06 luglio 2017

Sipario per il commissario - un'anticipazione del libro di Maurizio De Giovanni

Il fatto quotidiano di oggi pubblica una anticipazione del libro di Maurizio De Giovanni "Rondini d'Inverno - Sipario per il commissario Ricciardi" (Einaudi)


Commissario Ricciardi, c’è un omicidio allo Splendor 
“Rondini d’inverno” nella Napoli anni Trenta 
Pubblichiamo il “luogo del delitto” dell’ultimo romanzo di Maurizio De Giovanni: “Rondini d’inverno, sipario per il commissario Ricciardi” in libreria per Einaudi. 
Lo Splendor è un teatro che ha classe e nutre ambizioni e, se qualcuno esagera sotto l’effetto del vino o del liquore a prezzi modici, viene accompagnato con gentilezza alla porta dal cordiale capocameriere in mezzo tight e lasciato in strada, ubriaco, abbandonato al proprio destino, a ondeggiare e raffreddare gli spiriti bollenti al vento. (…) Le attrazioni si susseguono, stanche. La rivista non è affatto male, altrimenti lo Splendor non l’avrebbe ospitata (…). La sala è piena, ma tre spettacoli a sera e la consapevolezza che l’attesa è tutta per le stelle non giocano a favore della tensione artistica. Qualche sporadico applauso accompagna la conclusione di una scenetta comica con due attori truccati da popolani.
È a questo punto che un’attenzione nuova si diffonde per la platea, come un improvviso soffio di brezza marina. I giornali vengono riposti, l’ultimo sorso viene ingollato in fretta, e quelli che si erano allontanati per salutare qualcuno tornano svelti alle proprie sedie. Silenzio. Un uomo avanza al centro del palco, e informa il gentile pubblico che lo spettacolo è giunto al suo apice: la canzone sceneggiata.
Un numero appassionato e ricco di sentimento, che ha ispirato il titolo della rivista, Ah, l’amour!, e che verrà interpretato come sempre, magistralmente, da Michelangelo Gelmi, cantante e attore famosissimo di teatro e perfino di cinematografo, e dalla bellissima Fedora Marra, sua compagna nell’arte e nella vita. Eseguiranno la canzone i maestri Elia Meloni, alla chitarra, e al mandolino il giovane Aurelio Pittella, astro nascente del firmamento musicale. Nel ruolo dell’amico traditore il promettente Pio Romano. Al contrario di quanto accade fuori dalla scena, dove Gelmi e Marra conducono un’esistenza in assoluta fedeltà (brusio in platea, qualche risata soffocata dal rude sguardo del presentatore), la canzone che ascolterà il gentile pubblico è Rundinella, di Galdieri e Spagnolo, scritta nell’anno 1918, che racconta appunto di un tradimento. A cantare sarà Michelangelo Gelmi, mentre Fedora Marra e Pio Romano interpreteranno la coppia fedifraga. (…)
 
Dopo un attimo di silenzio, la voce del mandolino viene sepolta da un lungo applauso punteggiato di urla d’ammirazione. Fedora, Fedora. Come un sospiro appassionato, come una richiesta di aiuto. Come la sottomissione di sudditi fedeli. (…) È per lei che la gente è là. Per lei, per la sua bellezza, per la conclamata bravura; e per quello che si dice del rapporto col marito, l’uomo che l’ha scoperta, il suo pigmalione. L’uomo che, a quanto si mormora, lei tradirebbe con un misterioso amante del quale nulla si sa. (…)
Fa il suo ingresso Michelangelo Gelmi. Ha superato i cinquanta; la chioma rada, tinta di un nero profondo, un dito di cerone sul viso per nascondere i capillari violacei del bevitore abituale. (…) Michelangelo comincia a cantare. (…) Gelmi narra di amici che domandano con insistenza dove sia la sua donna, ai quali non ha il coraggio di dire che è stato lasciato. Che tu, cresciuta sul mio cuore, canta battendosi il torace col pugno, mi hai detto addio. Torna, la implora. Torna da me. (…) Col canto, l’uomo incatena gli occhi degli spettatori senza voltarsi mai verso i due amanti. Qualcuno, preso dalla foga della finzione, gli indica la coppia per avvisarlo. (…)
 
Gelmi estrae dalla tasca una pistola, che manda un sinistro bagliore metallico sotto la luce forte dei riflettori. Un sospiro percorre la platea come un colpo di vento, una signora emette un urlo soffocato di spavento. L’attore giovane atteggia il volto a un’espressione di esagerato terrore, il braccio destro proteso in avanti, la mano aperta nella vana speranza di fermare i propositi bellicosi del rivale. Quindi indietreggia lasciando sola Fedora ed esibendo la propria vigliaccheria. Gelmi, al colmo dell’ira, avanza barcollando e spara al giovane. Il rumore secco del colpo a salve fa sussultare gli spettatori, mentre mandolino e chitarra, in un crescendo, tessono il loro meraviglioso ricamo. Quello che il presentatore ha definito un giovane, promettente interprete arretra ancora, portandosi le mani al petto, strabuzza gli occhi e con enfasi allunga il braccio verso la donna prima di accasciarsi al suolo tra i fischi di odio del pubblico. Gelmi rivolge l’arma verso la moglie. Dalla canna della pistola esce un sottile filo di fumo. La mano gli trema leggermente, tiene un piede piú avanti dell’altro, il viso truccato non maschera il rossore della violenta passione. Forse nell’estremo tentativo di calmarlo, la donna gli lancia un imprevedibile bacio con la punta delle dita. Un addio. O una tardiva richiesta di perdono. Gelmi fa fuoco. L’attrice viene proiettata all’indietro, scomposta, i piedi sollevati da terra, le braccia larghe. La sua interpretazione della morte è ben diversa da quella del collega, assai piú realistica e inquietante: anche perché sul corpetto bianco del costume si allarga un’ampia macchia scura. (…) Fedora Marra (…) ha un’espressione sorpresa sul volto bellissimo; un fiotto di sangue scuro le esce dalla bocca, colandole su mento e collo. Non può godersi l’ultimo, scrosciante applauso che le viene tributato dalla platea in visibilio. Trascorre un attimo, poi una donna, seduta al tavolino piú vicino al palcoscenico, lancia un urlo di orrore. (…)
Mentre si avviavano verso il teatro Splendor il brigadiere Raffaele Maione lanciò un’occhiata al profilo del commissario Ricciardi che camminava al suo fianco.

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