.Il piano di rinascita democratico della P2 appariva speculare al'idea di Stato che il presidente della Montedison aveva esposto in una conferenza ai cadetti dell'Accademia militare di Modena di cui esgli stesso era stato allievo tra il 1939 e il 1941. In quel discorso, considerato come un manifesto ideologico, Cefis anticipava temi che sarebbero stati di grande attualità nei decenni successivi: la trasformazione delle istituzioni sotto la spinta dei cambiamenti economici e tecnologici; la perdita della sovranità degli Stati nazionali per l'avanzata delle imprese multinazionali; lo spostamento dei poteri dal governo e dal parlamento alle grandi imprese, con gli organi centrali dello Stato sempre più confinati nel ruolo di mediatori.Quel discorso, insieme alla biografia critica Questo è Cefis di Giorgio Steimetz, pseudonimo di Corrado Ragozzino, era sotto la lente di Pier Paolo Pasolini nella fase in cui lo scrittore si documentava per la stesura del romanzo Petrolio e per inquadrarne il personaggio di Carlo Troya, alias Eugenio Cefis.Annota Riccardo Antoniani, ricercatore di Letteratura contemporanea dell'Université Paris-sorbonne: «Pasolini aveva intuito il rischio imminente di tale svolta presidenzialistico-tecnocratica [..]. Nei pochi mesi che lo separavano dalla notte dell'Idroscalo [..] il poeta indagò con la dovizia filologica che gli era propria le parole del manager, progressivamente investendolo di un ruolo che [..] diveniva sempre più centrale nelle pagine del suo romanzo».

Lostato parallelo – capitolo Gli intrighi della P2 e i maneggi della P4, Cefis e Gelli

Nel capitolo gli autori citano un discorso di Cefis, all'accademia di Modena “La mia patria si chiama multinazionale” del 1972, in cui invocava una svolta istituzionale in senso presidenziale del paese: alcuni stralci li trovate qui:
pag 8: “Anche nelle decisioni di investimento le imprese hanno attribuito un’importanza secondaria ai confini nazionali, scegliendo per i nuovi impianti la località che poteva apparire più proficua, indipendentemente dal fatto che questa si trovasse nell’uno o nell’altro stato”.
pag. 12: ” … al limite può accadere talvolta che qualche governo proceda alla nazionalizzazione di singole unità produttive appartenenti alla multinazionale. Ma è difficile che un tale governo riesca a reggere alla pressione politica che le multinazionali possono esercitare”.
pag. 13: ” … è molto difficile che un paese ancora povero e arretrato possa permettersi di adottare iniziative politiche che scoraggino gli investimenti esteri. Le royalties che vengono versate al paese ospitante, la valuta derivata dalle esportazioni, i salari con cui la manodopera locale è retribuita, sono fatti economici di tale rilevanza da porre in secondo piano i problemi dell’autonomia e del prestigio politico”.

pag. 15: “… ci si evolve sempre più verso l’identificazione della politica con la politica economica”.

pag. 15: “se i controlli statali creano vincoli eccessivi agli investimenti e alle operazioni in un Paese, la società multinazionale può comunque agire potenziando le sue attività in altre aree geografiche e disinvestendo dal Paese in cui si sente troppo contrastata”.

pag. 16: “All’affiliata di una società multinazionale è abbastanza facile dimostrare al fisco di essere sempre in perdita e, al tempo stesso, creare un buon affare per la casa madre …”.

pag. 16: “Gli stati nazionali nei loro rapporti con le imprese multinazionali sembrano spesso come i giocatori di una squadra di calcio costretti da un assurdo regolamento a giocare soltanto nella propria area di rigore lasciando ai loro avversari la libertà di muoversi a piacimento per tutto il campo”.
pag. 16: “anche dal punto di vista militare l’unica risposta possibile è quella di un allargamento della dimensione del potere politico a livello almeno continentale”.

pag. 16: “la difesa del proprio Paese si identifica sempre meno con la difesa del territorio ed e probabile che arriveremo anche ad una modifica del concetto stesso di Patria … il concetto di Patria è un concetto che si è trasformato nel tempo tanto che, anche all’epoca del Risorgimento, ben pochi erano i cittadini che sapevano di essere italiani e non si consideravano semplici abitanti del Regno delle due Sicilie o del Granducato di Toscana”.

pag 16: “… non si può chiedere alle imprese multinazionali di fermarsi ad aspettare che gli Stati elaborino una risposta …”
pag. 17: “i maggiori centri decisionali non saranno più tanto nel Governo o nel Parlamento, quanto nelle direzioni delle grandi imprese e nei sindacati, anch’essi avviati ad un coordinamento internazionale”.

pag. 18: “Il sentimento di appartenenza del cittadino allo Stato e destinato ad affievolirsi e, paradossalmente, potrebbe essere sostituito da un senso di identificazione con l’impresa multinazionale con cui si lavora”.
pag. 18: ” … è chiaro che se l’Italia è un mercato troppo ristretto per una grande impresa, l’Europa è invece il maggior mercato del mondo. Se esistesse un interlocutore a livello europeo in grado di esercitare un controllo politico sulle multinazionali, con poteri ben al di là della Comunità Economica Europea, le iniziative delle multinazionali potrebbero più facilmente contribuire a risolvere gli squilibri economici anziché aggravarli. Questa ipotesi però si potrà realizzare quando i singoli stati nazionali rinunceranno, almeno in parte, alla loro sovranità … mi sembra … utopistica la soluzione di chi vuol instaurare un’autorità internazionale, magari nell’ambito dell’ONU, per il controllo sulle imprese internazionali”.


Insomma, sembra a leggere queste espressioni, che il destino dell'Europa e dell'Italia fosse già stato scritto più di 40 anni fa.

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