31 agosto 2017

Pulvis et umbra - incipit

Quando un solo cane si mette ad abbaiare a un'ombra, diecimila cani ne fanno una realtà CIORAN 
Domenica 
Le luci della sera erano calate da una mezz’ora e l’aria era fresca e piacevole. Qualche ritardatario con passo affrettato rientrava a casa. 
Lui invece se ne stava lì, fermo, sul marciapiede di via Brean. Non si decideva. Bastava solo attraversare e suonare il citofono, il resto sarebbe venuto da sé. 
Eppure quel piccolo passo non riusciva a farlo. 
Le mani nelle tasche, continuava a stropicciare il foglietto di carta con l’indirizzo: via Brean 12, Studio Emme.
Cosa lo bloccava?
 
Chi gli aveva inchiodato le scarpe sul marciapiede? 
«Ciao amico, vuoi?»Una voce lo fece voltare. Un africano carico di roba incellofanata gli offriva un pacco di calzini di filo di Scozia.  
«Come stai? Dieci euro, amigo ..». 
E allungò la mano libera, Marco come un automa gliela strinse. 
«Allora vuoi? Dieci euro!». 
Marco fece di no con la testa. 
«Mi dai qualche spiccio? Pe' caffè?». 
Marco fece sì con la testa ma rimase con le mani in tasca, immobile, una sentinella con una consegna precisa, un palo della luce in mezzo alla strada. Il nero aspettava e lo guardava, poi sorrise coi suoi denti bianchi e scosse la testa un paio di volte. 
«Amigo, dai spicci?» ripetè. 
Lento Marco tirò fuori il portafogli. Dentro c'erano due banconote da 50 e una da 10. Prese quella da 10 euro e gliel'allungò. 
Il venditore senza fiatare acchiappò quei soldi e in cambio gli mollò i calzini che Marco afferrò senza guardare. 
«Ciao amigo...» e con un passo dinoccolato se ne andò. 
Marco tornò a guardare il civico 12.

[da Pulvis et umbra, di Antonio Manzini]

Esce oggi in tutta Italia il nuovo libro di Rocco Schiavone, pardon, di Antonio Manzini.
Ma per chi lo volesse vedere di persona, trovate Manzini alla libreria Lirus di via Vitruvio, a Milano alle 17.00

La tenuta democratica del paese





L'unica cosa certa è che ieri sera, nella periferia romana, nel quartiere Tiburtina III (tirato su da Mussolini per accogliere emarginati, baraccati, sfrattati e tenerli lontano dal centro), c'è stato uno scontro tra immigrati del centro di accoglienza e altre persone del posto.
Sulle cause, su chi ha iniziato prima, ci sono al momento le due versioni: la prima, secondo cui a seguito di un diverbio tra un ospite della struttura e un ragazzino raggiunto da una pietra; la madre sarebbe stata sequestrata (e questo ha fatto scattare la risposta di altri residenti).
Versione (quella del sequestro) smentita dalla Croce rossa e dalle forze dell'ordine.

Nella rissa tra immigrati e residenti davanti il centro c'è stato pure un accoltellamento.
Forse da qui nascono i timori del ministro Minniti quando parla di "tenuta democrativa": peccato che le situazioni di tensione nascano da problemi (la casa, il lavoro) che esistevano prima dell'arrivo dei migranti (in questi ultimi anni, la famosa "invasione").
Peccato anche che questa tensione sia accentuata anche da come queste situazioni sono raccontate dai giornali: non posso accettare che, della rissa  in via Frantoio, possano esserci versioni così discordanti senza che nessun giornalista voglia vederci chiaro.
Cosa è successo veramente? Quella donna è stata veramente rapita?
E, andando oltre, c'è veramente un racket per le case occupate?

Stiamo parlando di fatti reali o di impressioni, con cui costruiamo questa tensione nei quartieri delle grandi città?
Mi tornano in mente gli scontri a Tor Sapienza, contro un centro per rifugiati che venne accerchiato da persone che non ne potevano più.
Poi scoppiò mafia capitale e si scoprì tutta la ragnatela del business dei migranti.

30 agosto 2017

Il birraio di Preston, di Andrea Camilleri


Ci sono romanzi di Andrea Camilleri cui sono particolarmente affezionato (e che mi piace anche rileggere): “Il birraio di Preston” è uno di questi.
Per la storia che racconta, una sorta di apologo che mostra come la Sicilia sia stata malgovernata sin dagli inizi dell'Unità d'Italia, soffocata da uomini dello Stato che da una parte non si preoccupavano di circondarsi da mafiosi pronti ad offrire loro servizi e dall'altra incapaci di comprendere, di osservare, di scendere da quella sorta di piedistallo su cui erano messi per la posizione di potere.
Per i personaggi di questa storia, ambientata alla fine dell'800 dunque, che sono vivi, che parlano a noi, perché ciascuno di essi è metafora di un pezzo della Sicilia.

Cominciando dagli uomini dello Stato, tutti del nord chiaramente, a ricordarci di come sia avvenuta l'unificazione del regno del Sud, una colonizzazione da parte dei Savoia.
Il prefetto Bortuzzi, toscano, una persona presuntuosa, che pensa di comprendere la provincia che deve amministrare guardando le figure dei libri:
La Sicilia la honosco bene sulle figurine. Meglio che andarci di persona”.

Che si è ostinato a voler inaugurare il nuovo teatro di Vigata con la rappresentazione de “Il birraio di Preston”, opera poco famosa di tale Luigi Ricci, mettendosi contro tutta la popolazione vigatese.
«Chiamatemi Emanuele!» ordinò Sua Eccellenza il prefetto di Montelusa, Bortuzzi cavalier dottor Eugenio, riconsegnando all’usciere una voluminosa carpetta di pratiche già firmate.

L'ostinazione con cui Bortuzzi ha scelto proprio quest'opera, ambientata in Inghilterra e che parla di mastri birrai, troverà spiegazione alla fine del racconto, quando ormai sarà troppo tardi per porre rimedio.
A fianco del prefetto, il mafioso Emanuele Ferraguto: “ meglio noto in provincia e fuori come «don Memè» o più semplicemente «u zu Memè»”.

E poi il Questore Colombo, milanese, in lite col Prefetto per motivi di prestigio e anche con la moglie, per questioni più personali.
«Oh che bella giornada! Che ciel de primavera!» venne fatto di dire ad alta voce, appena tirate le tende della cammara da letto, a Everardo Colombo, questore di Montelusa.

Piemontesi sono i militari, che dovrebbero garantire l'ordine pubblico nella provincia e sull'isola.
Piemontese anche il capitano dei militi a cavallo.

E, dall'altra parte della barricata, il popolo dei vigatesi.
I borghesi del circolo che, come congiurati, decidono di boicottare l'opera, preferendo all'opera di questo autore fiorentino, le musiche di Bellini e Verdi:
«C’è un fantasima che fa tremare tutti i musicanti d’Europa!» proclamò a gran voce il cavaliere Mistretta dando contemporaneamente una forte manata sul tavolino»

C'è Concettina vedova Lo Russo che, nel mentre si sta rappresentando l'opera, attende il suo amante nel letto, per la prima (e purtroppo l'ultima) volta dopo la morte del marito pescatore.

