17 settembre 2016

Una fetta di prosciutto (un etto di jambon) – storie di lavoro del secolo scorso

Nel mio paese viveva una signora anziana che aveva visto, da ragazzina, gli anni della prima guerra mondiale, l'arrivo del fascismo..
La signora Emilia, questo il suo nome, era brava a lavorare il “tombolo” o Pizzo Cantù e lo insegnava a mia sorella quando la andava a trovare nei pomeriggi, dopo la scuola.
In questi pomeriggi raccontava storie della sua giovinezza: quando si andava a fare i bagni nel Lambro, dove i ragazzini come lei pescavano piccoli pesci e rane.
Carlo, il ragazzo di cui si era innamorata e che andò in guerra, la Grande Guerra, dove fu ferito ad un occhio e venne poi catturato dagli austriaci.
Quel ragazzo, tornato a casa, se lo sposò, nonostante l'opposizione della famiglia. L'amore.
Il signor Carlo, ancora a distanza di anni ricordava ancora il trattamento umiliante subito durante la prigionia da parte degli austriaci che in particolare si accanivano contro gli italiani. Bestie da lavoro, impiegati in compiti pericolosi come lo sminamento dei terreni.
Viene fuori un quadro di una Brianza di inizio '900 che era un territorio povero, pur essendo presenti l'industria della seta con le filande. In queste lavoravano anche bambini come la signora Emilia, che entrò in filanda a dieci anni.

Un giorno, mentre stava lavorando, arrivò un controllo e la sua capo reparto la nascose in uno sgabuzzino. Perché la legge, che pure all'epoca c'erano leggi di tutela sul lavoro, proibiva il lavoro minorile.
Rimane chiusa in quella stanza buia per ore.

Quando la caporeparto venne a tirarla fuori la vide con le lacrime, spaventata, piagnucolante. In un gesto di umanità allora le diede dei soldi e le disse, “vai a comprarmi un etto di prosciutto cotto”.

La signora Teresa non sapeva cosa fosse il prosciutto cotto. Lo chiese alla madre.
Eh, tu ancora non l'hai mangiato il prosciutto cotto, il jambon”.
Jambon, così si chiamava in dialetto brianzolo il prosciutto, in una parola dal suono francesizzante.
Scoperto il mistero, andò dal Prestinaio a comprare il prosciutto e lo portò dalla responsabile.
Che, per premio, le diede una fetta di prosciutto.
Emilia non l'ha mangiò nemmeno quella fetta “preziosa” di prosciutto, ma la portò alla sua mamma.

È una storia vera che mi ha colpito molto, quando me l'hanno raccontata. Così funzionava il mondo del lavoro ad inizio secolo scorso.
E mi è ritornata in mente sentendo i due ultimi episodi di morte sul lavoro (o per il lavoro): l'operaio egiziano investito da un tir mentre protestava fuori dall'azienda presso cui prestava servizio, dentro una cooperativa.

E l'operaio morto all'Ilva. Per un nastro rotto che forse non doveva essere rimesso in moto.

Tutto storie dove la dignità della persona è stata mortificata.

Nessun commento: