15 ottobre 2016

Da Gelli a Renzi - l'anticipazione del libro di Aldo Giannuli

Arriva in libreria “Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi)”, dello storico Aldo Giannuli, edito da Ponte alle Grazie. Sul Fatto Quotidiano del 14 ottobre ne è stato pubblicato uno stralcio:
La loggia P2 ebbe carattere elitario, orientato a un controllo indiretto e occulto del potere. Aveva il suo “nucleo traente”nel “partito toscano”alleato al partito romano, con l’obiettivo di dar vita a un “terzo polo”bancario che consentisse l’accesso al “salo tto buono della finanza”. La P2 realizzò una innovazione di metodo basata sulla “politica di relazione”. Per più versi differente è il renzismo, ma con punti di contatto.ESAMINANDO la riforma costituzionale proposta da Renzi, sono non pochi i punti di identità con quanto proposto dal Piano di Rinascita Democratica (prosecuzione nella linea del sistema elettorale maggioritario, liquidazione del Senato, abolizione delle Provincie, abolizione del Cnel, condizionamento della Corte costituzionale ecc.), il che è solo un indice di convergenza. Altri elementi potremmo ricavarli dalla prassi quotidiana di questo governo, ad esempio l’occupazione della Rai in vista del referendum; la normativa in materia di banche popolari e di credito cooperativo; quella sulla scuola; la marcata propensione a limitare il diritto di sciopero, per cui anche i sorveglianti dei monumenti nazionali o dei musei svolgerebbero un servizio essenziale e quindi potrebbero essere assoggettati alle limitazioni di legge; il modo in cui si è risolto il problema della responsabilità civile dei magistrati, e altro ancora. Tutti punti che fanno rima con i programmi gelliani. Ma quello che più conta è la confluenza sulla questione centrale: la concezione della Costituzione e la forma di governo. Nella storia ci sono stati due tipi di Costituzione: quelle ottriate (“donate”dal sovrano) e quelle “pattizie”,o“di garanzia”(risultanti da un ampio accordo fra parti politiche), alle quali si è aggiunto un terzo tipo, quelle di “partito”o“prevaricanti”(un singolo partito, talvolta con piccole formazioni di alleati al seguito, impone un suo testo agli altri). La Costituzione italiana del 1948 è una costituzione pattizia e a dirlo sono i numeri: fu approvata con 458 voti su 556 componenti (82,37%) in un’Assemblea eletta con metodo rigorosamente proporzionale, senza premi di maggioranza o clausole di sbarramento. La riforma costituzionale di Renzi è stata votata alla Camera con 361 voti favorevoli su 630 (57,3 per cento), in un parlamento eletto con legge maggioritaria (incostituzionale), e al Senato con 180 voti (55,21 per cento) su 326 componenti eletti con metodo maggioritario. I partiti favorevoli alla riforma rappresentavano il 55,36 percento del voto popolare; ma Forza Italia si è poi dissociata schierandosi per il “No”nel referendum. Non mi pare cisiano dubbi sul fatto che sia una “Costituzione di partito”, nella quale un’occasionale maggioranza (di assai dubbia legittimità costituzionale) ha sopraffatto le altre parti politiche imponendo la sua Costituzione.Da questo punto di vista, la concezione del testo costituzionale è molto prossima a quella di Gelli, che proponeva un comitato di saggi dotati di pieni poteri. Gianfranco Miglio definì la Costituzione “il patto che il vincitore offre ai vinti”. Questa era ieri la concezione di Gelli ed è oggi quella di Renzi: una Costituzione di partito per un regime di partito.E VENIAMO al secondo punto di contatto con l’ideologia piduista: la forma di governo. Tanto Gelli quanto Renzi sono sostenitori della centralità del governo rispetto al Parlamento e del primato della governabilità sulla rappresentanza. Questa impostazione leaderistica porta con sé un corollario: l’ostilità per qualsiasi tipo di corpo intermedio (partiti, sindacati, associazioni...), rimpiazzato dal rapporto diretto del leader con la base. Gelli non nascondeva la sua ostilità verso i sindacati e concepiva i partiti come comitati elettorali al servizio del leader-presidente. L’avversione al Pci non era determinata solo dalle posizioni in politica estera o dal suo (sempre più formale) anticapitalismo, ma anche dal suo forte radicamento territoriale. Molti lamentano l’alleanza di Renzi con Denis Verdini, che vedono come un segno di pericoloso affiancamento con una certa destra. Ma quel che conta è che il segretario de lPd dica le stesse cose che diceva Gelli quarant’anni fa.

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