02 maggio 2016

La battaglia navale, di Marco Malvaldi

A Pineta, paese immaginario inventato da Marco Malvaldi in Toscana, succedono cose strane.
I casi di omicidio non vengono risolti in laboratorio, da agenti col camice immacolato con provette e computer.
Ad indagare sui delitti che succedono è una squadra di vecchietti che si ritrova poi a giocare a carte al Barlume, scritto tutto attaccato, del barrista Massimo. Si chiamano Gino, il fu Ampelio, nonno del barrista, Aldo, Pilade e Ampelio.

.. siamo a Pineta. Un posto dove ammazzano una persona all'anno”.
In questo paese sono loro ad aiutare il vicequestore Alice Martelli, che se dovesse fidarsi degli agenti che le sono stati affidati: casi come quello raccontato in “La battaglia navale”, che si presenta pure come una storia semplice.
Una badante ucraina trovata morta sulla spiaggia e identificata dal figlio della signora accudita da Olga. Un certo Massimo, con qualche piccolo reato alle spalle ..
Anche altre donne, connazionali di Olga, si presentano in obitorio per il riconoscimento e tutte ripetono la stessa storia alla polizia: di come la ragazza fosse buona e brava, un angelo del focolare e come anche avesse subito violenze e minacce dal marito con cui era arrivata in Italia.
Tal Evgenij, tipo manesco, con tanto di diffide da parte del giudice per tutte le violenze: è lui il colpevole del caso, allora? Tutto sembrerebbe convergere su questa persona se non fosse che ..
Che è tutto troppo semplice.
Che al vicequestore Martelli c'è qualcosa che non torna in questa storia.
Che c'è una discordanza tra una testimonianza e l'ora della morte della ragazza.
Che c'è quel particolare tatuaggio, sul corpo della ragazza.
Che la versione delle connazionali di Olga, pedinate e attenzionate dagli arzilli vecchietti, sembra un po' concordata, un po' troppo studiata per essere spontanea.

E allora?
E allora tocca riprendere le indagini, che erano state affidate ad un altro dirigente, e affidarsi al “quartetto uretra”, che avrà pure qualche anno, ma che non si fermano di fronte a niente. E per abbordare le signore provenienti dall'ex Unione sovietica, ingaggeranno un vecchio comunista come il compagno Mastrapasqua.
.. Guarda Massimo che il lavoro d'indagine non è tutto intuizioni lampanti, come nei gialli. E non è un gioco di carte, come mi raccontavi te quando mi parlavi della prima volta che ti sei trovato dentro un caso.- Si non è un gioco, lo so. Ma io parlavo di un gioco come modello, come metafora.- Lo so bene, Massimo. Volevo dirti che è proprio il modello che è sbagliato. Un lavoro d'indagine vero, sul campo, è molto più simile alla battaglia navale. All'inizio spari alla cieca, e non cogli niente, ma è fondamentale che ti ricordi dove hai sparato, perché anche il fatto che tu lì non abbia trovato nulla è una informazione -.
Alice Sottolineò il concetto picchiandosi con l'indice sulla mano aperta. - A un certo punto, quando prendi qualcosa senza affondarlo, capisci che devi continuare a sparare nei quadratini adiacenti, ma con criterio. Se ne becchi due di fila, sai che il terzo colpo lo devi sparare sulla stessa linea. Davanti o dietro, non lo sai, ma sai che è solo questione di tempo. Ecco, il nostro lavoro è così.”

Un lavoro dove la soluzione giusta arriva anche dopo tanti errori, dove si lavora su più piani, quello della scienza e delle prove, e quello sul campo, andando a sentire le persone, raccogliere sensazioni, voci. Andando raccogliere riscontri, con tanta pazienza, verificando orari, deposizioni, scontrini ..
Ma potete stare tranquilli: “La battaglia navale” scorre lieve, tra battute feroci dei vecchietti, qualche citazione colta (sapete cos'è il sampling bias? Da dove nasce l'espressione avere le palle girate?..), tra le ville liberty di Pineta, il litorale, il bar di Massimo, il ristorante di Aldo e Tiziana.
Un mondo della piccola grande provincia italiana, che si vive orgogliosamente rimanendo attaccati alle origini, alle guerre di campanile (pisani contro livornesi): sul Tirreno ho trovato quest'intervista dove l'autore racconta i luoghi del romanzo 
Tutto si svolge nel paese di Pineta, posto di mare. Ma quale mare?«Immaginavo un mix tra Tirrenia e Marina di Pisa, ma anche l’inizio della Maremma, San Vincenzo, Castiglioncello. Comunque più di tutti è Tirrenia perché Marina di Pisa è troppo liberty e decadente. Pineta è un paesino dove la gente d’inverno quasi non ci vive e si riempie d’estate. Tirrenia è già così, con le case tutte nascoste dalla vegetazione. Le riprese si dovevano fare tra settembre e novembre, ma sul litorale pisano quello è il periodo delle piogge e così è stata scelta Marciana Marina. Quello di Pineta è un mare di sabbia, a Marciana c’è anche quella non solo lo scoglio, infatti non traspare mai che siamo su un’isola».
Allargando lo sguardo, quali sono gli altri luoghi fonte di ispirazione?«Vagli di Sotto nel “Re dei giochi”, la pineta di Tombolo, il Parco di San Rossore, tutti luoghi che sento miei. Vagli, che puoi vedere soltanto quando viene prosciugato il lago che lo ricopre, è fuori dal tempo. In un mondo in cui diventa sempre più facile andare dappertutto ci sono ancora dei posti che si sono preclusi. È un modo come un altro per ricordarti che non è sempre tutto a disposizione. La pineta è qualcosa che cresce solo vicino al mare, e multiuso, ci puoi passeggiare, camminare. A Tirrenia continua ad esserci nonostante durante il fascismo avessero piantato tanti eucalipti per scacciare le zanzare per poi accorgersi che le zanzare invece le attiravano e che assorbivano tantissima acqua. Lì i pini hanno continuato ad imperversare ed è come dire che la natura alla fine vince sempre».
Che Toscana viene fuori?«Più che la Toscana è il modo di vivere la provincia, dove le cose rallentano. È così in tutta Italia. La toscanità si vede nei daloghi e soprattutto nel dubbio costante dei personaggi. È una caretteristica unica di noi toscani: dubitiamo di tutto e di tutti, anche di noi stessi»

In questo romanzo c'è spazio anche per un cameo del vicequestore Rocco Schiavone, (cortesie tra colleghi):
Povero tesoro. Saltare la cena. Almeno un grado sette della scala Schiavone.La scala Schiavone era una scala empirica delle rotture di coglioni inventata da un collega di Alice, del quale talvolta parlava. L'unica cosa che Massimo aveva capito era che era bene tenersi alla larga da questo tizio...

La scheda del libro sul sito di Sellerio
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