«Avrebbe tentato d’alzare la muschittera?» si domandò la signora Riguccio Concetta vedova Lo Russo, trepidante»
C'è un falegname, don Ciccio Adornato, l'unico a capirne veramente di musica in paese e ad apprezzare le opere di Mozart. Perché quando era nicareddro, fu portato alla rappresentazione de Il flauto magico, e si ritrovo trasportato in cielo dalla musica
.. a mia sicuramente mi principiò una febbre àuta. U cori mi batteva forti, ora sentiva càvudo càvudo ora friddo friddo, la testa mi firriava”.

Altro personaggio degno di nota, l'onorevole Fiannaca, senatore a Roma, ma coltivatore di altri "campi" anche a Vigata, grazie ai picciotti che lo accompagnano. Uomo di relazioni e di famiglia:
«Allora lei vuole parlare col Fiannaca presidente della Società di Mutuo Soccorso Onore e Famiglia?».
«Con lui» fece Adornato che tanto stronzo non era.

Ci sono anche altri congiurati, però a Vigata, oltre ai signori che intendono far fallire l'opera: il mazziniano Nando Traquandi, arrivati clandestino da Roma, che intende portare avanti la sua lotta contro il potere dello Stato in altre maniere. Senza distinguere, senza voler comprendere (un po' come il prefetto d'altronde):
Il picciotto vedeva la luce di una sola verità: che il bianco era bianco e il nìvuro era nìvuro. Scarsi gli anni ancora per capire che quando il bianco sta vicino vicino al nìvuro”.

Con le bombe e col fuoco, ad esempio, anche se queste causeranno vittime.
«Le vampe possono appigliarsi ad altre case, dove c’è gente che dorme». «E che me frega a me de la gente che dorme? Se ce scappa er morto, mejo, la cosa farà più rumore».

In mezzo a questo trambusto, l'uomo della legge, il delegato Puglisi, uno dei pochi siciliani della macchina dello Stato. Che ricorda molto da vicino un altro uomo di legge, nato sempre dalla mente di Camilleri, quale è il commissario Montalbano. Per la sua ostinazione nel voler risolvere un caso, per la sua capacità di saper ragionare con le persone, per la sua umanità e anche per quel pizzo di “burberità” coi sottoposti.

La storia è presto detta: a Vigata si sta per inaugurare il nuovo teatro con un'opera (“Il birraio di Preston”) invisa ai vigatesi ma fortemente voluta dal prefetto.
Per zittire le voci contrarie, costui chiede aiuto al mafioso don Memé e di usare i militi a cavallo, militarizzando il teatro e gli spettatori dell'opera.
In paese altri nemici dell'opera si stanno muovendo: il mazziniano Traquandi, venuto da Roma, per fare rumore senza preoccuparsi delle conseguenze.
Ma per sabotare la riuscita dell'opera ci penserà il destino e anche l'insofferenza dei vigatesi, costretti a seguire un'opera che non capiscono.
Il racconto di Camilleri principia con l'incendio del teatro: come fu che scoppiò l'incendio? Se lo chiede l'ingegnere tedesco Hoffer (un altro “straniero”), svegliato dal figlio e giunto fino al teatro col suo carretto, per spegnere le fiamme.
L’uomo calò le braccia, se le mise darrè la schiena, si taliò la punta delle scarpe. «Non lo sapete?». «No. Nessuno kvi sa». «Ah. Pare che la soprano a un certo punto stonò».

Ma, attenzione, l'ordine dei capitoli non segue l'ordine lineare cronologico del tempo: per un colpo di genio del maestro sono stati mescolati, chi prima e chi dopo, in modo che ciascun lettore possa costruirsi la sua storia.
Non solo, ciascun capitolo ha un incipit che richiama altre opere famose: per esempio
Era una notte che faceva spavento Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatasciante delle altre, che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto,..”

Una ripresa scherzosa dell'incipit dei romanzi di Snoopy.
Anche questo:
Era una gioia appiccià er foco, su questo nun ce stava dubbio gnuno, ma a vedello cresce, annarsene sempre più arto, guadambiare spazio, magnasse cantando tutto quelo che je se parava avanti,..

Una rivisitazione di “Fahrenheit 451” di Roy Bradbury.

Si ride molto, in questo romanzo: ci sono pagine veramente spassose, come quando si racconta della sommossa dei vigatesi dentro il teatro e della famosa pernacchia (o “pireto”) di Mommo Friscia
I pìrita, o pernacchi, di Mommo Friscia erano leggendari in paese e fuori. Avevano la forza, la consistenza e la brutalità di un devastante terremoto,..

Si ride, è vero. Ma non si deve dimenticare che Andrea Camilleri è partito da una storia vera, con cui si è documentato, per questo romanzo:

L'Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Si­cilia (1875-1876), che non è quella di Franchetti e Sonnino, ma quella parlamentare, venne pubblicata dall'editore Cappelli di Bologna nel 1969 e subito si rivelò per me una vera miniera. Da domande, risposte, osservazioni, battute contenute tra le centinaia e centinaia di pagine sono nati il romanzo La stagione della caccia e il saggio La bolla di componenda.
Questo nuovo romanzo allunga il debito. Nell'udienza del 24 dicembre 1875 viene ascoltato il giornalista Giovanni Mulè Bertolo per sapere qual è l'atteggiamento della popolazione di Caltanissetta e provincia nei riguardi della politica governativa. Il giornalista dice, a un certo momento, che le cose sono mutate in meglio dal giorno dell'allontanamento del prefetto, il fiorentino Fortuzzi, che si era reso particolarmente inviso alla popolazione («Fortuzzi voleva studiare la Sicilia attraverso le figurine incise nei libri. Se un libro non aveva figure, non aveva importanza... Stava sempre chiuso fra quattro mura, avvicinato soltanto da tre o quattro individui a cui s'ispirava»).
Il carico da undici Fortuzzi ce lo mise il giorno in cui, do­vendo si inaugurare il nuovo teatro di Caltanissetta, impose che l'opera da rappresentare fosse Il birraio di Preston («Voleva imporre anche la musica a noi barbari di questa città! E con il nostro denaro» esclama sdegnato Giovanni Mulè Bertolo). Ci riuscì, malgrado l'opposizione delle autorità locali e il bello è che non si è mai saputo il perché di questo suo intestardirsi sul Birraio. Naturalmente durante la rappresentazione accaddero numerosi incidenti, un impiegato postale che disapprovava vistosamente venne il giorno appresso trasferito («dovette abbandonare il posto perché non aveva che 700 lire all'anno di stipendio e non poteva allontanarsi da Caltanissetta»), i cantanti furono subissati da fischi.
A un certo momento dovette accadere qualcosa di più se­rio, perché, dice sempre il giornalista, «entrarono in teatro militi a cavallo, truppa con le armi». Ma a questo punto i membri della commissione preferiscono glissare e passano ad altro argomento.
[Dalla nota al libro, che trovate anche qui su Vigata.org ]

Si ride ma si ride amaro, specie quando si arriva al finale, dove l'unico a pagare per i morti, per i tumulti, per i complotti e il povero Puglisi.
Forse è la storia della Sicilia che è tutta una farsa di teatro.

