30 giugno 2016

La collera di Napoli, di Diego Lama

Nei delitti si inciampa sempre, pensò Veneruso, solo e unicamente per volontà del padreterno”.

Napoli, settembre 1884.
Mentre in città l'epidemia di colera miete vittime e un cordone sanitario viene stretto per impedire che l'epidemia si estenda troppo, sulla spiaggia di Trecorone vengono rinvenuti, uno dopo l'altro, i corpi di diverse ragazzine, uccise, il corpo parzialmente devastato dall'azione dei topi.
Sono i delitti delle Sirene, così sono stati chiamati dalla stampa, che suscitano una forte attenzione nonostante le centinaia di vittime del colera, la nuova peste che non guarda in faccia a nessuno.
Di questi delitti se ne occupa il commissario della Regia polizia Veneruso.

Personaggio fuori dagli schemi, questo investigatore: non è un'appassionato delle scienza investigativa come Sherlock Holmes, anzi è abituato a comprendere la colpevolezza di un sospettato da un'espressione, una parola detta o non detta (altro che Lombroso e le sue teorie piemontesi). Come il più celebre Maigret di Simenon, ma a differenza di quest'ultimo è scapolo, vive da solo e si concede una volta al mese la compagnia di una prostituta, sempre la stessa, nella casa di tolleranza “Cascina rosa”.
Non è nemmeno un amante della buona cucina come il Montalbano di Camilleri, che per tutti i rospi che ha dovuto ingoiare nella carriera lo stomaco nemmeno saprebbe apprezzare la buona cucina.
Forse, assomiglia un po' al Ricciardi di Maurizio De Giovanni: meno bello, più stagionato, che come lui gira per le strade di Napoli ad osservare il contrasto tra ricchezza e povertà, senza però i demoni di quest'ultimo a fargli compagnia, solo i cattivi pensieri.

Diego Lama ci fa conoscere fin da subito la sua incazzatura, il suo essere cinico nei confronti del mondo, disilluso per tutto quello che ha visto e vissuto, fin dalle prime pagine quando si imbatte in un ragazzino, appena sedicenne, assassino della matrigna, senza alcun pentimento.
Un uomo brusco, di poche parole:
«Così come?» «Brusco e di poche parole, commissario.» La suora si fermò e lo guardò.«Non ci vado d'accordo con le parole.» 
Veneruso era imbarazzato. «Anzi, le parole non mi piacciono, mi stancano, mi fanno male alla lingua, mi consumano la mandibola. Preferisco stare zitto. Ascoltare.»

Ce l'ha con tutti, questo Veneruso: coi suoi sottoposti cui non concede mai una buona parola di fronte.
Coi preti di cui non si può fidare e con le suore, con cui avrà molto a che fare con questa inchiesta.
E coi piemontesi, intesi come la classe dirigente sabauda che aveva “invaso” l'amministrazione delle città del sud:
«Ho portato oggi la mia comunicazione riservata al capo di gabinetto del prefetto, che mi ha guardato come se gli avessi fatto il peggiore dei torti.» 
«Voi a lui?» «Certo.» 
«Ma perché, non si doveva scoprire il colpevole?» 
«A giudicare da come l'ha presa, no.» 
«Ma sono tutti camorristi.»«No. Sono tutti piemontesi.»

Piemontesi come Lombroso e le sue teorie sulle relazioni tra il cranio e la propensione a fare delitti, come il capo di gabinetto e il suo essere untuoso, come il re Savoia che per esprimere vicinanza ai napoletani aveva fatto la sua sfilata in città.
Città con gli scarichi delle fogne che sfociano in mare.

Ma non è solo questo, depresso, irritabile, solitario, nervoso, perennemente col sigaro in bocca: Veneruso è comunque un investigatore capace, che sa trovare la pista giusta in un caso, che sa vedere e collegare fatti per trovare un perché e un colpevole per ogni delitto.
E, a modo suo, è anche una persona con un'umanità profonda: non è solo dei delitti delle sirene che si deve occupare, anche di un traffico di bambini, venduti dalle famiglie povere ai signori ricchi che bambini non ne possono avere e che non intendono perdere tempo con troppa burocrazia.
Famiglie ricche che poi nemmeno pagano il prezzo delle loro colpe:
Non tutti gli omicidi avevano lo stesso peso, e non tutti i delitti erano delitti: c'erano quelli dei signori e quelli dei pezzenti. I signori uccidevano, ma con rispetto e solitamente senza peccato, per errore, con rammarico, per per necessità, per onestà, senza volontà, per onore, per difesa, per disperazione, senza conseguenze, e da signori. E per questo non dovevano, e non potevano, essere puniti. A meno che non si ammazzassero tra di loro. I pezzenti invece uccidevano in modo truce, volgare, selvaggio. Su di loro, al contrario, la giustizia si accaniva con inesorabile ferocia, senza dare al malcapitato alcuna possibilità di redenzione: niente pietà, niente speranza, niente salvezza”.

Era questa (era? Ma non è così anche oggi forse) la giustizia con cui il commissario aveva a che fare “ma ciò nonostante non poteva far altro che il suo lavoro”.

I delitti delle sirene.
Nonostante ai suoi superiori forse i delitti delle ragazzine interessino poco, di fronte alle centinaia di morti per il colera, Veneruso sente quelle morti quasi come un fatto personale.
E inizia a farsi delle domande: come è possibile che tutte quelle adolescenti trovate morti, non siano state riconosciute da nessuno? Nessuno ne ha denunciato la scomparsa ..
Da dove venivano, dove sono state uccise, perché finiscono sulla spiaggia .. e quella medaglietta trovata stretta nella mano di una vittima .. una rosa .. cosa significa?
Un'intuizione porta Veneruso e i suoi uomini verso una possibile spiegazione: se nessuno ne ha denunciato la scomparsa, è perché forse non avevano una famiglia.
Perché vivevano in un orfanotrofio: proprio vicino alla spiaggia si trova il Convento di Santa Maria Vergine di Porta Capuana, al cui interno si trova l'orfanotrofio gestito dalle suore Ave gratia plena.

Ma fare un'indagine dentro un convento non è facile: nessuno sa niente e nessuno a visto niente. Le suore, anche quelle che gestiscono le ragazze, come suor Elvira, sono collaborative, altre addirittura si dimostrano ostili nei confronti della polizia, come suor Giuseppina.
Intanto le indagini si erano arenate. Ma quali indagini? Continuava a girare a vuoto senza un barlume di idea, a parte due convinzioni: la prima era che l'assassino delle ragazzine doveva per forza nascondersi all'interno del convento; la seconda era che le suore avevano molti segreti, ognuna per conto proprio, nessuna esclusa.Nient'altro.«Preti» sussurrò entrando nella piccola chiesa.”

La pista è giusta e porta dritta al convento: grazie alla sua ostinazione, qui dentro Veneruso scoprirà una storia di passioni, di segreti, di relazioni pericolose. Usando la sua tecnica, l'unica che conosce:
.. non era un investigatore raffinato: i casi li risolveva sempre sul posto, parlando con la gente, ascoltando, osservando, stuzzicando, studiandone i movimenti, interpretando gli sguardi, le esitazioni, i turbamenti, la rabbia e smascherando le bugie”. Per Veneruso non c'era altro modo: erano sempre i colpevoli, alla fine, a rivelarsi e ad arrendersi. Perché anche i suoi criminali non erano mai assassini raffinati, ma disgraziati inciampati nel delitto ..”

