19 luglio 2017

Via D'Amelio - l'ultimo giorno di Paolo Borsellino


Se questa storia fosse un romanzo, o un film, questa scena si aprirebbe con un rumore, il rumore di un antifurto, un antifurto da macchina. Un suono acuto che si alza su tutti gli altri rumori che ci sono, le grida della gente, i passi di corsa, il crepitare delle fiamme. Che cosa è successo? Il 19 luglio 1992, poco prima delle 5 del pomeriggio, le auto blindate di Paolo Borsellino e della sua scorta si infilano in via D'Amelio dove vive la madre del magistrato. E' domenica e Paolo Borsellino ha deciso di andarla a trovare. Il primo giorno di vacanza che si è preso dopo settimane di lavoro. Dall'auto scendono due agenti, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, per controllare che tutto sia a posto. Bonifica si chiama, in gergo tecnico. Poi scendono altri due agenti, Agostino Catalano ed Emanuela Loi, assieme a Paolo Borsellino. Un altro agente, Walter Cusina è rimasto indietro, mentre un altro, Antonio Vullo, è nell'auto blindata che ha riportato in fondo alla strada.
Da lì, dall'auto, Vullo osserva il magistrato che si avvicina alla casa della madre assieme agli agenti. Pensa che quella non è una bella situazione. Via D'Amelio è un budello, bisogna entrare in fila indiana e fare marcia indietro per uscire, e ci sono tantissime auto parcheggiate. Ore 16:58. Antonio Vullo sta guardando il procuratore Borsellino che suona il campanello della madre. Poi non vede nient'altro, perché viene sbalzato all'indietro dentro l'auto blindata da una nube d'aria caldissima.
La mattanza - dal silenzio sulla mafia, al silenzio della mafia - Carlo Lucarelli

La strage di via D'Amelio: una 126 imbottita di esplosivo esplode davanti casa della madre del magistrato Paolo Borsellino. Era stata rubata da Gaspare Spatuzza pochi giorni prima e preparato poi per la strage, sistemando perfino la frizione, in un garage dove - è sempre Spatuzza a raccontarlo - erano presente persone estranee alla mafia.
Dei servizi? Di altri corpi segreti dello stato?
Come il pizzono ritrovato a Capaci, con un numero che risale ad una società del Sisde (i servizi interni, oggi Aisi), anche nell'attentato a Borsellino si segnalano strani segnali.
Come depistaggio ad opera del gruppo di super poliziotti agli ordini di Arnaldo La Barbera che fabbrica il falso pentito Scarantino, le cui false accuse passeranno pure tre gradi di giudizio.

Una seconda strage, fatta così, in pieno centro a Palermo, a soli 55 giorni da quella di Capaci, non è solo cosa di mafia.
Non è la mafia classica, che sa come dosare i colpi e che sapeva che, dopo via D'Amelio, sarebbe arrivata la risposta dello stato.
Il decreto Falcone che dormiva in Parlamento (come anche oggi, il codice antimafia per gli appalti) con l'introduzione del 41 bis, lo spostamento dei mafiosi nelle supercarceri di Pianosa e l'Asinara (non l'hotel l'Ucciardone).

E, come conseguenza, nuovi pentiti della mafia, pronti a collaborare con lo Stato.
Se fosse solo mafia perché questa fretta nell'ammazzare Borsellino (che aveva chiesto di essere ascoltato dai colleghi di Caltanisetta, invano)?
Se fosse solo mafia, perché quel depistaggio da parte di uomini dello stato?

A 25 anni da via D'Amelio siamo stanchi di sentir ripetere le solite frasi di circostanza.
Vorremmo sapere tutta la verità sulle stragi e sulla trattativa. O sulle trattative. E su come è nata la seconda Repubblica, su quali ricatti.
Vorremmo che, un giorno, spuntasse fuori l'agenda rossa di Borsellino dove appuntava le cose più importanti. Agenda sparita dal luogo della strage.
Vorremmo che le parole di Falcone e Borsellino fossero finalmente ascoltate: la correntocrazia dentro il CSM, i politici che non vogliono fare pulizia al loro interno e si nascondono dietro un finto garantismo. 