La scheda del libro sul sito di Sellerio e sul sito Vigata.org

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Lontano dagli occhi lontano dal cuore

Il modello Erdogan (ovvero delegare ad altri il lavoro sporco), che tante soddisfazioni ha dato alla Germania, verrà applicato anche in Africa, per far finta di risolvere la questione dei flussi migratori dai paesi africani verso l'Europa.
Già oggi in tanti mostrano soddisfazione nel calo di sbarchi verso le nostre coste: merito del codice per le ONG, merito del ministro Minniti che ha fatto ordine.
Può darsi, ma molto di più ha funzionato il clima di accuse contro queste organizzazioni, ultimo tassello di un processo migratorio che parte da lontano.

Nessuno si aspettava che Minniti o Gentiloni trovasse una soluzione ad un problema così grande che ha dietro diverse questioni: i cambiamenti climatici, i governi africani (non proprio esempi di democrazia), Boko Haram e i jihadisti, il traffico di esseri umani.
Proprio a questo servino gli incontri tra i "grandi" della terra: a Parigi, però, la soluzione è stata quella di stringere accordi con Niger, Libia e Ciad per tenersi i migranti (in cambio di cosa?) e non farli più arrivare sulle coste libiche. 
La soluzione alla turca, dunque.

Non moriranno più attraversando il Mediterraneo.
I sindaci non saranno più in difficoltà.
Si toglierà benzina a quanti soffiano sul fuoco dell'intolleranza, per fare campagna elettorale sugli immigrati.
Non dovremo più temere per la tenuta democratica del paese.

Ma la questione africana rimane: lo scrittore Alessandro Robecchi ne parla oggi sul FQ
Dunque i migranti, i disperati, uomini e donne che attraversano mezzo mondo verso nord nella speranza di mangiare tutti i giorni, o di non essere arrestati dal regime, o di non dover fare il militare a vita come in Eritrea, hanno un buon valore di scambio, diciamo paragonabile a quello del petrolio e delle materie prime. E’ un affare far arrivare il gas in Italia, ed è un affare non far arrivare i migranti.
Naturalmente tutto questo prevede un aggiustamento delle rotte, delle strategie per spostare grandi carichi di persone. Insomma cambia la logistica dello schiavismo, e per ora gli accordi di Parigi sono questo, niente di più: era seccante e costoso vederli morire nel Mediterraneo, ora moriranno nel deserto, potrebbe essere costoso lo stesso, ma almeno non li vediamo e non sentiamo quel disagio di veder crepare la gente sotto casa. Se si espellono dal vocabolario parole come “etica”, “morale” e “umanità”, va tutto benissimo (si attende con ansia la pubblicazione di un vocabolario italiano-Minniti). In ogni caso, sia chiaro, alle vite di quelli che prima morivano o venivano ripescati nel Mare nostrum e che ora rischiano la pelle nel Sahara, non frega niente a nessuno, sono numeri, statistiche, flussi da bloccare. La distinzione tra migranti politici e migranti economici – che a Parigi è stata molto sottolineata – è ormai accettata dalla politica di ogni colore, come se la situazione economica di un paese che non riesce a dar da mangiare ai suoi cittadini, costringendoli a rischiare la vita per scappare da lì, non fosse una questione politica, che scemenza. Insomma, l’Europa mette un tappo – un altro – per difendere i suoi confini da quella clamorosa fake news che si chiama “invasione”, una parola prima rumorosamente inventata dalla destra xenofoba e leghista, poi sdoganata dai media, e ora praticamente diventata verità ufficiale anche se i numeri dicono il contrario. Naturalmente siamo tutti contenti se i cittadini di Sabratha, in Libia, avranno un laboratorio per analisi mediche, ovvio, e se Zwara avrà la sua rete elettrica costruita dall’Europa, benissimo, molto bene. Si segni a verbale, però, che tutto questo sarà (forse, speriamo che le pompe idriche a Kufra vengano fatte con più efficienza delle casette per i terremotati del centro Italia, ecco) costruito sulle spalle di centinaia di migliaia di migranti internati in lager libici, o morti di sete nel deserto, o arrestati prima della partenza. Il piano europeo di Parigi sottolinea anche l’esigenza di “fare opera di pedagogia” (questo l’ha detto Macron), cioè spiegare bene (suggerirei delle slide) a gente che mette in gioco la sua vita, che fa viaggi di anni, che viene picchiata, incarcerata, derubata, violentata e torturata ad ogni tappa, che qui non li vogliamo. Una pedagogia del “sono cazzi vostri”, insomma, salutata come una grande vittoria europea sul fronte dell’”emergenza immigrazione”. Amen.

29 agosto 2017

Una storia di successo (la verità sul blocco sw di Trenord del dicembre 2012, da businessinsider)

Il 25 agosto è arrivata la notizia della vittoria di AltroConsumo nella class action contro Trenord: la società di trasporto metà FS e metà regione Lombardia dovrà risarcire con 300 mila euro i pendolari che hanno aderito all'iniziativa.
Immagine presa dal Corriere

Tutto parte dal blocco del sistema informatico del dicembre 2012: una settimana da incubo, tra soppressioni e ritardi, a seguito del passaggio verso un nuovo SW per la gestione degli orari ferroviari, dei turni sui convogli, la composizione dei treni..

Su Businessinsider ho trovato un bell'articolo che parla dei retroscena (come è stato selezionato questo sw) e di come sono andate a finire le cose in casa Trenord e FS.

Un caso di studio di come si fa impresa in Italia (vedi anche l'inchiesta sulle spese pazze, di cui aveva parlato anche Report).
Alla fine, tra bonus ai viaggiatori e mancati incassi, il “Black Monday”  [9 dicembre 2012] è costato all’azienda pubblica Trenord (cioè a noi contribuenti) 5 milioni di euro al giorno nel periodo tra il 9 e 17 dicembre (i conti li ha fatti Dario Balotta, di Legambiente). A questa cifra, ora si dovranno aggiungere anche i 300 mila euro che i giudici hanno riconosciuto ai pendolari che hanno fatto ricorso. Ma il conto potrebbe lievitare ulteriormente, qualora la Cassazione riconoscesse anche agli oltre 3.000 pendolari che erano stati esclusi dall’azione legale per prescrizione, il diritto di partecipare alla class action. Un altro salasso.Ci si chiederà: ma a fronte di un danno tanto ingente, cagionato da una tale (e certificata) serie di scelte sbagliate, la società che conseguenze ha tratto? E le Ferrovie di Stato?Cosa ha fatto Fs, cioè il ministero del Tesoro, davanti a un potenziale danno erariale? Hanno fatto valere il loro 50% delle azioni e hanno preteso un cambio di rotta e la testa dei manager? La risposta è: nulla. Nessuno ha pagato (tranne noi contribuenti) e i responsabili sono stati tutti promossi.Enrico Bellavita, ciellino di ferro, già braccio destro di Biesuz e protetto dal potente presidente del consiglio regionale lombardo Raffaele Cattaneo, ritenuto da Trenitalia uno dei maggiori artefici del disastro, è stato nominato dal presidente di Ferrovie Nord Milano, Andrea Gibelli, “Responsabile pianificazione e controllo” dell’intero gruppo Fnm. Garbarini, resterà fino al 2014 direttore operativo di Trenord, per diventare poi Responsabile Asset e Immobiliari della società; infine Patechi tornerà in Trenord col ruolo di Direttore Programmazione e Orari.Insomma, il “dream team” se la passa benissimo ed è pronto a tornare in azione…



Post comunismo

Sul Corriere Pigi Battista spiegava come oggi si riconducano tutti i problemi a categorie del passato, anche per una sorta di pigrizia mentale.
Il ritorno del fascismo (o del comunismo)? Una fake news, qualcosa che fa rumore solo sui social.
Il fascismo non è un'ideologia, ma un modo di far politica in cui, ad esempio, non si ascoltano le minoranze, ci si preoccupa del fine e non del come.
Non mi sembra un qualcosa che sia passato di moda, in questa politica dove non si discute più, per arrivare ad un compromesso tra diverse istanze.

E forse un ragionamento analogo vale anche per il comunismo: 

Il fascismo - scrive Michela Murgia - sta bene a destra come a sinistra, si adatta anche ai regimi comunisti.
Quelli dove lo stato centrale decideva:
Dal Fatto Quotidiano del 29-agosto-2017

“Quella del governo è un po’ timida, servono 20 miliardi in tre anni per assumere 900 mila giovani”, ha detto al Meeting di Cl a Rimini.In realtà la prossima manovra ha la stessa sostanza di quelle precedenti: politiche dal lato dell’offerta (cioè favorevoli alle imprese), poco o nulla a sostegno dei salari. Va così dal 2011, ma la cosa si è accentuata con l’arrivo di Matteo Renzi al governo (febbraio 2014). Tre anni con Confindustria a dare la linea e lui a seguirla, demolendo le tutele sul lavoro. Nessun progetto di rilancio per il Paese, ma favori concentrati su singole categorie, industriali in primis. Sgravi e incentivi hanno regalato alle imprese solo nelle ultime due leggi di Bilancio, 2016 e 2017, 40 miliardi. Se si conta anche il 2015 il conto sale a 50. E a fine 2019 si supereranno gli 80 miliardi. Il risultato è una ripresa questa sì timida, la più bassa dell’area euro, Grecia esclusa.
Carlo di Foggia e Marco Maroni sul Fatto Quotidiano

Insomma: secondo Confindustria, lo stato mette i soldi, i privati assumono (perché pagano meno tasse) e vissero tutti felici e contenti.
Una visione da post-comunismo, mi sembra.

28 agosto 2017

Il marchio dell'inquisitore, di Marcello Simoni


Prologo 
Roma, via dell'Arco camilliano 
18 dicembre 1624
Posò la lanterna sul pavimento cosparso di segatura e xilografie sbiadite, osservando le cinque zampe di legno che salivano fino al pianale intarsiato e, sopra di esso, il gioco di travi, corregge e mulinelli che davano forma al torchio. Benché fossero in molti a maledire quel genere di ordigno, la Babele da cui si erano propagate le dottrine di mille Lutero e Simon Mago, lui non l'aveva mai inteso come uno strumento del diavolo.Eppure era da lì che spuntavano le gambe della vittima, quasi in procinto di essere divorate insieme al resto del corpo.La scena di rammentò Giona ingoiato dal mostro marino, così come l'aveva scorto anni addietro sulla miniatura di un salterio veneziano. [..]Fra Girolamo Svampa si portò all'altro capo del torchio.

In questo romanzo Marcello Simoni ci porta in pieno seicento, a Roma, a pochi giorni dall'inizio dell'Anno Santo indetto da papa Urbano VIII, per l'anno domini 1625.
L'Europa e l'Italia si sono già lasciati alle spalle Lutero e lo scontro tra i principi tedeschi e la Chiesa e il Concilio di Trento. Il Rinascimento è finito e ora, anche dopo la scoperta dell'America, a dominare in Italia sono le potenze coloniali, come Spagna e Francia.

Protagonisti di questo romanzo sono due frati domenicani, posti ad investigare su un delitto avvenuto pochi giorni prima di Natale, in una tipografia.
Il primo, Girolamo Svampa, inquisitore del Sant'Uffizio, nominato magister commissarius dal “maestro di Palazzo”, proprio per risolvere il delitto.
Il secondo, padre Francesco Capodiferro, segretario della congregazione dell'indice, la struttura che all'interno della chiesa romana stilava l'indice dei libri proibiti, che ora dovrà collaborare con Svampa.
Il delitto viene affidato all'inquisitore Svampa per le modalità con cui si è consumato: il morto è stato stritolato dal torchio dentro una tipografia, con in bocca delle pagine miniate, dal contenuto “libertino” ed offensivo nei confronti della Chiesa.
Svampa e Capodiferro sono due investigatori quanto mai diversi: il primo è razionale e freddo, osservatore dei fatti che “congela” in una specie di bolla del passato, per osservarli nella loro immobilità.
Un investigatore che, per scoprire le cause che hanno portato ai fatti, usa la tenica del “furetto”: l'animale che va ad inseguire i conigni stanandoli dalle loro tane.
- Il furetto, - ripeté, quasi avesse espresso un'ovvietà. - Gli antichi cacciatori si servivano di quella bestiola per stanare i conigli, spingendoli così a finire dentro una rete. Ebbene, nel nostro caso la tana del coniglio consiste nell'insieme degli eventi collegati al crimine. Colui che intende assumerne piena coscienza deve addentrarsi in essi, come il furetto nel rifugio della preda, al fine di portare alla luce nomi, indizi e moventi.

Il passato di Girolamo Svampa emerge poco a poco: sappiamo che ha sul collo un marchio, impresso col fuoco, un roveto ardente. Sappiamo anche quanto questo passato ancora porti dolore alla sua persona, dolore che viene curato col Laudano.
Il secondo, Capodiferro, possiede una mente prodigiosa capace di tenere a memoria interi libri, anche quelli mandati al fuoco per il loro contenuto.
Una mente elastica e flessibile, usata per consultare i libri probiti e per costruire le sue teorie, i “castelli in aria”.

Il morto, si scoprirà subito, è un altro frate della congregazione dell'indice, frate Rebiba: a colpire Svampa, delle miniature infilate nella sua bocca, è in particolar modo una rappresentazione allegorica. La morte che si fa beffe degli stampatori:
L'inquisitore lo esaminò in preda a un sottile sbigottimento. Si trattava di un'incisione a metà pagina in cui si dava forma ad una strana danza macabra. La morte, madre della peste, della putrefazione e di ogni più orrendo delirio, compariva tre volte nelle sembianze di un cadavere scheletrico, e con quel triplice sogghigno, quasi ad irridere la umane virtù, irrompeva in una bottega di stampatori per insidiare librai e tipografi. Uno dei quali, impegnato a manovrare un torchio.