Il booktrailer:

Buona lettura!
La scheda del libro sul sito dei Gialli Mondadori

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29 giugno 2016

L'assenza di autocritica

L'Europarlamentare italiana Barbara Spinelli scrive oggi sul fatto di come sia assente nel Parlamento europeo ogni forma di autocritica, per le scelte politiche ed economiche fin qui portate avanti.
Nessuna autocritica sulla questione dei profughi e dei migranti.
Nessuna autocritica per i frutti della politica di austerità che in Europa ha allontanato le istituzioni europee dai cittadini.
Che ha soffiato il fuoco sui nazionalismi, che stava portando al governo estremisti di destra in Grecia prima e in Austria ieri.
Che ha risuscitato i movimenti di estrema destra, come in Germania.
Che ha quasi costretti governi anche di sinistra a portare avanti politiche di destra, che tolgono diritti e tutele.

Addirittura oggi si è arrivato a criticare le libere (?) scelte dei cittadini, dopo il risultato del referendum sulla Brexit.
In quanto hanno ripetuto (compreso l'ex presidente del consiglio Monti) che su questioni tecniche è sbagliato aprirsi al voto popolare.
Peccato che oggi le materie economiche siano intrecciate fortemente con le scelte politiche.

Quando si costringe un paese al pareggio di bilancio impedendogni del deficit per fare crescita sana, significa togliere risorse a scuole ed ospedali che finiscono nel buco nero dei mercati.
Le scelte dei popoli, in Inghilterra oggi, in Grecia ieri, non vanno bene se sono contrarie alla volontà dei mercati e della finanza. 
Come se votare col ricatto dei mercati fosse una libera scelta.
Si sostiene che siccome la gente è ignorante non può esprimersi.
Ma tutto questo è contrario alla democrazia: se il popolo è ignorante serve che la classe politica e dirigente lo renda più intelligente, più consapevole, meno ricattabile dalle sue paure.
Perché oggi si governa così: non si creano più sogni, modelli, ideali, visioni di un mondo migliore.
Si governa con la paura (degli immigrati, del default, dei mercati, dei barbari alla frontiera) e con le promesse (gli sgravi, i bonus).

Detto questo, mi chiedo fino a quando si potrà far finta che va tutto bene e continuare con questa contrapposizione tra pro e anti, senza vie di mezzo.

28 giugno 2016

Serenata senza nome - "le abiette traiettorie criminali" (un nuovo caso per Ricciardi e Maione)

Il fatto quotidiano pubblica una anticipazione dell'ultimo romanzi di Maurizio de Giovanni, "Serenata senza nome - Notturno per il commissario Ricciardi" (Einaudi)
Come di consueto, il messaggio era stato affidato a uno scugnizzo, e questo si era volatilizzato prima che ci fosse il modo di chiedergli qualche informazione in piú. Maione si era alzato con la testa che gli girava per la stanchezza; si era vestito in fretta, aveva chiamato le guardie Camarda e Cesarano, intente a russare sulle loro sedie, e si era avviato, proponendosi di mandare qualcuno ad avvisare un funzionario più tardi, in orario d’ufficio. Sotto sotto, in realtà, la sua speranza era quella di incrociare Ricciardi, l’unico che avesse l’abitudine di arrivare in anticipo in questura. E il suo desiderio era stato esaudito, perché se lo era trovato di fronte proprio sul portone. Un breve conciliabolo, un paio di secche informazioni e si erano messi in cammino; Ricciardi e Maione davanti, le guardie un passo dietro.
LE STRADE della città andavano lentamente popolandosi, ma solo di chi non poteva proprio fare a meno di uscire: un lunedí piovoso e freddo di metà ottobre era un ottimo motivo per rimandare gli impegni, se possibile. (...) La pioggia non faceva sconti a nessuno. Maione, avanzando accorto nel tentativo di scansare le pozzanghere, si domandava che cosa ci fosse di peggio di un morto ammazzato di lunedì mattina, quando il turno era quasi finito, pioveva e lui, di fatto, non dormiva da quasi ventiquatt r’ore. ( .. . ) E si domandava anche perché un uomo come il commissario si recasse al lavoro almeno due ore prima del dovuto al posto di dormire, lui che ne aveva la facoltà. Ricciardi, invece, rifletteva su quanto strana fosse diventata la sua vita nell’ultimo periodo. Dopo la morte di Rosa, l’amatissima tata che gli aveva fatto da madre, il senso di solitudine da cui era pervaso aveva raggiunto profondità fin lì sconosciute, eppure, per contrasto, la sua esistenza non era mai stata così affollata, anche da presenze nuove. (...)Meglio concentrarsi sul lavoro, la vecchia zavorra dolorosa nella quale era abituato a rifugiarsi. Meglio esplorare le abiette traiettorie criminali, meandri oscuri nei quali era possibile perdersi e smettere di pensare. (...) Camminavano sotto la pioggia, Ricciardi e Maione. Camminavano in silenzio, ognuno col proprio fardello sul cuore. Perfino un cadavere, di lunedì mattina e con quel tempo, tutto sommato poteva aiutarli a dimenticare. Almeno per un po’. Il corpo giaceva rannicchiato a ridosso di un muro in un vicolo stretto e buio. La pioggia lo lambiva appena, poiché era riparato dalla tettoia che sormontava l’ingresso di un magazzino.Attorno, non piú di una decina di persone, in silenzio e col berretto in mano, la testa bagnata per non rinunciare al rispetto dovuto alla morte. Maione si guardò in giro.–Allora? Chi l’ha trovato? Un ometto di mezza età, in abiti da lavoro, avanzò di unpasso uscendo dal piccolo assembramento.–Io, brigadie’. Sono il proprietario del deposito, sono arrivato per aprire e l’ho trovato sulla soglia. Credevo fosse uno che si era addormentato, capita che si mettano qua sotto, però stava vestito troppo bene. Allora ho provato a toccarlo e non si è mosso. E ho mandato ’nu guaglione a chiamarvi. Maione lo scrutò.–Qual è il vostro nome? L’ometto si mise sull’atten ti.–Palumbo Giorgio, a servirvi.–State comodo. Ditemi, avete notato qualche altra cosa? Qualcosa di strano, di non ordinario? Voi abitate da questeparti?– ’Gnorsì. Abito qua sopra, con mia moglie e i tre figli che sono rimasti; gli altri due se ne sono andati per la strada loro. No, non abbiamo visto né sentito niente. Ci stava solo lui, là a terra. Scusatemi, brigadie’, ma... Insomma, quando ve lo portate? No, perché io dovrei lavorare. Trattiamo legname per i cantieri, sapete, e se qualcuno viene e ci trova chiusi ci siamo giocati la giornata. Maione lo squadrò corrucciato.– Palu’, voi tenete i figli, avete detto. Magari ’sto poveretto li teneva pure lui. Ci vuole il tempo che ci vuole, non stiamo ai comodi vostri. L’ometto arretrò, a disagio,mormorando:–No, figuratevi, è che noi pure dobbiamo campare. E a quel poveretto là il tempo non serve più. Ma fate quello che dovete. Io mi metto qua, a vostra disposizione. Maione grugnì, e con un cenno ordinò a Camarda di allontanare di qualche metro il gruppetto di curiosi. Poi si avvicinò a Ricciardi, che era rimasto all’ingresso del vicolo. Disse: –Prego, commissa’. Accomodatevi. La procedura non scritta alla quale si attenevano i due era la seguente: Maione liberava il campo e Ricciardi era il primo che, da solo, si accostava al cadavere. Il brigadiere non aveva mai chiesto spiegazioni riguardo a quella strana abitudine, ma sapeva che per il superiore era fondamentale, e vi si atteneva con scrupolo.
RICCIARDI avanzò sentendo crescere la tensione nel petto. Capitava ogni volta. Un conto era essere colpito dal Fatto mentre camminava per strada, all’improvviso, o nella sala di un ristorante (...); in simili casi poteva provare a distogliere lo sguardo, allontanarsi, o cercare di distrarsi. Altro era andarlo a cercare. Avvicinarsi, fronteggiare l’immagine di un cadavere che vomita parole insulse dalla bocca contorta per la morte violenta. Ma con il lavoro che si era scelto, non poteva evitarlo. Si accovacciò. Il cadavere era di un uomo grande e grosso, riverso di lato, le braccia strette al petto e le ginocchia contro il ventre. Il vestito che indossava era di buona fattura, e il soprabito, aperto, pareva nuovo e costoso, anche se sporco di fango. Poteva avere una cinquantina d’anni,forse meno. Il volto era tumefatto e la tempia destra recava una strana depressione. Era rasato di fresco, e aveva i baffi. Dal taschino del gilet spuntava la catena d’oro di un orologio su cui si rifletteva la luce grigia della mattina, che avanzava a fatica tra la pioggia. Non una rapina, pensò Ricciardi. O almeno, non completata. Socchiuse gli occhi. Avvertì la presenza alla sua destra, anon più di qualche metro. Prima di guardare voleva sentire l’emozione arrivargli addosso. Abbassò le difese e si concentrò, come per ascoltare una musica sommessa, unbisbiglio. (...)SI ALZÒ. I suoi occhi percorsero i centimetri che separavano il corpo dall’immagine traslucida che solo lui poteva distinguere. Il morto era in ginocchio, le braccia lungo i fianchi, rivolto verso la stretta via quasi stesse tenendo un comizio a immaginari spettatori. Aveva il volto gonfio, informe,come truccato per uno spettacolo da circo; la bocca spaccatae sanguinante. Digrignando i denti spezzati, ripeteva: tu, di nuovo tu, tu, di nuovo tu, un’altra volta tu, di nuovo tu.Il cappotto era bagnato. Interra, proprio accanto, c’era un elegante cappello scuro. Ricciardi ruotò lo sguardo e vide lo stesso cappello qualche metro più in là, vicino al marciapiede. (...)Ricciardi rimase un attimo in silenzio, poi, Maione si avvicinò al cadavere per perquisirne gli abiti. (...) Si alzò e andò da Ricciardi.– Guardate un po’che ho trovato, commissa’. In mano aveva un rotolo di banconote. Una somma enorme.

