01 settembre 2017

L'ottimismo sul lavoro

"Non ho mai visto un pessimista fare qualcosa di buono nella vita" - così diceva il fu cavaliere, nei bei tempi in cui malgovernava: intendeva che, senza un pizzico di ottimismo, anche in politica, non si va da nessuna parte.
Peccato che Berlusconi usasse l'ottimismo (e numeri sbandierati) come strumento per nascondere le magagne.

Vizio che non è andato in disuso nemmeno adesso, specie quando si parla di lavoro e posti di lavoro: l'Istat tira fuori i suoi numeri e ministri ed ex presidenti del Consiglio li usano a loro comodo per appuntarsi sul petto la medaglietta.
Dati ISTAT: +918MILA posti lavoro da feb 2014 (inizio #millegiorni) a oggi. Il milione di posti di lavoro lo fa il #JobAct, adesso #avanti[ Il tweet di Matteo Renzi (@matteorenzi).]
I numeri sono numeri e se presi così, possono essere usati come più fa comodo.
Sono tutti nuovi posti di lavoro? Con quali contratti? Per quali fasce d'età?
Il lavoro di analisi lo fa Marta Fana che oggi scrive sul Fatto

Non importa che da quel febbraio del 2014, di questi 918 mila nuovi occupati il 46% siano a termine, sconfessando le capacità del Jobs Act di imporre un cambio di rotta tra occupazione a scadenza (che corre con a un tasso di crescita del 22%) e a tempo indeterminato (al 4%), con tutte le precauzioni del caso, visto che i nuovi contratti non garantiscono più la stabilità dei rapporti di lavoro. La quota di dipendenti a scadenza, oggi al 15,4%, tocca ogni mese un nuovo record mostrando che il precariato non è più la porta di ingresso verso un’occupazione stabile ma condizione persistente per sempre più lavoratori. Sulla stessa lunghezza d’onda, i dati dell’osservatorio sul precariato dell’Inps, secondo cui nel primo semestre del 2017, le cessazioni di contratti a tempo indeterminato superano di gran lunga le assunzioni, per un saldo netto pari a -149.601. Non bastano neppure le trasformazioni di contratti a termine in permanenti, 141.873, per invertire il segno del saldo. Anche dall’osservatorio emerge chiaramente che a farla da padrone sono i contratti a termine, 788.129 al netto delle cessazioni, +67,7% rispetto allo stesso periodo del 2015. Infine, è da notare il dato sulle assunzioni a tempo indeterminato beneficiarie degli sgravi per l’occupazione giovanile previsti dalla scorsa legge di stabilità: in totale sono 19.152. Ben lontana dagli obiettivi dei 300 mila che il ministro Poletti e Confindustria dichiarano di voler raggiungere prorogando e aumentando gli sgravi a oltranza.

Si può scrivere che sale il livello di occupazione, che diminuiscono gli inattivi (è sufficiente aver lavorato un'ora nella settimana di rilevazione per risultare occupato).
Ma stiamo parlando di tassi di crescita (il PIL) tra i più bassi, di un'occupazione che cresce perché non si può andare in pensione, di posti di lavoro a tempo determinato.
Che significa lavoro a bassa qualifica e con bassi stipendi.
Fanno le riforme (quelle del governo dei #millegiorni) e non pensano alle conseguenze.
Il che poi costringe il governo a pensare a soluzioni come l'assegno minimo di 650 euro ai giovani, per evitare una bomba sociale nel futuro; a mettere, nella proposta di decontribuzione per i giovani, la clausola per evitare i licenziamenti.

Non si può prendere in giro il paese, spandendo un'ottismo che, fuori dai social, non esiste.

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