Il metodo del furetto, ovvero l'andare a seguire tutti le piste che partono dal morto, una ad una, porta Svampa e il suo aiutante, Cagnolo, ad incrociare un gruppo di bravi, forse spagnoli.
Delle litrografie particolari, quelle che hanno inciso i fogli finiti in gola a frate Rebiba, che sono passate attraverso troppe mani.
Un gruppo di studenti della Sapienza, che stampa dei libelli probiti.
Piste che fanno emergere uno scontro in atto, nella chiesa romana: tra il Papa e le sue idee sul potere temporale e gli altri regnanti d'Europa; tra cardinali e cardinali, per il consolidarsi del loro potere.
È una Roma dove si praticano, seppur condannati, antichi rituali risalenti alle antiche civiltà di cui quella romana è rimasta impregnata, come il culto di Iside.
Non siamo nei secoli bui del Medioevo, ma, leggendo il racconto di Simoni e le indagini di Svampa e Capodiferro, anche questo periodo storico sembra contraddistinto da luci e ombre.
E spesso, le seconde prevalgono sulle prime: sono gli anni in cui si finiva ai ceppi, incarcerati in Tor di Nona, per un sospetto di eresia.
Sono gli anni in cui l'invezione delle stampa aveva reso più semplice la produzione di libri: anche dei libri considerati “proibiti”, perché parlavano di magia e astrologia.
Divina, rifletté lo Svampa con una punta di sarcasmo. Erano stati in molti ad aver definito in tal guisa l'arte tipografica, tra cui Leone X e il luterano Peucer. In realtà non esisteva forma di progresso che i conservatori cattolici detestassero di più al mondo. Eccetto il teatro, ovviamente.

Proprio seguendo tipografi e stampatori, i due investigatori riusciranno a trovare l'assassino: per scovarlo dovranno andare ad immergersi nei segreti di Roma, non solo quelli legati allo scontro in atto tra poteri, ma anche fisicamente, nei sotterranei della città eterna, che ancora custodiscono resti di antichi culti.
- Allora? - gli fece eco il segretario. - Alcuni di questi edifici si estendono in superficie, altri sotto i nostri piedi. Invero, sono proprio questi ultimi a custodire la natura più ambigua e pericolosa di Roma. Ricettacoli di culti misteriosi, orgiastici, rappresentano le vestigia di antiche idolatrie incubate in Egitto e in Grecia, e giunte fino ai nostri giorni. 
- Intendete dire che ancora oggi vi si coltivano dei riti pagani?- Non in tutti i sotterranei, e naturalmente non è facile accertarsene. Ma dal momento che anch'io, al pari vostro, mi astengo dal credere nelle coincidenze, scorgo nell'Iside del messaggio di «L» un elemento fondamentale del caso..

Ma ci sono altri segreti, altri nemici (oltre all'assassino), da cui Svampa deve guardarsi: anche lui è una pedina in questo gioco di potere in cui bisogna guardarsi le spalle.
Anche perché il passato alle spalle di Svampa è ancora lì che brucia, che grida vendetta:
Nessuna lealtà, nessun senso del giusto. Si trattava di un gioco di ombre in cui lo Svampa aveva finora creduto di rivestire il ruolo di predatore, quando invece era l'esca. Un'esca usata dal maestro di palazzo per attirare allo scoperto i propri nemici.

De “Il marchio dell'inquisitore” ho apprezzato prima di tutto la ricostruzione dei luoghi in un periodo storico, l'Italia barocca, che conoscevo poco.
Una Roma infida, dove ci si deve guardare le spalle quando si gira nei quartieri di periferia, come il Rione Renula.
Una Roma che ha una superficie in luce e una parte nascosta, sotterranea, non solo metaforicamente.
Una città “malata” e anche una “Chiesa che non prometteva salvezza, né per sé stessa, né per i propri figlioli”.
Una chiesa il cui controllo sulla società, sulla circolazione delle idee era messo in crisi dalla diffusione della libera stampa.
Quale il confine tra eresia e pregiudizio? Tra il desiderio di scoprire nuove cose e la paura nell'uscire dal proprio guscio?
Dubitatio licita, si disse.Quella o la semplice, ancestrale regola del sospetto che guidava la Congregazione del Sant'Uffizio da quattro secoli.L'istinto del predatore accompagnato dall'eretica presunzione che fosse lo Spirito Santo a ispirarlo.E non l'ignoranza. 
Il pregiudizio. 
La paura. 
Abbassò il lume. 
E poiché non c'era altro da contemplare nel buio, tornò in superficie.In un'oscurità ancora più densa.

La scheda del libro sul sito di Einaudi e un estratto dal primo capitolo.
La presentazopme di Marcello Simoni al Mondadori Store



I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

27 agosto 2017

Estate 2017 – l'agosto infuocato

Non potendo spezzare le reni alla Grecia (avendoci già pensato la Troika), ci siamo accontentati di spezzare le reni alle ONG che si occupano del salvataggio in mare dei migranti nel loro viaggio della speranza dalla Libia all'Italia.

L'estate che si sta chiudendo verrà ricordata anche per questo: la polemica contro le Ong, che fanno da taxi del mare, che aiutano l'invasione del suolo italico da parte diquesti clandestini, per colonizzare il nostro paese. Le Ong coi conti da nascondere, finanziate da Soros, che portano avanti un complotto contro l'Italia.

Ora, dopo il codice di comportamento di Minniti e gli accordi con i due governi libici (finché tengono), abbiamo capito che i respingimenti, se fatti in conto terzo, vanno bene, sia alla nostra coscienza di bravi cristiani (lasciate perdere il buon Samaritano), sia all'Europa che aveva condannato i respingimenti fatti dalla nostra marina.
Se li fa la guardia costiera libica invece va bene (un po' come Erdogan per la Germania, sui profughi siriani).

Confesso, ahimè, di non essere riuscito a staccarmi del tutto dai social e di aver anzi seguito tutte le polemiche: dai roghi che hanno bruciato il poco di verde che ancora rimane (come ogni estate), l'invasione dall'Africa, le ONG, lo scontro sulla presidente Boldrini, la strage di Barcellona e le polemiche sui gessetti (e le solite citazioni della Fallaci).
Il ritorno di fiamma verso il fascismo, anzi, come ha spiegato la scrittrice Michela Murgia, verso i metodi fascisti in politica che stanno bene tanto a destra quanto a sinistra.

Dubito che siamo molti quelli che hanno letto il post, abituati come siamo a leggere solo le prime righe degli articoli, a non sforzarci nel ragionare, ad andare oltre i 140 caratteri (di twitter).