Non è tempo di morire, Leonardo Gori

Incipit
Bruno Arcieri si era lasciato alle spalle gli addobbi di Natale del Ponte Vecchio e camminava per la stretta via de’ Bardi, con le mani affondate nelle tasche del cappotto.Alzando gli occhi vedeva solo un nastro di cielo grigio e piovigginoso, sopra i tetti dei palazzi medioevali. Che ore erano? Forse già le dieci. Avrebbe dovuto ricomprarsi un orologio.

Romanzo dopo romanzo, Leonardo Gori ci ha raccontato la lunga carriera, le indagini e le missioni, le storie personali del colonnello Bruno Arcieri, ex ufficiale del Sim, carabiniere, fiorentino di nascita, con un passato pesante alle spalle.
L'abbiamo visto assistere assieme alla fidanzata Elena al maggio “nero in cui si sanciva il patto d'acciaio tra Hitler e Mussolini. La missione in Francia per il Sim, ai mondiali di calcio.
L'abbiamo seguito mentre attraversava Firenze, distrutta dalla guerra di liberazione, nell'agosto '44, alla ricerca di notizie di Elena, alle prese con capolavori della nostra arte da salvare.
Fino ad arrivare all'alluvione di Firenze nel '66, l'inchiesta sul misterioso uomo della “musica nera”, sul passato fascista dell'Italia che ancora non si riesce a cancellare e che ancora trama nell'ombra.
Nemici che ora si sono messi sulle sue tracce e da cui Bruno Arcieri deve guardarsi le spalle: scampato alla morte dopo l'incidente in macchina, sabotata, a S. Anna di Stazzema, Arcieri si è rifugiato in Francia a Parigi. Come gli esuli italiani antifascisti cui il Sim dava la caccia, paradosso per un servitore fedele dello Stato come Arcieri lo è stato.
Ne “Il ritorno del colonnello Arcieri” i conti col passato si sono saldati: tornato in Italia come un barbone, riconosciuto e aiutato dall'amico commissario Bordelli, Arcieri ha forse chiuso i conti col suo nemico, l'uomo della “musica nera”.
Ma si è trovato, fuori dall'arma, fuori dai servizi, in un mondo a lui quasi sconosciuto: siamo nell'Italia degli anni 60, quella della contestazioni, quella dei capelloni e della musica rock, difficile da digerire per un amante del jazz.
Arcieri a Firenze si è ritrovato in mezzo a questi ragazzi, così diversi da lui, e ne ha apprezzato gli slanci, l'altruismo, il desiderio di libertà, dell'aprirsi verso un mondo nuovo.
Il rapporto tra il “vecchio” Arcieri e i giovani ragazzi della “comune” al centro del precedente romanzo, è presente anche in quest'ultimo Non è tempo di morire”.
No, decisamente, non è tempo di morire per Arcieri, che qui troviamo finalmente sereno, a fianco di Marie, la sua amica conosciuta a Parigi e quasi costretto a fare da padre a Simone, Alessandro, Angela.
Arcieri era convinto di aver investito bene i suoi soldi, aprendo la trattoria, con l’aiuto decisivo della sua amica Serenella. In quel modo aveva offerto una possibilità a Berta, al rockettaro Simone e al vecchio Maurizio...”.

L'incarico a Milano.
Siamo alla vigilia del Natale del 1969, l'anno dello sbarco sulla Luna ma anche l'anno della strage alla banca dell'Agricoltura a Milano, la strage di Piazza Fontana:
Arcieri pensò ancora alle immagini della strage, diffuse dal telegiornale. La voragine nel salone della banca, i corpi dilaniati, sangue e membra straziate ovunque”.

Tra gli scomparsi della strage c'è anche Antonio Arnai, forse uno dei cadaveri (o parti di cadaveri) non identificati: tramite l'amica comune Nelli, la figlia chiede ad Arcieri di indagare sulla morte del padre poiché è convinta che non sia morto, che dietro la sua scomparsa ci sia qualcosa di strano
Arcieri le fece coraggio. «Avanti, dimmi.» «C’è una ragazza, la nipote di una mia vecchia amica di gioventù, quando d’estate andavo in villa in Valdelsa...».