"L'equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l'organizzazione mafiosa, però la magistratura non l'ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire che ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire che quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali, o quello che sia, dovevano già trarre le dovute conseguenze da queste vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Si dice: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto... ma dimmi un poco... tu non ne conosci gente disonesta che non è mai stata condannata perché non ci sono le prove per condannarla? C'è il forte sospetto che dovrebbe, quanto meno, indurre i partiti a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi e fatti inquietanti...". 



Lo Stato che, al sud e anche al nord, non sempre è capace di presentarsi con la sua faccia pulita, credibile.
"... lo Stato non si presenta con la faccia pulita [...] Che cosa si è fatto per dare allo Stato, in queste regioni e comunque dappertutto in Italia, un'immagine credibile? [...] la vera soluzione sta nell'invocare, nel lavorare perché uno Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni."Paolo Borsellino nel discorso tenuto agli studenti di Bassano del Grappa, 26 gennaio 1989.

E così le imprese, le persone preferiscono affidarsi ai servizi di mafia spa, convenienti nel breve periodo, ma che alla lunga portano alla morte dell'impresa, di quel diritto che lo Stato doveva garantire.

Oggi la parola mafia è uscita dall'agenda della politica: troppo impegnati sull'emergenza immigrazione, sull'emergenza sicurezza i nostri politici per ricordarsi come intere regioni siano controllate dalle mafie.
E' quello che ha raccontato in Parlamento il super procuratore antimafia.
La mafia oggi spaventa di meno, perché non spara come ai tempi del golpe dei corleonesi, con la Mattanza.
La mafia offre servizi, offre pacchetti di voti, prestiti alle imprese che non possono o non vogliono rivolgersi agli istituti di credito.
"Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera. Facendo il nostro dovere; rispettando le leggi anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici...; collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia... dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo."Paolo Borsellino alla veglia per Giovanni Falcone, 23 giugno 1992.


Oggi, 19 aprile 2017, 25 esimo anniversario della strage di via D'Amelio, verrà raccontato che lo Stato ha sconfitto Cosa nostra, con gli arresti dei boss stragisti. Tutti dietro le sbarre eccetto la primula rossa Messina Denaro, cui ancora le forze dell'ordine stanno dando la caccia, a lui, ai suoi prestanome e ai suoi tesori.
Ma non possiamo dimenticarci delle troppe ambiguità ancora presenti nella legislazione antimafia, il voto di scambio e il concorso esterno in mafia: ancora oggi considerati un vulnus giudiziario, sempre da quei garantisti di cui sopra.
Quelli che han brindato dopo la sentenza della CEDU, la corte europea dei diritti dell'uomo e la Cassazione hanno annullato gli effetti della condanna a Bruno Contrada.
Quelli che oggi sperano che lo stesso accada a Marcello Dell'Utri, fondatore del partito Forza Italia, maggior partito del centro destra.
Partito fondato da una persona che ha pagato la mafia per anni.

Capite allora quanta ipocrisia ci sia, attorno alle celebrazioni, attorno ai discorsi pieni di retorica che sentiremo?
Parlano di mafia e si riferiscono solo alle coppole storte e alle lupare.
Parlano di mafiosi e intendono quel contadino rozzo di Riina. 

Dimenticandosi, volutamente o meno, come se mafia sia criminalità, più intelligenza, più omerta. Sono parole di Buscetta, il pentito che proprio a Falcone e Borsellino insegnò la mafia, il linguaggio, il pensiero.
Penso che sera un corso di ripasso, oggi.
La mafia si è fatta impresa, presenta suoi candidati, diventa perfino banca.

Falcone, Chinnici, Cassarà, Borsellino (e tutte le altre vittime della mafia), eroi che non avrebbero voluto esserlo, ci hanno insegnato due cose.
La prima è combattere la rassegnazione alla mafia: la mafia è un fatto umano - le parole di Giovanni Falcone - e come tale ha un inizio e una fine. Combattere la mafia e l'assuefazione alla mafia nel senso di applicare quella legge uguale per tutti: sia per il ladro di polli che per il politico "in concorso esterno" con la mafia. Che si chiami Ciancimino, Ignazio Salvo o Michele Greco. Non esistevano più santuari intoccabili, non era più tabù indagare e processare i colletti bianchi.

E un'altra cosa hanno insegnato: che lo Stato, in Sicilia e nel sud del paese sapeva presentarsi anche con facce presentabili, pulite, oneste.
Non c'era solo lo stato di Contrada, di Salvo Lima, di Andreotti.

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