Dovevo dirtelo prima che il fascismo non è un’ideologia, ma un metodo che può applicarsi a qualunque ideologia, nessuna esclusa, e cambiarne dall’interno la natura. Mussolini era socialista e forse non te l’ho spiegato mai. Ho dimenticato di dirti che si intestava le istanze dei poveri e dei diseredati. Ho omesso di raccontarti che i suoi editoriali erano zeppi di parole d’ordine della sinistra, parole come “lavoratori” e “proletariato”. Non ti ho insegnato che un socialismo che pretende di realizzarsi con metodo fascista è un fascismo, perché nelle questioni politiche la forma è sempre sostanza e il come determina anche il cosa. Per questo il fascismo agisce anche nei sistemi che si richiamano a valori di sinistra e anzi è lì che fa i danni più grandi, perché non c’è niente di più difficile del riconoscere che l’avversario è seduto a tavola con te e ti chiama compagno.
Dire che il fascismo è un’opinione politica è come dire che la mafia è un’opinione politica; invece, proprio come la mafia, il fascismo non è di destra né di sinistra: il suo obiettivo è la sostituzione stessa dello stato democratico ed è la ragione per cui ogni stato democratico dovrebbe combatterli entrambi - mafia e fascismo - senza alcun cedimento. [..]
Può esserti utile sapere come riconosco io il fascismo quando lo incontro: ogni volta che in nome della meta non si può discutere la direzione, in nome della direzione non si può discutere la forza e in nome della forza non si può discutere la volontà, lì c’è un fascismo in azione. In democrazia il cosa ottieni non vale mai più del come lo hai ottenuto e il perché di una scelta non deve mai farti dimenticare del per chi la stai compiendo. Se i rapporti si invertono qualunque soggetto collettivo diventa un fascismo, persino il partito di sinistra, il gruppo parrocchiale e il circolo della bocciofila.


Eccolo allora il fascismo in quanti dicono prima gli italiani (scatenando così una guerra tra poveri, non contro lo sfruttamento o i trafficanti di esseri umani), in quanti dicono l'importante è che non arrivino qui (e dunque chi se ne frega se rimangono nei lager libici), in quanti oggi applaudono agli idranti e al manganello dopo lo sgombero dei profughi (in parte con lo status di richiedenti asilo) avvenuto a Roma in piazza Indipendenza.
Una storia dove tutti hanno torto a cominciare dallo Stato e dai suoi rappresentanti che in tutti questi anni non hanno saputo garantire una sistemazione degna a queste persone.
Persone che, con l'arte dell'arrangiarsi, hanno occupato un palazzo, si sono allacciati alla corrente, arrivando ad una situazione di illegalità e di pericolo.
Andavano sgomberati, certo. Ma il come fa la differenza tra un Stato democratico e uno che sta prendendo una brutta deriva.

Uno Stato che non tollera i migranti (tutti clandestini, tutti da cacciare) e che invece strizza l'occhio a chi ha costruito le case abusive (che al sud spesso sono seconde case o case da affittare ai turisti).
Il terremoto e i crolli ad Ischia dice molto dell'ipocrisia dei nostri amministratori: sciacalli sono chiamati coloro che lanciano grida dall'allarme nei confronti delle case tirate su senza rispettare le norme, dei piani rialzati, degli abbattimenti non fatti.
Sciacalli ha detto De Luca.
Dobbiamo distinguere tra abusivismo e abusivismo di necessità, è l'espressione (un colpo al cerchio e uno alla botte) usata dal candidato a 5 stelle in Sicilia.
Destra e sinistra non esistono più, solo una specie di politica che punta a prendere voti concedendo favori alle loro clientes.
Politici che scambiano favori con diritti.
Il diritto alla casa.
Il diritto ad un lavoro e ad un salario dignitoso.
Il diritto alle cure.
Il diritto allo studio.

E mentre siamo qui a parlare, le macerie per il terremoto che ha colpito il centro Italia l'anno scorso sono ancora da rimuovere in buona parte.
Prima gli italiani.
Come se due attività, gestione dell'immigrazione e messa in sicurezza del territorio fossero in antitesi.

Ecco, questa estate verrà ricordata come l'estate dei fuochi, in un paese in cui nessuno vuole più ragionare, nessuno vuole più ascoltare l'altro, sono tutti pronti allo scontro.
Nei prossimi giorni mi piacerebbe scrivere qualcosa sul nostro passato, così per far capire a qualcuno che ha ancora voglia di leggere, cosa è stato il nostro passato.

Il passato di quando c'era lui, il Duce che mandò i soldati a morire in Francia per un cinico calcolo politico. Che mandò i soldati in Russia con gli scarponi di cartone. Altro che difendere gli interessi degli italiani.

26 agosto 2017

La ragazza sbagliata di Giampaolo Simi

Ventitré anni fa
La Costa, 9 luglio 1993
DICIOTTENNE SCOMPARSA NEL NULLA, RICERCHE A TAPPETO

Marina di Pietrasanta – Si chiama Irene Calamai ed è originaria di Prato la diciottenne che da due giorni non dà più notizie di sé.
[..]
Dal 9 luglio 1993 la Versilia si installò sulle prime pagine dei giornali e dei tg dell'ora di punta come non succedeva da tempo. Ma certo qui spariscono le ragazze non era il messaggio promozionale che ogni albergatore avrebbe desiderato. E nelle due settimane seguenti il tenore si fece ancora più cupo. Nel buio che avvolse il destino di Irene presero a muoversi sagome sfuggenti di uomini visti di spalle, automobili a fari spenti e sconosciuti sospetti dentro cabine telefoniche. Gli inviati delle tv lanciavano i servizi dalle terrazze panoramiche di qualche albergo e poi venivano da me, giovane cronista indigeno, a cercare di sfilarmi il nome di una talpa in Procura, il numero di un maresciallo sensibile a qualche extra …

Dario Corbo è stato, fino ad un recente passato, un giornalista.
Prima sulla carta stampata, come cronista di nera su La Costa, quotidiano locale della Versilia, poi a Roma, nella capitale.
Prima in un quotidiano, poi nel settimanale di “indagini e misteri” del gruppo editoriale, “Chi è stato?”.
Tanta cronaca nera, tanto sangue, andando ad inseguire i desideri della gente:
Nessuno vuole essere informato, nessuno. Vogliamo essere rassicurati, vogliamo leggere solo quello che conferma le nostre convinzioni, perché non abbiamo alcuna voglia di verificarle.

La scomparsa di Irene Calamai è stato il suo primo caso di cronaca, 23 anni fa.
Fu il caso che portò la Versilia agli onori della cronaca e per lui un biglietto a Roma, lasciandosi alle spalle una fidanzata e tanti ricordi di estati passate.
Come l'estate del 1993.
L'estate della scomparsa di Irene, una brava ragazza, una secchiona a scuola, che non dava problemi ai genitori che, per i suoi diciotto anni le avevano regalato uno scooter.
Scomparsa lei e pure il suo scooter, una notte in cui fu vista per l'ultima volta alla Scuda, la villa castello dell'artista inglese Thomas Beckford che qui lavorava e viveva assieme alla figlia ventenne, Nora.
Proprio su quest'ultima si concentrarono i sospetti degli inquirenti, corroborati anche dagli articoli e dalle interviste di Corbo ad un testimone, un coltivatore che lavorava presso la villa dell'artista.
Testimone che aveva parlato di una lite a causa del fidanzato di Irene, su cui anche Nora aveva messo gli occhi.
Questa era stata la tesi dell'accusa al processo contro Nora Beckford, nata in Inghilterra ma cresciuta in Italia.