Ancora il rapporto tra la generazione dei giovani e quella dei vecchi: Arcieri che vorrebbe lasciar perdere, mettersi alle spalle gli intrighi e il sangue è costretto a farsi questo viaggio a Milano.
Ma non sarà da solo.

Perché c'è anche un problema con Angela, una delle ragazze della “comune”, scappata da casa e inseguita dalla polizia per una denuncia di furto.

Grazie all'aiuto del maresciallo Guerra, alla sua rete di conoscenze, Arcieri riesce a tenere lontano dai guai (e dal carcere) e a portarsela a Milano, per la sua piccola indagine, in un viaggio scomodo e fastidioso su un pulmino VW assieme agli “Spettri”, il gruppo rock composto da amici della cerchia della “comune” .
Il viaggio a Milano è l'occasione per fare un tuffo nel passato: qui Arcieri aveva preso servizio negli anni '30, prima della chiamata nel Sim.
Ma anche un altro passato lo sta chiamando: la sua amica Nanette, con cui aveva lavorato proprio col Sim, lo mette in contatto con Daniele, “uno di quei faccendieri che i Servizi usavano per giochi sporchi” e che ora cerca l'occasione per rientrare nel giro, dopo aver avuto il benservito dalla ditta:
«L’attentato di piazza Fontana, ad esempio. E altre cose... Vuole offrire i documenti a qualcuno che possa farlo rientrare...»

Sono carte che scottano e che Arcieri nemmeno vuole vedere, provenienti da una fonte a conoscenza delle operazioni sotto falsa bandiera dei servizi, che portano ai veriresponsabili della bomba.
L'indagine su Antonio Arnai e la sua doppia vita, la bomba di Milano, le trame dei servizi, Angela e il suo problema da cui sta scappando (e che Arcieri intende salvare in tutti i modi).
Arcieri scopre come tutte queste storie siano intrecciate e portano alla famiglia di Arnai, alla vecchia matriarca Ada e al fedele collaboratore di famiglia Giugurtino.
E che forse, dietro la verità ufficiale, sia quella della strage, che quella della morte di Arnai, esiste una verità nascosta:
immaginava uno scenario alternativo alla versione ufficiale, ma senza alcuna possibile prova. Qualcosa di terribile che univa il vecchio Augusto, Giugurtino e Antonio Arnai.[..] Nomi e volti gli si affacciavano alla mente: Augusto, il capostipite suicida, con la matriarca Ada; il vecchio Giugurtino e Nicoletta; Antonio Arnai e la fantomatica Helene...”

Vi dico subito che il finale di questo racconto non è una fine ma solo il principio di un nuovo capitolo, di una nuova caccia per Arcieri. Per sistemare i conti col passato, per un dovere di coscienza nei confronti delle vittime di piazza Fontana, per quegli occhi che lo guardano e che gli chiedono giustizia.
Perché in fondo rimane un servitore dello Stato, anche se lo Stato è quello delle coperture e dei depistaggi, che non sa parlare né comprendere le nuove generazioni, le aspirazioni e i bisogni.

Come nel precedente libro, anche in questo compare in più punto il commissario Bordelli, il protagonista dei gialli di Marco Vichi, con cui ha un ultimo scambio di battute:
«Non vuole dirmi cosa sta succedendo?»
«Devo andare via un’altra volta.»
«Potrebbe scrivere il manuale del fuggiasco...»
«Non è come sembra, Bordelli, questa volta è proprio il contrario.»


La scheda del libro sul sito di Tea e il blog personale di Leonardo Gori.

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27 giugno 2016

36 anni dopo, il mare è ancora profondo

E' chiaro 
Che il pensiero dà fastidio 
Anche se chi pensa 
E' muto come un pesce 
Anzi un pesce 
E come pesce è difficile da bloccare 
Perchè lo protegge il mare 
Com'è profondo il mare 
Lucio Dalla - Com'è Profondo Il Mare
In occasione dei 36 anni dalla strage di Ustica (o incidente, o abbattimento fate voi) il presidente della Repubblica Mattarella ha risposto con queste parole alla lettera di Daria Bonfietti
"E' una domanda di giustizia quella che le famiglie rappresentano. A questa domanda devono corrispondere, con serieta' e dedizione, le istituzioni nazionali e quelle estere chiamate a collaborare, perche' le nostre democrazie si fondano su valori e diritti che non possono sottrarsi al criterio della verità".
Per chi non lo sapesse Daria è il presidente dell'associazione delle vittime della strage (o abbattimento, o incidente..): una delle poche persone che in tutti questi anni ha lottato, a volte urlando contro il muro di gomma, per avere giustizia per le 81 vittime disperse nella fossa del Tirreno quella notte del 27 giugno 1980. La notte della guerra nei cieli del Tirreno.

In quella fossa non solo sono precipitati i resti del I-Tigi, ma anche la nostra dignità, il senso dello Stato dei nostri vertici militari (che han preferito non ricordare, passando per smemorati) e le coperture politiche.
Degli stessi politici che ogni anno ripetono le solite frasi di circostanza su Ustica oppure si dedicano al teatrino, tirando fuori piste inedite per la verità.

Ecco, sono passati 36 anni e siamo diventati tutti adulti: potremmo meritarci anche qualcosa di più.
Magari qualche segreto di Stato di meno.
Certo Chi comanda Non è disposto a fare distinzioni poetiche Il pensiero come l'oceano Non lo puoi bloccare Non lo puoi recintare Così stanno bruciando il mare Così stanno uccidendo il mare Così stanno umiliando il mare Così stanno piegando il mare

25 giugno 2016

Arcieri in mezzo alla strage di Piazza Fontana

Nell'ultimo romanzo di Leonardo Gori "Non è tempo di morire", ritroviamo l'ex colonnello dei servizi Bruno Arcieri: siamo nel dicembre del 1969, l'anno della sbarco sulla luna ma anche l'anno della strage di Piazza Fontana, la bomba alla banca dell'Agricoltura, il primo atto della strategia della tensione, della destabilizzazione del paese per stabilizzarne la politica.
La bomba sarà al centro dell'indagine personale che l'ex spione dovrà portare avanti a Milano: scoprire se Antonio Arnai è veramente morto nella banca per l'esplosione della bomba.
È un favore che fa anche per l'amicizia con la contessa Nelli, che l'ha aiutato nel suo ritorno a Firenze, ad aprire il ristorante assieme ai ragazzi della “comune”, Simone, Berta, Angela, che l'avevano accolto quando era arrivato a Firenze dalla Francia ..
Arcieri e i due poliziotti, stretti nei loro impermeabili chiari, passarono davanti a due guardie e superarono ciò che restava della porta d'ingresso.Entrarono nella grande sala circolare, teatro della carneficina. Arcieri avvertì come prima cosa l’odore: calcinaccio e legno bruciato, misto a qualcosa che sapeva di morte.Ripensò, inevitabilmente, alle immagini di guerra: gli scavi nelle macerie dei palazzi abbattuti dalle bombe, le voragini nelle strade.Aveva letto i giornali, che non risparmiavano i particolari della strage neanche al pubblico più ampio.Ma il racconto dell'ispettore, che era stato tra i primi ad arrivare alla banca, subito dopo l'esplosione, comunicava un orrore diretto, lucido, senza veli. Il funzionario indicò sui muri le impronte dei poveri resti scagliati dalla forza immane dello scoppio”.

Nel corso della sua vita ne aveva viste di scene drammatiche il colonnello: la guerra, i bombardamenti, le morti per le rappresaglie dei nazifascisti. Le 12 persone morte per la bomba lo colpiscono nel profondo dell'animo, molto più profondamente di quanto vorrebbe essere coinvolto. Tolta la divisa, dismessi i panni della spia, Arcieri vorrebbe dire basta con la guerra sotterranea, gli intrighi, le morti innocenti. Perché Arcieri capisce che quella strage ha dietro qualcosa:
Arcieri avrebbe voluto andarsene subito. Camminando sulla cenere pensava al volto sorridente di Marie, alle vesti colorate di Berta e agli sguardi senza ombre di Simone, di Alessandro, di tutti i ragazzi innocenti. Benché certe volte si fosse sporcato le mani, poteva ancora guardare negli occhi la gente comune, incrociandola per strada. In trent'anni di lavoro, aveva sempre cercato di essere giusto.Ma a un tratto gli parve di avere intorno a sé tutte e tredici le vittime e ognuna gli tirava la giacchetta, per dirgli che se anche non aveva fatto nulla, lui però sapeva: conosceva gli inganni che si nascondevano dietro le false informazioni dei giornali e della televisione, dietro i discorsi dei politici... La verità non era quella letta dagli speaker del telegiornale”.

L'interno della banca dell'Agricoltura a Milano, dopo l'esplosione della bomba il 12 dicembre 1969
E poi ci sono le carte della strage, che un faccendiere, che è stato al servizio del Sim e poi del Sid si è procurato, da una buona fonte, vicina agli americani. Carte che raccontano una storia diversa dalla pista degli anarchici, di Pinelli e Valpreda e del circolo della Bovisa.
Erano fotocopie di documenti classificati, coperti dal segreto. Venivano certamente dalla borsa della spia. Quell’uomo non intendeva proprio mollarlo...[..]Quei pochi fogli, a chi sapeva leggerli, offrivano un quadro sconcertante.
Partendo da lì, si poteva arrivare senza dubbio a chi aveva messo la bomba, e perché. Chiuse gli occhi e pensò al proprio passato.Aveva attraversato fascismo e antifascismo, muovendosi da una palude a un’altra. Conosceva bene le cosiddette operazioni sotto falsa bandiera, ed era consapevole delle infiltrazioni di ogni tipo che avevano sempre afflitto i Servizi Segreti. Sapeva degli intrecci e delle servitù inconfessabili, un filo di sangue che legava il fascismo agli orrori della guerra e delle stragi. Sapeva del retroscena dei burattinai, aveva assistito ai giochi di potere, agli inganni e ai ricatti... Più di una volta ci si era sporcato le mani. Non avrebbe mai dimenticato, perché a lui non era concesso far finta di non sapere. Eppure, nonostante tutta la sua esperienza, quei documenti lo avevano sorpreso e ferito”.

Riuscirà Arcieri a non farsi coinvolgere nelle trame sporche dei servizi?
E che ne sarà della sua personale indagine a Milano?
Dopo “Il ritornodi Bruno Arcieri”, un altro appassionante capitolo della saga di Leonardo Gori con protagonista il colonnello dei carabinieri Arcieri, di cui abbiamo seguito la carriera, le indagini, il rischiare la pelle da nemici insidiosi, dall'Italia alla Francia.

Qui trovate la scheda del libro sul sito di Tea edizioni e il blog dell'autore fiorentino, Leonardo Gori.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

24 giugno 2016

Perché Brexit

Chissà perché la gente, il popolino, quello che commenta le notizie dei giornail sul bar o sul treno ama poco l'Europa, i mercati, le banche.
Chissà perché si chiedono i commentatori nei talk, economisti ex presidenti del consiglio, giornalisti di grido che sanno come funzionano le cose.

Certo, basterebbe leggerli i giornali e leggersele quelle notizie che alla gente danno così fastidio.
Ieri per esempio, il presidente del Consiglio è stato ascoltato dalla procura di Roma come persona informata sui fatti per la presunta fuga di notizie, prima del decreto sulle banche popolari.
Dove De Benedetti ha inventito 5 ml in azioni delle popolari, prima che la notizia del decreto uscisse, guadagnandoci 600 mila euro.
Altri fortunati si sarebbero arricchiti alle spalle dgli azionisti del popolino, quelli che dovevano comprare azioni in cambio di prestiti

Tra le banche coinvolte dal decreto anche la famosa Banca Etruria.
Questa banca rientra in un'altra inchiesta, per bancarotta della società  Privilege Yard dell'imprenditore Mario La Via, che voleva costruire yacht di lusso.
Per questa impresa ha avuto linee di credito importanti (e senza troppi controlli) dalle banche, tra cui anche Etruria per 29 milioni.
Un'inchiesta che parte dalle banche (generose con certi imprenditori e non con altri, magari più meritevoli), che porta alle banche oggi in crisi e che devono essere salvate col meccanismo del bail in.
E che termina in Vaticano, con l'ex segretario di Stato Bertone che usava la Via (e i soldi dell'impresa come Bancomat).

Ecco, e poi ci lamentiamo che la gente, il popolino che non capisce di economia e mercati (ma che invece ha problemi con le banche, il mutuo, il lavoro, i treni dei pendolari ...) fa il tifo per la fine di questa Europa? Per l'Exit ..
Perché la gente che ha altri problemi rispetto ai vari Brunetta, Monti, Letta, Napoletano vorrebbe uscire da euro ed Europa?

23 giugno 2016

Scricchiolii

Perdere non piace a nessuno, ci mancherebbe.
La sconfitta poteva servire per dare un cambio di rotta al partito di governo.
E invece ..


I primi scontri all'interno del PD.
Le prime crepe all'interno della maggioranza allargata.

Grandi eventi piccolo paese


Questa mattina ascoltavo alla radio la cronaca di Chiara Ronzani nel viaggio in treno sul lago di Iseo, per vedere l'installazione di Christo a Montisola.

Quando si parla di migliaia di visitatori al giorno che si muovono non esistono partenze intelligente: a Brescia, alla stazione la giornalista si è trovata davanti una muraglia umana. Tempo previsto per salire sul convoglio di Trenord, 4 ore.
Trenord aveva promesso un treno ogni 20 minuti, per evitare problemi di traffico con le auto: peccato che si tratta di una linea a binario unico con treni a gasolio.
Giusto un consiglio: armatevi di tanta pazienza e di un filtro solare perché la superficie della passerella riflette la luce del sole.

Bellissima l'installazione, che verrà smantellata dopo il 2 luglio.
Peccato che dietro la macchina organizzativa ci siano le soliche piccolezze sui trasporti.

Martedì scorso, per aggiungere carne al fuoco, un convoglio Trenord si è bloccato in galleria tra Bullona e Bovisa e i pendolari, forse stanchi di aspettare fermi sul treno, hanno aperto le porte di emergenza e si sono avviati sui binari.

