28 agosto 2017

Il marchio dell'inquisitore, di Marcello Simoni


Prologo 
Roma, via dell'Arco camilliano 
18 dicembre 1624
Posò la lanterna sul pavimento cosparso di segatura e xilografie sbiadite, osservando le cinque zampe di legno che salivano fino al pianale intarsiato e, sopra di esso, il gioco di travi, corregge e mulinelli che davano forma al torchio. Benché fossero in molti a maledire quel genere di ordigno, la Babele da cui si erano propagate le dottrine di mille Lutero e Simon Mago, lui non l'aveva mai inteso come uno strumento del diavolo.Eppure era da lì che spuntavano le gambe della vittima, quasi in procinto di essere divorate insieme al resto del corpo.La scena di rammentò Giona ingoiato dal mostro marino, così come l'aveva scorto anni addietro sulla miniatura di un salterio veneziano. [..]Fra Girolamo Svampa si portò all'altro capo del torchio.

In questo romanzo Marcello Simoni ci porta in pieno seicento, a Roma, a pochi giorni dall'inizio dell'Anno Santo indetto da papa Urbano VIII, per l'anno domini 1625.
L'Europa e l'Italia si sono già lasciati alle spalle Lutero e lo scontro tra i principi tedeschi e la Chiesa e il Concilio di Trento. Il Rinascimento è finito e ora, anche dopo la scoperta dell'America, a dominare in Italia sono le potenze coloniali, come Spagna e Francia.

Protagonisti di questo romanzo sono due frati domenicani, posti ad investigare su un delitto avvenuto pochi giorni prima di Natale, in una tipografia.
Il primo, Girolamo Svampa, inquisitore del Sant'Uffizio, nominato magister commissarius dal “maestro di Palazzo”, proprio per risolvere il delitto.
Il secondo, padre Francesco Capodiferro, segretario della congregazione dell'indice, la struttura che all'interno della chiesa romana stilava l'indice dei libri proibiti, che ora dovrà collaborare con Svampa.
Il delitto viene affidato all'inquisitore Svampa per le modalità con cui si è consumato: il morto è stato stritolato dal torchio dentro una tipografia, con in bocca delle pagine miniate, dal contenuto “libertino” ed offensivo nei confronti della Chiesa.
Svampa e Capodiferro sono due investigatori quanto mai diversi: il primo è razionale e freddo, osservatore dei fatti che “congela” in una specie di bolla del passato, per osservarli nella loro immobilità.
Un investigatore che, per scoprire le cause che hanno portato ai fatti, usa la tenica del “furetto”: l'animale che va ad inseguire i conigni stanandoli dalle loro tane.
- Il furetto, - ripeté, quasi avesse espresso un'ovvietà. - Gli antichi cacciatori si servivano di quella bestiola per stanare i conigli, spingendoli così a finire dentro una rete. Ebbene, nel nostro caso la tana del coniglio consiste nell'insieme degli eventi collegati al crimine. Colui che intende assumerne piena coscienza deve addentrarsi in essi, come il furetto nel rifugio della preda, al fine di portare alla luce nomi, indizi e moventi.

Il passato di Girolamo Svampa emerge poco a poco: sappiamo che ha sul collo un marchio, impresso col fuoco, un roveto ardente. Sappiamo anche quanto questo passato ancora porti dolore alla sua persona, dolore che viene curato col Laudano.
Il secondo, Capodiferro, possiede una mente prodigiosa capace di tenere a memoria interi libri, anche quelli mandati al fuoco per il loro contenuto.
Una mente elastica e flessibile, usata per consultare i libri probiti e per costruire le sue teorie, i “castelli in aria”.

Il morto, si scoprirà subito, è un altro frate della congregazione dell'indice, frate Rebiba: a colpire Svampa, delle miniature infilate nella sua bocca, è in particolar modo una rappresentazione allegorica. La morte che si fa beffe degli stampatori:
L'inquisitore lo esaminò in preda a un sottile sbigottimento. Si trattava di un'incisione a metà pagina in cui si dava forma ad una strana danza macabra. La morte, madre della peste, della putrefazione e di ogni più orrendo delirio, compariva tre volte nelle sembianze di un cadavere scheletrico, e con quel triplice sogghigno, quasi ad irridere la umane virtù, irrompeva in una bottega di stampatori per insidiare librai e tipografi. Uno dei quali, impegnato a manovrare un torchio.

Il metodo del furetto, ovvero l'andare a seguire tutti le piste che partono dal morto, una ad una, porta Svampa e il suo aiutante, Cagnolo, ad incrociare un gruppo di bravi, forse spagnoli.
Delle litrografie particolari, quelle che hanno inciso i fogli finiti in gola a frate Rebiba, che sono passate attraverso troppe mani.
Un gruppo di studenti della Sapienza, che stampa dei libelli probiti.
Piste che fanno emergere uno scontro in atto, nella chiesa romana: tra il Papa e le sue idee sul potere temporale e gli altri regnanti d'Europa; tra cardinali e cardinali, per il consolidarsi del loro potere.
È una Roma dove si praticano, seppur condannati, antichi rituali risalenti alle antiche civiltà di cui quella romana è rimasta impregnata, come il culto di Iside.
Non siamo nei secoli bui del Medioevo, ma, leggendo il racconto di Simoni e le indagini di Svampa e Capodiferro, anche questo periodo storico sembra contraddistinto da luci e ombre.
E spesso, le seconde prevalgono sulle prime: sono gli anni in cui si finiva ai ceppi, incarcerati in Tor di Nona, per un sospetto di eresia.
Sono gli anni in cui l'invezione delle stampa aveva reso più semplice la produzione di libri: anche dei libri considerati “proibiti”, perché parlavano di magia e astrologia.
Divina, rifletté lo Svampa con una punta di sarcasmo. Erano stati in molti ad aver definito in tal guisa l'arte tipografica, tra cui Leone X e il luterano Peucer. In realtà non esisteva forma di progresso che i conservatori cattolici detestassero di più al mondo. Eccetto il teatro, ovviamente.

Proprio seguendo tipografi e stampatori, i due investigatori riusciranno a trovare l'assassino: per scovarlo dovranno andare ad immergersi nei segreti di Roma, non solo quelli legati allo scontro in atto tra poteri, ma anche fisicamente, nei sotterranei della città eterna, che ancora custodiscono resti di antichi culti.
- Allora? - gli fece eco il segretario. - Alcuni di questi edifici si estendono in superficie, altri sotto i nostri piedi. Invero, sono proprio questi ultimi a custodire la natura più ambigua e pericolosa di Roma. Ricettacoli di culti misteriosi, orgiastici, rappresentano le vestigia di antiche idolatrie incubate in Egitto e in Grecia, e giunte fino ai nostri giorni. 
- Intendete dire che ancora oggi vi si coltivano dei riti pagani?- Non in tutti i sotterranei, e naturalmente non è facile accertarsene. Ma dal momento che anch'io, al pari vostro, mi astengo dal credere nelle coincidenze, scorgo nell'Iside del messaggio di «L» un elemento fondamentale del caso..

Ma ci sono altri segreti, altri nemici (oltre all'assassino), da cui Svampa deve guardarsi: anche lui è una pedina in questo gioco di potere in cui bisogna guardarsi le spalle.
Anche perché il passato alle spalle di Svampa è ancora lì che brucia, che grida vendetta:
Nessuna lealtà, nessun senso del giusto. Si trattava di un gioco di ombre in cui lo Svampa aveva finora creduto di rivestire il ruolo di predatore, quando invece era l'esca. Un'esca usata dal maestro di palazzo per attirare allo scoperto i propri nemici.

De “Il marchio dell'inquisitore” ho apprezzato prima di tutto la ricostruzione dei luoghi in un periodo storico, l'Italia barocca, che conoscevo poco.
Una Roma infida, dove ci si deve guardare le spalle quando si gira nei quartieri di periferia, come il Rione Renula.
Una Roma che ha una superficie in luce e una parte nascosta, sotterranea, non solo metaforicamente.
Una città “malata” e anche una “Chiesa che non prometteva salvezza, né per sé stessa, né per i propri figlioli”.
Una chiesa il cui controllo sulla società, sulla circolazione delle idee era messo in crisi dalla diffusione della libera stampa.
Quale il confine tra eresia e pregiudizio? Tra il desiderio di scoprire nuove cose e la paura nell'uscire dal proprio guscio?
Dubitatio licita, si disse.Quella o la semplice, ancestrale regola del sospetto che guidava la Congregazione del Sant'Uffizio da quattro secoli.L'istinto del predatore accompagnato dall'eretica presunzione che fosse lo Spirito Santo a ispirarlo.E non l'ignoranza. 
Il pregiudizio. 
La paura. 
Abbassò il lume. 
E poiché non c'era altro da contemplare nel buio, tornò in superficie.In un'oscurità ancora più densa.

La scheda del libro sul sito di Einaudi e un estratto dal primo capitolo.
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