23 anni dopo, Dario Corbo è costretto a ritornare sul caso Calamai.
Dopo aver perso il lavoro e bruciato parte dei risparmi nel tentativo di far ripartire il settimanale di cronaca con altri finanziatori.
Dopo aver bruciato la sua vita e quella della sua famiglia. Un moglie che lo ha lasciato e un figlio, promessa del calcio giovanile della Roma.

Un ritorno a quella serie di articoli e a quella estate del 1993:
.. l'anno in cui Internet e Mani pulite facevano presagire l'alba di una nuova era. Pensavamo che presto l'Europa sarebbe stata unita e forte, non a caso mezzo mondo ballava la disco music prodotta in Italia, in Germania o in Svezia. La realtà era diversa. Noi ballavamo sulla spiaggia, e intanto sotto i nostri piedi si riassestavano faglie profonde, facendo tremare l'Italia da Roma a Firenze a Milano.Oggi mi è chiaro: sotto la minaccia che tutto crollasse, niente cambiò nel senso che avevamo sperato.

In una settimana, da lunedì a domenica, la vita di Dario Corbo cambia per sempre, con la proposta di scrivere un libro sul caso Calamai lo riporta in Versilia.
Dietro non c'è solo una questione di soldi, con cui riparare i danni della sua vita, precipitata troppo in fretta senza che lui se ne sia accorto.
C'è anche la voglia di rimettersi in gioco, la curiosità del giornalista.
Certo, dietro c'è anche l'interesse che il caso ha suscitato e tutte le polemiche che arriveranno, alla notizia che proprio alla Scuda, Nora Beckford, scontati i 15 anni di pena per l'omicidio di Irene, sta allestendo una mostra delle opere del padre.

Anche grazie all'aiuto del magistrato che aveva seguito Nora in carcere, Lavinia Monforti (che gli permette di visionare le carte dell'inchiesta), Dario si convince che la storia del delitto Calamai deve ancora essere scritta.
E anche che a riscrivere la storia di quell'estate del 1993 non può che essere lui.
Dovessi riassumere in poche righe la Versilia, direi che il mare è la coperta e la spiaggia il risvolto morbido del lenzuolo. E se le Alpi Apuane sono la testata del letto, le colline coperte di ulivi e castagni sembrano cuscini per appoggiare la testa.

L'inchiesta prende corpo, seguendo altre piste diverse da quella di Nora: che dal piccolo paese della Versilia, dalle sue spiagge, dai suoi alberghi, si allarga a quello che stava succedendo in Italia in quei mesi della primavera estate del 1993.

Avvenimenti e fatti di cui Dario non si era reso conto: la morte dei magistrati siciliani Falcone Borsellino con le loro scorte.
La guerra della mafia allo Stato, dopo la sentenza del maxi processo, il ricatto alle istituzioni per piegare lo stato verso nuovi accordi.
La bomba lasciata nei giardini di Boboli a Firenze, rivendicata dalla mafia ma, per colpa del dialetto siciliano della persona al telefono, non compresa fin da subito.
La bomba messa a Firenze che fece crollare la torre dei Pulci, vicino agli Uffizi, che uccise tra gli altri anche una bambina di pochi mesi.

E, infine, le bombe di Milano e di Roma.
Rimozione. Io cosa ricordo di quei giorni del 1993? Ricordo di non vedere l'ora che fosse mattina per rileggere il mio articolo sul giornale come se non lo avessi scritto io. Ricordo arrivare sempre per primo alle conferenze stampa. Ricordo le bombe della mafia a Roma e a Milano. Ricordo un'estate interrotta. Ricordo non cenare mai a casa. Ricordo l'ultimo giro di telefonate questura-carabinieri-ospedale che toccava sempre al praticante nerista, cioè a me. Ricordo s'è sparato Gardini.
Ricordo pomeriggi senza fine e niente mare. Ricordo un avviso di garanzia a Prodi, una notizia che fece il giro della redazioni per qualche giorno, ma non venne mai data perché era una bufala, cioè una di quelle cose che oggi verrebbero sparate direttamente su internet. Ricordo che il giorno dopo la scomparsa di Irene andai per la prima volta ad una festa con il teledrin. Lo ostentavo alla cintura con orgoglio, devo dire...

Dietro la morte di Irene c'è un segreto ben più grande di una storia di gelosia tra ragazze, come era stata raccontata 23 anni prima.
Un segreto che fa paura e che tocca molto da vicino i personaggi di questa storia.
Il ricatto della mafia allo stato.
Un piano di eversione per cambiare tutto, nelle istituzioni, nel paese, senza cambiare niente.
La verità, dunque: la voglia di andare a cercare la verità, unico faro per il giornalista che è rimasto in Dario Corbo.
O forse no. Forse ci sono storie e segreti che è meglio lasciar stare, a meno di non voler rischiare tutto: c'è un passaggio nel libro, che merita di essere citato
Dove sta scritto che la verità è la salvezza? La verità è il peggior fantasma che può incrociare i tuoi passi”.

Ecco, mi ha ricordato un altra frase, di un altro romanzo importante della nostra storia: Il contesto di Leonardo Sciascia, che parlava dell'Italia dei tentativi di colpi di stato, del potere nascosto che il povero ispettore Rogas non riesce a scalfire:

- Ma la ragion di Partito.. Voi... La menzogna, la verità: insomma... - Cusan quasi balbettava.
- Siamo realisti signor Cusan, non potevamo correre il rischio che scoppiasse una rivoluzione – E aggiunse - Non in questo momento.
 
- Capisco – disse Cusan. - Non in questo momento.

Finale che Francesco Rosi, nel film che ne ha tratto (“Cadaveri eccellenti”), ha modificato per renderlo più incisivo e lapidario:
“La verità non è sempre rivoluzionaria”
Il romanzo, che si muove sul ritmo di un noir, ha dentro dei dettagli storici veri che danno profondità alla storia: De Andrè e Ivano Fossati sono veramente stati in quel ristorante sulle alpi Apuane per preparare il loro album “Anime salve”.
Quentin Tarantino è stato veramente a Viareggio dove si teneva un festival del noir.
E i fratelli Graviano hanno passato veramente l'estate del 1993 in Versilia, a prepare le stragi nel continente.

La scheda del libro sul sito di Sellerio editore
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

25 agosto 2017

Divorziare con stile, Diego De Silva

Un personaggio così o lo si ama o lo si odia: sto parlando dell'avvocato napoletano Vincenzo Malinconico: un uomo sulla mezza età, belloccio, con una buona cultura e un genuino senso dell'umorismo, che però tira fuori sempre al momento sbagliato.
vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse perché tutte le volte che provo ad essere sincero finisco per fare la parte dello stronzo, e quando gli altri sono sinceri con me devo anche ringraziarli”.

Due relazioni serie alle spalle, la prima con Nives, da cui si è separato, la seconda con una collega, Alessandra. E una relazione attiva con una donna sposata che, però, ha il pregio di non fare domande.
Sono un uomo fortunato. Sul serio. Di tutte le donne con cui mi sia capitato di avere una relazione, Viola è l'unica che non mi abbia mai chiesto niente.