22 giugno 2016

Se questi sono i guru

Fatto quotidiano del 22 giugno: intervista al guru della comunicazione Alec Ross della giornalista Virginia della Sala

Il suo libro parla di futuro e digitale. L’Italia è agli ultimi posti, tra banda larga e di-gitalizzazione. Perché?È troppo difficile diventare imprenditori qui. È come andare in guerra, serve un esercito: di avvocati, di consiglieri. Di francobolli. La regolamentazione è troppo stringente e i servizi lenti. E poi, c’è il problema delle donne.
A cosa si riferisce?C’è troppa discriminazione:ho partecipato a molti business meeting e le uniche don-ne presenti erano quelle che servivano il caffè. Senza con-tare che quella italiana è una società che non permette di sviluppare se stessi, in cui conta dove nasci e la famiglia da cui vieni. Questo condiziona la vita delle persone, già segnata in partenza soprattutto al Sud. Tutto però si risolverà. Il referendum costituzionale è un ottimo inizio.
Scusi, ma qual è il collega-mento tra digitale e referendum?La semplificazione.
Ma è quello che dice Renzi. Lei è di parte...Penso davvero che Renzi sia sulla strada giusta e abbia fatto cose buone. Non so perché le persone lo attacchino...
Immagino che Alec Ross sia poco informato sia del referendum, che di quanto Renzi ha fatto in Italia in questi due anni.
Nel caso gli consigliamo il libro di Davide Vecchi "Il prezzo del potere", dove potrà leggersi come è avvenuta la presa dei posti a palazzo da parte dei membri del giglio magico. A proposito di meritocrazia.
Come è avvenuto che in Campania Renzi si sua dovuto alleare con De Luca per il suo pacchetto di voti (a proposito del sud). 
Di come nel referendum l'unica semplificazione riguardi la non eleggibilità dei nuovi senatori, impedendo così il controllo da parte dei cittadini.
Se questi sono i guru ..
Chissà perché la gente lo attacca poi: forse perché è il Renzi dei gufi e dei rosiconi, del #ciaone e degli archeologi della Costituzione.
Forse perché gli 80 euro hanno anche stancato di fronte ai problemi di tutti i giorni. 

21 giugno 2016

Armatevi a uccidetevi tutti

Gli auguri di Natale di una deputata USA
«Se questo figlio di puttana fosse entrato sparando e la gente in quel posto avesse avuto un’arma e avesse cominciato a fare “boom?”. Sapete cosa? Sarebbe stato proprio un bello spettacolo, gente»
Questo è quello che ha raccontato in uno dei suoi comizi, il candidato alla Casa Bianca Donald Trump, commentando la strage di Orlando.

Se tutti potessero girare con un'arma, carica, sapendo di poterla usare, saremmo in pieno Far west:
«Sarebbe stato proprio un bello spettacolo, gente».

Altro che: sarebbe invece una corsa al riamo, dove siccome tutti sono armati, sei costretti ad armarti anche tu, per paura. Oppure a rimanere in casa. E forse anche in casa bisogna essere armati, col colpo in canna, col rischio che uno dei tuoi figli si spari addosso per errore.
Pensavo a questo, dopo aver letto la notizia della bocciatura dell'ennesima proposta di limitazione della vendita delle armi (alle persone nelle liste dei sospettati).
Nella più grande democrazia del mondo, la lobby delle armi è più potente del buon senso delle persone normali, perfino del presidente Obama.

Milano disco inferno, di Riccardo Besola

“Non è sempre facile da dire, la verità.”

Il titolo non tragga in inganno: non si parla di musica anni '70 in questo nerissimo noir di Riccardo Besola (in questo romanzo senza il resto della compagnia di Ferrari e Gallone). Anche se al centro della storia c'è un disco, di quelli in celluloide, è un romanzo in puro stile poliziottesco, una storia di mala, di gangster dall'aria anonima e di poliziotti corrotti, di brava gente che si trova al posto sbagliato al momento sbagliato. E che si ritrova a compiere scelte sbagliate .. Di figli che seguono le orme sbagliate dei padri. E in mezzo, a far da collante a tutte queste vite intrecciate un disco, quel disco, che passa di mano in mano.

16 luglio 1975 – provincia di Milano casa di incisione dischi FuturAudio
Tutto parte da un'incisione su un disco, in una delle tante fabbrichette nella Brianza monzese: cosa c'è di strani, direte voi?
Di strano c'è che a venire incisi sono numeri e lettere.
Che questa richiesta, a Mario Spitz, era arrivata da un tale conosciuto in un bar, che gli aveva promesso un centone facile facile per quel lavoro.
E dai Mario, fai il bravo. Verrà un uomo. Devi incidere qualcosa su uno dei dischi che fate lì in ditta da voi”.

Una sera, dopo la chiusura, sarebbe arrivato da Mario un tale che gli avrebbe chiesto un lavoro. Quello facile facile.
E che poi, finito al lavoro, anziché dargli quel centone (facile, facile), gli punta una pistola in volto.

Ed ecco che entra in scena il secondo protagonista della storia, coinvolto per caso. Quel caso che ti porta ad essere nel posto sbagliato eccetera eccetera.
Bruno Moriago, si chiama: costretto a tornare al capannone perché si è dimenticato lì il portafoglio. E sulla Comasina c'è appena stato un incidente e allora era entrato in un locale per telefonare quando si era accorto del portafoglio.

Il caso dunque e la necessità di dover decidere in fretta quando ti trovi davanti ad una scena da film: un tipo sconosciuto con una strana camicia che minaccia il tuo collega. Prendi una sbarra e ..
E poi? Denunci alla polizia, mandando in rovina il principale che in quel capannone tiene dentro anche roba in nero?
Oppure continui a prendere la decisione sbagliata: disfarti del corpo gettandolo nelle acque del Lambro.
Ma quell'uomo non era una persona qualunque, uno con un lavoro, che prende uno stipendio ogni fine mese, per dire.
Era solo la punta dell'iceberg di una banda. Che non dimentica. E che si mette sulle tracce di Mario e Bruno.
Era come se fossero finiti anche loro nel Lambro, insieme a quello sconosciuto e alla Lancia Beta color amaranto.”

Di errore in errore: quell'uomo morto aveva una brutta faccia, e Bruno Moriago di brutte facce se ne intende. Prima di metter su famiglia, sposarsi e avere un figlio, Raul, anche lui aveva frequentato cattiva gente:
“aveva iniziato a capire che quella era una storia maledetta e complicata e le storie maledette e complicate non si risolvono con una sbarra di ferro e una Lancia Beta color amaranto fatta andare giù nel Lambro”.

A chi chiedere un aiuto allora? Alla sua vecchia banda di in piazza Wagner, quando veniva chiamato bistecca e si occupava di rubare le auto su commissione.
Qui incontra una vecchia amicizia, un uomo magrolino, ossuto, insignificante: un uomo da niente, ma con una brutta faccia, che gli racconta un altro pezzetto della storia dietro quel disco maledetto.
Una storia di una banda, di sbirri corrotti ma con forti coperture in alto. Di ricatti e di miliardi su un conto in Svizzera.
Il cui codice viene diviso in due: metà agli sbirri e la seconda metà incisa su quel disco. Capito adesso perché così importante?
Bruno capisce che per salvarsi, dovrà continuare a fare altri sbagli, altri errori, per sfuggire a quelli che gli stanno alle calcagna:
“La vecchia banda non se n’era mai andata, mai, neppure per un secondo, se lo ricordavano sempre, ogni giorno, e se lo erano ricordati dopo anni interi.”

Come tutti i dischi, anche questa storia ha un lato A e un lato B. Il lato A, la prima parte del racconto, si chiude sempre in quel luglio torrido del 1975. Davanti un pozzo asciutto in una cascina sperduta a Quinto Romano, “un grumo di case e quella strada che passava nel mezzo” estrema periferia milanese.
Si chiude con due morti, che le indagini della polizia archivieranno come una brutta storia di spaccio.
E quella brutta faccia, che nella mala viene chiamato Mezzanotte, che finisce in carcere.

Milano 1978, carcere di San Vittore
La cosa strana di San Vittore è che sta in mezzo alla città. Nel raggio di un chilometro si possono trovare Porta Vercellina con le sue eleganti boutique, la darsena dei Navigli, la basilica di Sant’Ambrogio,..”.

Il lato B del libro è una storia di vendetta, per cui vale la pena aspettare mesi e anni, e anche una storia della caccia all'oro, per cui vale la pena pestare a sangue e uccidere.
Di colpe dei padri che ricadono sui figli.
Una lunga corsa verso un finale dove non troveremo più buoni o cattivi ma dove l'importante è rimanere vivi.

Ed è destino, quel destino maledetto che non guarda in faccia a nessuno tra i cattivi e i meno cattivi, che questa storia finisca ancora a Quinto Romano, periferia di quella Milano “che non appartiene a nessuno”.

Un romanzo duro e nero, “come il vinile” scrive Luca Crovi: una trama ben ingegnata con diversi colpi di scena, con personaggi preda delle loro debolezze, della loro rabbia, del dolore che si portano dentro.
Con le loro bugie e coi loro vuoti interiori.
Un personaggio della mala che è l'incarnazione del male. Uno di quelli cresciuti a fregare il prossimo.
Una storia dura, niente lieto fine all'uscita, che lascia una profonda sensazione di amaro in bocca.
Solo la speranza di rimanere vivi.
E, sullo sfondo, la Milano anni '70, con la sua nebbia (che fine ha fatto?) la mala, gli scontri tra rossi e neri.
Tra Tarantino e Scerbanenco.
Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di Novecento editore .

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

20 giugno 2016

REC – la seconda puntata (traffico di opere d'arte, vigilanza privata e parchimetri)

Il metodo REC, quello dellemini-inchieste su singoli temi, funziona se i giornalisti sono bravi nel sintetizzare la storia in un mini servizio. Altrimenti il rischio per lo spettatore è il perdersi dietro le notizie senza capire il filo del discorso: questa seconda puntata secondo me è risultata meno efficace della prima, i servizi mi sono sembrati troppo dispersivi e non è sempre stato facile per me seguirli.

Vero o falso, di Claudia di Pasquale: dal finto (o non vero) crocifisso di Michelangelo pagato 3 ml di euro ai quadri (veri? Falsi?) di Bacon di un collezionista privato, passando per i trafficanti di reperti che in Italia rischiano poco.
Nel mondo il business delle opere d'arte vale 64 miliardi di dollari l'anno, ma il 50% delle opere sarebbe falso: siamo nelle mani dei critici che spesso danno pareri contrapposti, e va tutto bene.
Aggiungiamo anche che molte delle opere (vero o false) sono in mano nelle fondazioni bancarie: se fossero dichiarate false che fine farebbero i conti delle fondazioni?

Ma siamo sicuri? L'inchiesta sulla vigilanza privata – Federico Ruffo
Sulle tracce del “sistema Basile”: il gruppo che si occupa di vigilanza privata in Italia e che prende appalti nel pubblico.
Il mercato in Italia vale 2 miliardi e il gruppo KSM ne prende da solo 400 ml di euro: in che modo?
Vantando buone conoscenze politiche coi partiti di centro destra in Sicilia, ma anche con Beppe Lumia (PD). La KSM porta in dote ai candidati politici (come Finazzo, eletto in consiglio comunale a Palermo) pacchetti di voti dei propri dipendenti (800 solo in Sicilia) e dei familiari.
La vicinanza con la politica permette un occhio di riguardo negli appalti?
Alcuni – dice un testimone anonimo al giornalista – sarebbero cuciti addosso a loro.
Altri sono vinti grazie al massimo ribasso, per far fuori la concorrenza.
All'aeroporto di Palermo dietro alcuni appalti c'era un sistema di mazzette scoperto dalla magistratura e che ha portato all'arresto di Helg e a far emergere i contatti con Basile.
Le storie di controllati e controllori, dirigenti stipendiati dalla KSM e dalla Gesap (l'ente di gestione dell'aeroporto di Palermo).
C'è la storia di un dirigente dell'Ivri finito nell'inchiesta sulla strage di Paolo Borsellino.
Perché Gaetano Scotto ha chiamato Paradisi quel 19 luglio a Castel Utveggio?

In che mani siamo?
Sul controllo dei parchimetri a Roma è in corso una guerra, nata a seguito del passaggio da Parkeon a Sigma, per la loro gestione.
Qualcuno li sta sabotando o li ha sabotati? Atac oggi è al buio: l'amministratore ha raccontato al giornalista che sono state tolte le Sim e che oggi non possono comunicare al server. Così Atac sa quanto incassa solo perché manualmente controllano le macchine.
Difficile però avere la certezza che non manchi nulla.


Dal 2016, si è passati da Sigma alla Security Park: titolare è Piero Tomassi, un operaio che ha fatto strada. A lui sono affidate la sicurezza delle casse forti delle biglietterie dei comuni d'Italia.
Nel 1999 un commando entrò nel caveau della banda nel palazzo di Giustizia: un furto di documenti importanti, non solo soldi. Il commando guidato da Carminati: Piero Tomassi, non era presente al furto, ma è stato condannato.
Tomassi è così competente nel settore delle cassette di sicurezza da aver appalti anche col gruppo Guidi, per la Ducati Energia.
Ma noi come cittadini siamo sicuri?

Fate i nomi – l'invito del giornalista Giulio Valesini ai responsabili delle società che ha intervistato.

Sconfitte che fanno bene (al paese)

Ci sono sconfitte che fanno bene: voglio dire, fa sempre poco piacere perdere un'elezione, ma se da queste si riesce a trarre un insegnamento buono per il futuro, ben venga.
La sconfitta del PD a Roma Torino, per esempio: servirà da una parte a far cambiar aria in questi comuni.
A Torino dopo anni di amministrazione di un centrosinistra che non è saputo andare oltre l'abbellimento del centro e la Fiat di Marchionne e che ora si scopre sempre più povero.
A Roma, dopo mafia capitale, non era sufficiente cacciare Marino (con un'operazione vergognosa come l'atto col notaio).

Ora il PD avrà tempo per riflettere: sui contenuti, cui candidati, sul rapporto con gli elettori (a Milano Sala ha vinto grazie al turiamoci il naso).
Ma sono vittorie che ci permetteranno di capire se il M5S è pronto per governare una grande città: c'è poco da festeggiare e molto da fare.
Certo, forse Roma senza le Olimpiadi sarà più triste, ma almeno avremo il tempo di occuparsi di questini più terra terra.

Sono finiti i ballottaggi e possiamo archiviare anche queste elezioni: elezioni contrassegnate dalla poca memoria dei candidati, dai toni bassi.
Che tutti ne traggano lezione visto che alla fine, gli elettori, sono sempre meno e sempre più arrabbiati.
Non vorrei ora passare i prossimi mesi a vivere la campagna elettorale per il referendum su questi argomenti.

19 giugno 2016

La seconda puntata di REC: il mercato dell'arte, la vigilanza, le multe e i giornali

Secondo e ultimo appuntamento con le “mini” inchieste dei giornalisti di REC: come per la scorsa puntata, sono inchieste che toccano temi diversi, a volte trascurati dalle agente dei governi, di cui si parla solo in occasioni di inchieste giudiziarie.
Come lo scandalo del crocifisso di Michelangelo comprato da un privato per 3 ml di euro, che poi si è rivelato un falso.


Chi certifica le opere d'arte e chi certifica il certificatore?
Parliamo dei nostri beni, quelli che i politici chiamano (ipocritamente) il nostro petrolio.
"VERO O FALSO?" di Claudia Di Pasquale (qui l'anteprima sul sito RAI.tv)
Il mercato dell'arte vale 64 miliardi di dollari l'anno. Ma chi vende e chi compra? Accertare la provenienza e l'autenticità di un'opera non è un'impresa facile, soprattutto quando in ballo c'è un quadro d'arte contemporanea. Ci sono statistiche autorevoli secondo cui almeno il 50% di opere che circolano a livello internazionale sono false. Capita spesso di trovare il critico che sostiene l'autenticità di un'opera e quello che pensa esattamente il contrario, e qualche volta a farne le spese possono essere le casse dello Stato. A colpi di perizie, pareri, mostre, si gioca l'autenticità di una firma che, se riconosciuta dal mercato come vera, consente di trasformare un'opera d'arte in un assegno in bianco. Manca un ente pubblico o terzo autorevole in grado di mettere la parola fine. L'inchiesta parte dal caso di un crocifisso ligneo attribuito a Michelangelo e comprato dallo Stato per 3.250.000 euro. Ma siamo sicuri che sia veramente di Michelangelo? Poi c'è il caso di un quadro di Boccioni rubato nel 1969 e venduto all'asta nel 2004 da Christie's alla fondazione bancaria Cariverona. I vecchi proprietari lo rivorrebbero indietro, ma non possono, perché?

Presa diretta aveva già raccontato del mondo della vigilanza privata, un far west di certificati concessi con facilità, pochi controlli e personale sfruttato e mal pagato.
Questa sera Federico Ruffo si occuperà di una società in particolare, la Biks di Rosario Basile.
E del “sistema Basile”.

"MA SIAMO SICURI?" di Federico Ruffo (l'anticipazione sul sito Rai.tv)
ll mercato della vigilanza privata vale circa due miliardi l'anno. La sicurezza di aeroporti, porti, banche, comuni, uffici di Inps, Poste e altri enti è in gran parte in mano a un gruppo, il Biks di Rosario Basile. Ormai detiene una fetta consistente degli appalti in Italia con dieci società, settemila dipendenti, quaranta sedi, 263 mezzi blindati, diciannove caveau, settantamila clienti. I giornalisti di Rec hanno indagato sul gruppo ed è emerso un vero e proprio "sistema Basile" fatto di appalti ottenuti con ribassi inarrivabili, una ragnatela di rapporti tra manager in palese conflitto di interessi, amicizie politiche e intrecci tra dirigenti di rilievo del gruppo con i boss. Quella dei Basile è una struttura molto attenta ai rapporti con le persone che contano. Una delle loro società avrebbe anche fatto la vigilanza privata per l'allora Ministro della Giustizia Angelino Alfano. Perché un ministro che ha già la scorta ricorre alla vigilanza privata?

Mafia capitale avrebbe (o ha) messo le mani anche sul business delle strisce blu (500ml di euro l'anno), attraverso il controllo e la manipolazione dei parchimetri a Roma, fabbricati da una società francese e comprati dall'ATAC.
Scendi dalla macchina, cerchi il parchimetro, metti le monete, torna in macchina e lascia il biglietto. Per molti un’azione quotidiana, come lavarsi i denti. Eppure, anche qui, fuori fuoco, c’è qualcuno che si fa i fatti i suoi”.

Verrebbe da dire, leggendo l'anticipazione del servizio di Giulio Valesini, che più che le olimpiadi, a Roma servirebbe ripartire dai fondamentali.
Le strade, i parcheggi, la metrò ...

"IN CHE MANI SIAMO" di Giulio Valesini
La sosta sulle strisce blu fa entrare nelle casse dei comuni circa mezzo miliardo di euro ogni anno. A Roma ci sono 2500 parcometri, tutti fabbricati dalla multinazionale francese Parkeon e acquistati nel tempo da Atac. Parkeon ha parcometri anche a Milano, Bologna, Torino e Padova. Ma nella capitale da qualche anno è in corso una guerra silenziosa per il controllo delle preziose colonnine. I giornalisti di Rec hanno indagato su questa battaglia fatta a colpi di sabotaggi, mancati incassi, poca trasparenza negli appalti e personaggi un tempo in contatto con Massimo Carminati. Uno di loro è Piero Tomassi considerato un vero mago di casseforti e allarmi, coinvolto nel processo per la rapina al caveau della banca del palazzo di giustizia di piazzale Clodio avvenuto nel 1999. Siamo in buone mani o è come affidare la banca del sangue al conte Dracula?

A chi finiscono i finanziamenti pubblici per l'editoria? Quando se ne era occupata Report nel 2007, l'inchiesta aveva fatto scandalo, per la gestione allegra dei soldi pubblici a testate vicino ai partiti.
In questo servizio di Antonella Cignarale si parla di due milioni di euro stanziati da Palazzo Chigi per la stampa italiana all'estero.
Chi sono i destinatari di questi fondi? Il servizio mostrerà come potremmo fare un po' di spending in questo settore, visto che si tratta di riviste sportive e dove non si tiene in conto il contenuto che viene pubblicato.
2 milioni di euro.

"DACCI OGGI IL NOSTRO FINANZIAMENTO QUOTIDIANO" di Antonella Cignarale (qui l'anticipazione su Rai.tv)
Ogni anno la presidenza del Consiglio dei ministri stanzia due milioni di euro per sostenere la stampa italiana all'estero. Tra i periodici che ricevono maggiori finanziamenti pubblici ci sono quelli editi in Svizzera, che in totale hanno ricevuto dalle casse statali quattrocentomila euro in un anno. Le telecamere di Rec hanno percorso il territorio elvetico e hanno scoperto che i fondi finiscono sostanzialmente a finanziare le missioni cattoliche o le redazioni affidate al Club Forza Cesena e allo Juventus Club. Tra i contenuti informativi di questi giornaletti: orari delle messe, commemorazioni dei defunti, castagnate e corsi di cucina tradizionale come il "fritto misto di stagione alla lucchese" o "gli involtini calabresi di carne e crocette di fichi".


Le anticipazioni e i video li trovati sul sito di Rec e sulla pagina Facebook.