30 giugno 2016

La collera di Napoli, di Diego Lama

Nei delitti si inciampa sempre, pensò Veneruso, solo e unicamente per volontà del padreterno”.

Napoli, settembre 1884.
Mentre in città l'epidemia di colera miete vittime e un cordone sanitario viene stretto per impedire che l'epidemia si estenda troppo, sulla spiaggia di Trecorone vengono rinvenuti, uno dopo l'altro, i corpi di diverse ragazzine, uccise, il corpo parzialmente devastato dall'azione dei topi.
Sono i delitti delle Sirene, così sono stati chiamati dalla stampa, che suscitano una forte attenzione nonostante le centinaia di vittime del colera, la nuova peste che non guarda in faccia a nessuno.
Di questi delitti se ne occupa il commissario della Regia polizia Veneruso.

Personaggio fuori dagli schemi, questo investigatore: non è un'appassionato delle scienza investigativa come Sherlock Holmes, anzi è abituato a comprendere la colpevolezza di un sospettato da un'espressione, una parola detta o non detta (altro che Lombroso e le sue teorie piemontesi). Come il più celebre Maigret di Simenon, ma a differenza di quest'ultimo è scapolo, vive da solo e si concede una volta al mese la compagnia di una prostituta, sempre la stessa, nella casa di tolleranza “Cascina rosa”.
Non è nemmeno un amante della buona cucina come il Montalbano di Camilleri, che per tutti i rospi che ha dovuto ingoiare nella carriera lo stomaco nemmeno saprebbe apprezzare la buona cucina.
Forse, assomiglia un po' al Ricciardi di Maurizio De Giovanni: meno bello, più stagionato, che come lui gira per le strade di Napoli ad osservare il contrasto tra ricchezza e povertà, senza però i demoni di quest'ultimo a fargli compagnia, solo i cattivi pensieri.

Diego Lama ci fa conoscere fin da subito la sua incazzatura, il suo essere cinico nei confronti del mondo, disilluso per tutto quello che ha visto e vissuto, fin dalle prime pagine quando si imbatte in un ragazzino, appena sedicenne, assassino della matrigna, senza alcun pentimento.
Un uomo brusco, di poche parole:
«Così come?» «Brusco e di poche parole, commissario.» La suora si fermò e lo guardò.«Non ci vado d'accordo con le parole.» 
Veneruso era imbarazzato. «Anzi, le parole non mi piacciono, mi stancano, mi fanno male alla lingua, mi consumano la mandibola. Preferisco stare zitto. Ascoltare.»

Ce l'ha con tutti, questo Veneruso: coi suoi sottoposti cui non concede mai una buona parola di fronte.
Coi preti di cui non si può fidare e con le suore, con cui avrà molto a che fare con questa inchiesta.
E coi piemontesi, intesi come la classe dirigente sabauda che aveva “invaso” l'amministrazione delle città del sud:
«Ho portato oggi la mia comunicazione riservata al capo di gabinetto del prefetto, che mi ha guardato come se gli avessi fatto il peggiore dei torti.» 
«Voi a lui?» «Certo.» 
«Ma perché, non si doveva scoprire il colpevole?» 
«A giudicare da come l'ha presa, no.» 
«Ma sono tutti camorristi.»«No. Sono tutti piemontesi.»

Piemontesi come Lombroso e le sue teorie sulle relazioni tra il cranio e la propensione a fare delitti, come il capo di gabinetto e il suo essere untuoso, come il re Savoia che per esprimere vicinanza ai napoletani aveva fatto la sua sfilata in città.
Città con gli scarichi delle fogne che sfociano in mare.

Ma non è solo questo, depresso, irritabile, solitario, nervoso, perennemente col sigaro in bocca: Veneruso è comunque un investigatore capace, che sa trovare la pista giusta in un caso, che sa vedere e collegare fatti per trovare un perché e un colpevole per ogni delitto.
E, a modo suo, è anche una persona con un'umanità profonda: non è solo dei delitti delle sirene che si deve occupare, anche di un traffico di bambini, venduti dalle famiglie povere ai signori ricchi che bambini non ne possono avere e che non intendono perdere tempo con troppa burocrazia.
Famiglie ricche che poi nemmeno pagano il prezzo delle loro colpe:
Non tutti gli omicidi avevano lo stesso peso, e non tutti i delitti erano delitti: c'erano quelli dei signori e quelli dei pezzenti. I signori uccidevano, ma con rispetto e solitamente senza peccato, per errore, con rammarico, per per necessità, per onestà, senza volontà, per onore, per difesa, per disperazione, senza conseguenze, e da signori. E per questo non dovevano, e non potevano, essere puniti. A meno che non si ammazzassero tra di loro. I pezzenti invece uccidevano in modo truce, volgare, selvaggio. Su di loro, al contrario, la giustizia si accaniva con inesorabile ferocia, senza dare al malcapitato alcuna possibilità di redenzione: niente pietà, niente speranza, niente salvezza”.

Era questa (era? Ma non è così anche oggi forse) la giustizia con cui il commissario aveva a che fare “ma ciò nonostante non poteva far altro che il suo lavoro”.

I delitti delle sirene.
Nonostante ai suoi superiori forse i delitti delle ragazzine interessino poco, di fronte alle centinaia di morti per il colera, Veneruso sente quelle morti quasi come un fatto personale.
E inizia a farsi delle domande: come è possibile che tutte quelle adolescenti trovate morti, non siano state riconosciute da nessuno? Nessuno ne ha denunciato la scomparsa ..
Da dove venivano, dove sono state uccise, perché finiscono sulla spiaggia .. e quella medaglietta trovata stretta nella mano di una vittima .. una rosa .. cosa significa?
Un'intuizione porta Veneruso e i suoi uomini verso una possibile spiegazione: se nessuno ne ha denunciato la scomparsa, è perché forse non avevano una famiglia.
Perché vivevano in un orfanotrofio: proprio vicino alla spiaggia si trova il Convento di Santa Maria Vergine di Porta Capuana, al cui interno si trova l'orfanotrofio gestito dalle suore Ave gratia plena.

Ma fare un'indagine dentro un convento non è facile: nessuno sa niente e nessuno a visto niente. Le suore, anche quelle che gestiscono le ragazze, come suor Elvira, sono collaborative, altre addirittura si dimostrano ostili nei confronti della polizia, come suor Giuseppina.
Intanto le indagini si erano arenate. Ma quali indagini? Continuava a girare a vuoto senza un barlume di idea, a parte due convinzioni: la prima era che l'assassino delle ragazzine doveva per forza nascondersi all'interno del convento; la seconda era che le suore avevano molti segreti, ognuna per conto proprio, nessuna esclusa.Nient'altro.«Preti» sussurrò entrando nella piccola chiesa.”

La pista è giusta e porta dritta al convento: grazie alla sua ostinazione, qui dentro Veneruso scoprirà una storia di passioni, di segreti, di relazioni pericolose. Usando la sua tecnica, l'unica che conosce:
.. non era un investigatore raffinato: i casi li risolveva sempre sul posto, parlando con la gente, ascoltando, osservando, stuzzicando, studiandone i movimenti, interpretando gli sguardi, le esitazioni, i turbamenti, la rabbia e smascherando le bugie”. Per Veneruso non c'era altro modo: erano sempre i colpevoli, alla fine, a rivelarsi e ad arrendersi. Perché anche i suoi criminali non erano mai assassini raffinati, ma disgraziati inciampati nel delitto ..”

Il booktrailer:

Buona lettura!
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