Relazioni che gli hanno lasciato due figli, Alagia e Alfredo.
Cosa aggiungere della vita di Vincenzo Malinconico: uno studio in comune con un ragioniere commercialista, Espedito Lanza, con tanto di segretaria, Gloria.
Una specie di segretaria anche lei, che passa più il tempo a messaggiare con Whatsapp che a lavorare.
Tante amicizie, tante storie alle spalle, una carriera poco brillante: conduce una vita complicata il nostro Malinconico, una vita che scopriremo man mano leggendo questo libro perché sarà lui stesso a raccontarcela, con la sua viva voce.

Cominciando dalla causa civile che vede Olivieri Carmine (lo zio Mick) contro “Non solo coffee bar, Tabacchi e scommesse di Galloppo Lucia Santa”.

Parentesi che si apre (in questo libro, ce ne saranno tante): dovete sapere che zio Mick non è proprio uno zio di Vincenzo: era uno zio acquisito, in quelle famiglie allargate che c'erano al sud negli anni 50-60:
La mia inchiesta mi ha portato alla conclusione che nelle famiglie dell'epoca, quando in casa giravano zii che non erano zii, garantito che si trombavano qualcuno.

In pratica una storia di una nasata dello zio Mick contro la vetrata del bar, le porte automatiche che non si sono aperte e il proprietario (quello vero, non l'intestatario su carta) che rassicura che “non si preoccupi, tanto poi paga l'assicurazione”, per poi rimangiarsi la parola.

Ed ora eccoci qua, di fronte al giudice di pace Pestalocchi, detto “La merda”.
Eh si, una definizione che è proprio calzante per questo giudice (non magistrato), che gode nel gestire la sua dose di potere nei confronti degli avvocati: nemmeno un aguzzino delle SS, “avrebbe il profilo del chiudivagone: il verme per capirci, che fatta la conta dei deportati chiudeva lo sportello del treno ..”.

Ma se il titolo del romanzo (il terzo di De Silva con il protagonista Malinconico) si chiama “Divorziare con stile” un motivo ci sarà: il motivo si chiama Veronica Starace Tarallo, moglie bellissima del noto avvocato Ugo Starace Tarallo.
Imparo ad apprezzare l'acutezza e lo stile di questa donna abituata alla bella vita ma per niente altezzosa, che si muove e parla senza approfittare del suo corpo: non lo sfoggia, non lo spende, non lo usa per governare il dialogo, ma al contrario cerca fra le cose che ascolta quella che le stimoli un pensiero che valga la pena d'essere espresso.

Chissà perché una donna bellissima, e pure consapevole del fascino che suscita nei maschietti, si è rivolta proprio all'avvocato Malinconico, non proprio uno tra i più noti e famosi del foro napoletano, per la causa di divorzio col marito?
Chi è stato a consigliare a Veronica proprio Malinconico e non altri, più famosi?
La causa della lite tra i signori Starace Tarallo, tra l'altro, è molto particolare: dietro c'è un tradimento, solo virtuale, di Veronica, che il marito ha ricostruito spiando la sua corrispondenza elettronica.
Obiettivo di Veronica è evitare la misera liquidazione che probabilmente le verrà proposta dal marito (più per una questione di principio, essendo ricca di famiglia, oltre che bella e intelligente..).
Un incarico impegnativo per Malinconico che è si divorziato, ma non esperto della materia e nemmeno dell'ambiente in cui vivono questi Starace Tarallo. A queste difficoltà si aggiunge anche il tentativo di seduzione di Veronica, quasi una sfida per lei, abituata a sottomettere tutti gli uomini e che dunque non accetta l'atteggiamento di Vincenzo, quasi distaccato.
Ma come avrà fatto una donna così bella e colta a sposarsi un parvenù come l'avvocato Ugo (Starace Tarallo)? Un altro mistero che troverà poi spiegazione.

Questi sono le due cause seguite da Malinconico: la nasata dello zio Mick e “la guerra dei Roses” dei coniugi Starace Tarallo: ma attorno, una miriade di altre storie, un caleidoscopio di personaggi.

La guerriglia di Vincenzo contro “La merda”, combattuta a fianco di Benny Lacalamita, altro avvocato, che però il suo studio legale lo ha ereditato.
La vita dentro il “Diciamo Loft”, con la targa Maliconico e Lanza (sottotitolo “si riceve nei giorni dispari per appuntamento”), dove scopriamo che Gloria è stata assunta da Espe, ma lo stipendio lo paga il suo fidanzato, amico di Espe, che la fa lavorare in quella specie di loft arredato da Ikea, per tenersela lontano e portare altri guai nello studio (ma anche questo lo vedremo poi).
Il matrimonio della figlia Alagia, poco più che ventenne, con un ricercatore che sta pure antipatico al nostro Vincenzo.
L'invito a Roma da parte dell'altro figlio, Alfredo, per festeggiare l'inizio degli studi, nella nuova casa assieme a quel coinquilino ..
L'incontro coi vecchi compagni di scuola, alcuni dei quali scomparsi da anni dalla sua vita: un incontro che si rivelerà disastroso sotto certi versi, per il deflagrare di antichi odi, del non detto tra ex studenti, ora persone adulte o quasi.

C'è il compagno diventato dentista che si sta separando dalla moglie per colpa della sua passione per le sottane.
C'è quell'altro che vorrebbe scrivere libri e che per questo manda messaggi vocali a Malinconico, per avere un suo giudizio.
Infine il secchione, quello che era già vecchio sui banchi di scuola, che si riscopre essere la migliore scoperta della serata.

Oltre alla professione di avvocato, Vincenzo è anche un filosofo, abituato a discutere di tanti argomenti, anche se nessuno glielo ha chiesto: il rapporto tra musica e l'immaginario sentimentale delle persone (“Altro che la musica rock..”).
Come le persone vivono il loro rapporto coi treni dell'Alta velocità:
Sarà una mia impressione, ma tutte le volte che prendo un Alta Velocità noto la gente che, quando scende la treno, tende a comportarsi da manager.
Il suo rapporto con le donne (e compare in un breve cameo anche il commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni):
C'è chi si siede davanti ai cadaveri e vede la dinamica dei delitti (come quel vecchio telefilm, Millenium), o chi, come il famoso commissario napoletano degli anni Trenta, sente le voci dei morti nell'ultimo istante di vita: io vedo le madri, e il più delle volte sono addirittura vive. Le uniche donne che mi attirano sono quelle che non hanno le madri in controluce”.

Mille pensieri, mille divagazioni, mille parentesi aperte in un discorso e tutto questo mentre prende il treno, mentre passeggia, sotto la doccia, al lavoro.
Come andranno a finire tutte le storie, il matrimonio della figlia, la causa per la separazione, la vita nel loft, la causa di zio Mick?
Si ride molto in questo romanzo, si ride anche in modo amaro, seguendo la vita dell'avvocato Malinconico, le sue battute, le sue divagazioni, le sue infelicità: che sono tante ma che di certo, non riescono a buttarlo giù
penso che non mi è mai successo, ma proprio mai, che una delle mille sceneggiature di felicità che mi sono scritto nella testa mi abbia mai dato la soddisfazione di avverarsi, anche una sola volta”.

La scheda sul sito di Einaudi
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon