11 dicembre 2016

Stefano Cucchi e Giulio Regeni – due storie simili (da Il Corpo del reato di Carlo Bonini)

Giulio Regeni - foto presa dal sito di Repubblica
Martedì 29 marzo 2016. Pomeriggio Roma. Corso Rinascimento Senato della repubblica. Sala Caduti di Nassiryia

In marzo, l’autopsia di Vittorio Fineschi sul corpo di Giulio Regeni aveva cancellato ogni dubbio. Era stato torturato per giorni dagli uomini del regime di al Sisi. Il suo corpo si era rivelato una lavagna dell’orrore, su cui i suoi carnefici avevano impresso persino una lettera che voleva essere un marchio. E in quella parola – tortura – era ora il cortocircuito tra i destini di due giovani uomini con storie, vite, aspirazioni, pure opposte. Un ricercatore di Cambridge cittadino del mondo. Un tossico di Morena. Due giovani uomini oltraggiati in luoghi che erano agli antipodi del rispetto dei diritti umani. Il regime militare di al Sisi. La Repubblica italiana nata dalla Resistenza. Eppure entrambi i corpi diventati testimoni incoercibili di un abuso di Stato.[Il Corpo del reato di Carlo Bonini]

Stefano Cucchi e Giulio Regeni: ad unire le sue storie non è solo il caso, che ha voluto che ad eseguire una perizia sui due corpi sia stato il dottor Fineschi.
Sono due storie che, seppur partendo dagli estremi opposti, l'Egitto di al Sisi e la nostra Repubblica, raccontano della mancanza di rispetto dei diritti umani.
Due storie di ragazzi completamente opposti: Stefano coi suoi problemi di tossicodipendenza da cui ne era uscito in un primo momento. Per poi ricaderci, tradendo anche la fiducia dei genitori e della sorella.
Giulio, cittadino del mondo, curioso, finito in Egitto per una ricerca della sua università.
Raccontano le storie di due famiglie che si sono battute per avere giustizia, che non si sono rassegnate all'evidenza, di fronte al potere. Davide contro Golia: dove Golia era in un caso l'Arma, il corpo dei medici. Nell'altro caso la dittatura del generale al Sisi.
Sette anni prima, una donna aveva chiesto allo Stato di rispettare se stesso e la sua ragion d’essere individuando e punendo i suoi servitori infedeli. Ora, una donna chiedeva allo Stato di abdicare alla tentazione cinica di mettere la ricerca della verità sulla tortura e la morte di suo figlio sulla bilancia della diplomazia, degli interessi commerciali o strategici. Di una ragione di Stato che avrebbe solo finito per negarne l'esistenza. In quella sala, c'erano, ancora una volta, Davide e Golia.

Il marzo scorso, i genitori di Giulio Regeni hanno tenuto una conferenza stampa nella sala caduti di Nassiyia, i genitori di Giulio Regeni, assieme al portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, all'avvocato Alessandra Ballerini e al senatore Luigi Manconi.
Diversamente da Ilaria, Paola e Claudio Regeni hanno scelto di non mostrare alcuna foto del figlio, come è stato restituito loro. Ma lo stesso hanno voluto ricordare a tutti sia dei depistaggi del regime, che delle torture che quel Corpo ha subito.
Il volto di Giulio era piccolo. Piccolo piccolo. Io e Claudio, quando lo abbiamo visto nell'obitorio a Roma, quando ho deciso che mi sarei sentita una vigliacca a non volerlo guardare dopo tutto quello che aveva subito, lo abbiamo baciato e accarezzato.
Non vi dico cosa non hanno fatto a quel viso. Io, su quel viso, ho visto il Male, tutto il Male del mondo. E di quel viso ho riconosciuto una sola cosa. La punta del naso. Per il resto, credetemi, non era più lui. Noi non lo avremo più, Giulio. Il Giulio giovane uomo curioso del mondo, che stava approfondendo gli aspetti economici, sindacali – anche se oggi sembra che sia diventata una brutta parola da dire – dell'Egitto. Ma Giulio non è il solo a non esserci più. Ha condiviso il destino di tanti giovani egiziani. Per questo non mi stancherò mai di chiedere la verità. Ora, il 5 aprile arriverà a Roma la delegazione degli investigatori italiani. Ma mi chiedo: cosa porteranno? Mi aspetto, se non porteranno nulla, una risposta forte del governo italiano.

Perché in Egitto la gente scompare, finisce nel nulla, rapita e torturata dai servizi del regime: quello di Giulio non è stato un caso isolato:
Ebbene, nel 2015 ci sono stati 464 casi di sparizione forzata in carceri segrete e basi militari. Ci sono stati 1676 casi di tortura, 500 dei quali terminati con la morte della persona torturata.

Questi sono i numeri portati da Amnesty (citando come fonte un'organizzazione non governativa affidabile, il centro El Nadeem) tramite Riccardo Noury. Che ha concluso il suo intervento tirando in ballo nuovamente la questione dei diritti umani:
È dunque reale, alla luce delle circostanze in cui Giulio è scomparso, in cui è stato ritrovato, che il suo sia l’ennesimo caso di violazione dei diritti umani. Ecco perché continuiamo e continueremo a chiedere verità per Giulio.

E il governo italiano cosa ha fatto in questi mesi? Molto poco in verità. Qualche dichiarazione di facciata da parte del presidente del Consiglio e da parte del ministro degli Esteri (che oggi, dopo la crisi di governo potrebbe assumere l'incarico di guidare un nuovo esecutivo).
C'è la “ragione di Stato”, ci sono i rapporti commerciali, c'è il bacino petrolifero scoperto dall'Eni nelle acque di fronte l'Egitto.
Ma c'è anche altro, che riguarda ancora una volta le nostre istituzioni, la nostra democrazia, le nostre leggi. In cui manca ancora il reato di tortura: 
C’era qualcosa di indecente nella constatazione che il Paese che ora legittimamente chiedeva a un regime di consegnargli i suoi carnefici, continuasse a essere in ostaggio del ricatto morale ed elettorale di settori delle forze di polizia e della propaganda sgangherata di chi riteneva che la tortura fosse o dovesse essere considerata tale, chiamata e punita con il suo nome proprio, solo se consumata in qualche lurida camera della morte in Medio Oriente o in Asia. E non, come pure era accaduto, in una caserma della polizia stradale a Genova (a Bolzaneto, nei giorni del G8 a Genova del luglio del 2001), sulla panchina di una piazza di Ferrara (Federico Aldrovandi), o in quella stazione dei carabinieri dove Stefano Cucchi aveva cominciato a morire.


Tutti i virgolettati sono presi dal libro Il Corpo del reato, di Carlo Bonini – Feltrinelli (qui potete sfogliare il primo capitolo)

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