31 gennaio 2018

La lista e le elezioni

"La lista è un bene assoluto. La lista è vita. Tutto intorno, ai suoi margini, c'è l'abisso".

La citazione, che forse risulterà scandalosa, viene da Schindler's List, ma viene bene per descrivere quello che sta succedendo in questi giorni nei partiti a proposito delle liste elettorali per le imminenti elezioni.
Candidati paracadutati, candidati inquisiti o sotto processo. Candidati figli di (le dinastie elettorali in Sicilia da Cardinale a Navarra, dei Cesaro in Campania) e candidati che fino a ieri erano sopra le parti e che poi, ops mi sono candidato (i giornalisti di Repubblica, per esempio). Quest'anno il giudice candidato non andava di moda, a meno che non si tratti di Cosimo Ferri (in una lista col PD) o del giudice Cioffi (FI) del che a differenza di Di Matteo o Davigo, possono essere candidati perché non pericolosi per la democrazia.
Candidati che, per colpa del Rosatellum, verranno votati non dai loro elettori di riferimento: come gli ex Forza Italia nella lista Lorenzin Alli in Lombardia o l'ex UDC Casini a Bologna.
Il ricambio fisiologico di Renzi che si è tramutato in una renzianizzazione del partito in vista di futuri rospi da ingoiare.
E la lista delle eccellenze di Di Maio che si sta accreditando contemporaneamente come forza di governo per la stabilità, quando parla con le imprese e i mercati (candidando un tecnico di FMI o di Bankitalia all'economia) e anche di protesta quando parla con la sua base.

L'impressione è di una competizione elettorale finta: impressione confermata dalle manovre dietro le quinte (dove ci si scanna per chi è più europeista, sulla flat tax e sulle riforme), come per esempio la relazione della commissione sulle banche che non darà fastidio al PD (e nemmeno al PDL); le grandi manovre sul calcio e sui diritti TV.
Se la competizione è finta allora, il vero obiettivo dei grandi partiti è non vincere troppo o non perdere troppo. Quanto meno che nessuno vinca in modo chiaro.
Per poter continuare con lo status quo attuale, quella stabilità che piace tanto a Scalfari a Juncker, all'Europa e forse anche ai mercati.
E agli elettori?

30 gennaio 2018

Cartoline dalla fine del mondo di Paolo Roversi



Incipit

Se tutti gli uomini avessero la possibilità di uccidere clandestinamente e a distanza,l'umanità sparirebbe in qualche minuto 
Milan Kundera 

Prologo 
Milano, ottobre 2009 
«Ho bisogno di sparire.»Lo dico senza esitazione, con lo sguardo serio e i pugni chiusi. Antonio Sciamanna mi osserva per un interminabile istante. Il mio informatore nei bassifondi della metropoli è un malavitoso di lungo corso, ma anche una sorta di personale guida per il mondo sommerso che vive e prolifica in questa città. Ci troviamo nel locale di via Adelchi che da sempre utilizza come ufficio: un avamposto in legno, con luci basse e birre artigianali [..] 
«Che succede, ragazzo?» 
«Devo andarmene da Milano. Anzi, dall'Italia.»

Quando devi sfuggire ad un pazzo pericoloso, qualsiasi posto non è abbastanza lontano, abbastanza sicuro.
È questo quello che succede al giornalista hacker Enrico Radeschi, che per scappare da Hurricane, l'assassino che ha ucciso la sua ragazza, è costretto a cancellarsi dal mondo, cancellare la sua vita, le tracce che ha lasciato dietro per strada e nella propria casa.
Per questo ricorre all'aiuto di Konstantin, altro personaggio da bassifondi milanesi ben oltre il livello di legalità, che lo aiuta in questo processo di sparizione: cambiare abiti, abitudini, cibo, scollegarsi dalla rete internet e tanta “dezinformatsiya”, disinformazione da sparpagliare di qua e di là per disorientare il nemico.

Otto anni dopo, dopo aver girato il mondo, lo ritroviamo a Cipro, dopo essere arrivato alla fine del mondo (e aver mandato in giro qualche cartolina di troppo), volontario per i lavori di recupero di una vecchia villa ma anche per qualche lavoretto assieme al Danese, altro personaggio da bassifondi .. ciprioti.

Ma in questi otto anni Milano è molto cambiata: c'è stato Expo, la rassegna internazionale che ha portato qui milioni di turisti, sono stati costruiti i palazzoni tutti cemento e vetro che hanno dato un volto nuovo a Milano, è stata rifatta la Stazione Centrale, alcuni quartieri si sono riqualificati, in altri tutti i bar sono finiti nelle mani dei cinesi ..
Anche il lavoro della polizia è cambiato: ora per affrontare il crimine non basta essere esperti di scienza come gli agenti di CSI, occorre essere anche smanettoni al computer e sapersi destreggiare tra social, internet e altro.
Ecco, per risolvere i delitti del “Mamba nero” ci vorrebbe proprio uno come Enrico Radeschi – questo pensa il capo della Mobile di Milano, Loris Sebastiani.
Sono una serie di delitti strani, molto elaborati, che colpiscono persone legate tutte ad una stessa azienda di informatica, la TechHackCorp, di Milano.


La prima vittima viene avvelenata, con una puntura all'avambraccio, e muore sotto il quadro di Pellizza da Volpedo, Il quarto Stato.
La seconda vittima viene uccisa in modo più spettacolare: colpita al tronco da una palla lanciata da una fionda ricostruita secondo un modello disegnato da Leonardo da Vinci.
Anche la terza morte sembra riportare al genio vinciano: una donna americana, uccisa da un dardo scagliato da un drone che poi si è posato sulla statua del cavallo vinciano, all'Ippodromo di San Siro.
Ogni volta questo hacker anonimo, che si firma come “Mamba nero”, ha rivendicato il delitto su Twitter mettendo in rete i video degli omicidi, facendosi barba dei controlli.

A Sebastiano serve il suo hacker di fiducia che in tanti casi l'ha aiutato nel passato: per richiamarlo in servizio va a trovarlo in mezzo ai suoi scavi a Cipro e lo convince a tornare a casa.
Ma non è un ritorno facile, quello di Radeschi: Milano è cambiata, è cambiata anche la tecnologia e ora il nostro Enrico deve fare un corso di aggiornamento rapido e poi ci sono altre cose personali lasciate in sospeso.
C'è da rincuorare i suoi che non lo vedono da anni e che festeggeranno il figliol prodigo con una bel pranzo innaffiato col Lambrusco.
C'è il suo amico Diego a cui ha affidato anni prima il suo cane Buk (non come il cane del libro di London, ma come Bukowsky), che lo riconosce come Argo con Ulisse.
E c'è anche un altro cane, il Chihuahua della cugina Marika (ribattezzato Rimbaud), da tempo stabilita nel suo ex appartamento, che lo adotta come zio.
Infine, c'è da andare a recuperare la sua Vespa, il giallone del 1974, che nonostante siano passati tanti anni, non perde un colpo.

E non dovrà perderne nemmeno Radeschi se vuole fermare questo “Mamba nero”: sfuggente e velenoso come un serpente, abile a nascondersi dietro proxy anonimi, a surfare nel deep web, a usare bitcoin per pagare servizi, ad usare trojan per entrare nei computer delle sue vittime …
Sarà una sfida tra hacker buoni e hacker cattivi, in cui Enrico lavorerà come consulente della Polizia e troverà anche l'aiuto della giornalista Darla Marini, che ha preso il suo posto al giornale e anche del vecchio Leonardo Da Vinci.

Cartoline dalla fine del mondo è un noir scorrevole, scritto col consueto stile ironico e spassionato di Roversi, che qua e là mette delle bandierine sulla cartina di Milano invitando il lettore a girare (a piedi o su una Vespa, vedete voi) per Milano.
All'Arengario a vedere nuovamente Il quarto Stato.
Per le strade della Lambrate Bohemien.
A salire sulla Torre Branca, in zona Arco della Pace, la risposta italiana alla Tour Eiffel.
A visitare la “Veneranda Biblioteca Ambrosiana” e le sale del Castello Sforzesco, come la Sala delle Asse (parola che avrà una certa importanza per una prima soluzione del caso).

A vedere il cavallo disegnato da Leonardo e realizzato da un ex pilota americano appassionato di Rinascimento, all'ippodromo di San Siro.
Infine, non può mancare una visita a Santa Maria delle Grazie e al Cenacolo vinciano (lo ripeto ancora, Leonardo Da Vinci e le sue opere è un fil rouge che attraversa il libro).

Buona lettura e buon viaggio!!!

PS: attenzione a non rilassarvi troppo, questo giallo riserva diversi colpi di scena....

La scheda del libro sul sito dell'editore Marsilio

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

29 gennaio 2018

Presa diretta – la cooperazione e l'accoglienza dei migranti

Un'analisi sui conti della cooperazione – la puntata di Presa diretta di questa sera: come spendiamo i soldi destinati alla cooperazione? Come li stiamo aiutando i migranti?

Il servizio è partito dalle immagini del 2016, i flussi di migranti lungo la rotta balcanica che non si è interrotto del tutto nemmeno con i muri e il filo spinato.
A Gorizia gli immigrati oggi dormono lungo il tunnel che porta alla Slovenia: Lampedusa del nord la chiamano la città friulana.
Vengono dal Pakistan, dalla Siria, sono stati respinti dai paesi del nord e ora sperano nel programma di accoglienza: non ci sono posti per dormire sotto un tetto così devono dormire all'aperto.
Eppure la spesa per i migranti è aumentata in questi anni: come sono usati questi soldi?
Una parte ragguardevole è destinata all'accoglienza, per i centri migranti, come quello di Gradisca: nessuno vuole stare qui – dicono gli ospiti, che arrivano dal Pakistan – non c'è riscaldamento né acqua calda.
I gestori del centro non commentano – chiedete alla Prefettura.
Questo non è accoglienza, questa non è cooperazione: spendiamo più di 1 miliardi dei fondi per la cooperazione per fare accoglienza, un fiume di soldi (più di un terzo), che anziché finire ai paesi poveri per aiutarli, finiscono in Italia spesso nelle tasche di profittatori come quel Buzzi di mafia capitale.

4,6 miliardi sono i soldi investiti nei paesi poveri, per vari progetti nel mondo: in 5 anni questi fondi sono raddoppiati.
Ma sono soldi spesi per accogliere migranti nel nostro paese: questa voce della cooperazione è cresciuta di 10 volte, sono il 40% della spesa per i paesi poveri che finiscono a casa nostra.

Aiutiamoli a casa nostra?
Presa diretta ha raccontato la storia del centro di Latina, un centro sporco dove le lezioni di italiano le hanno dovute pagare coi loro soldi.
Il centro è gestito dal consorzio creato da Buzzi, oggi in amministrazione controllata.
Il comune non ha competenza – dice l'assessore: con gli stessi soldi però è possibile fare vera accoglienza, come ha mostrato la responsabile del progetto SPRAR.
Accoglienza diffusa, in case vere, dove si insegna veramente la nostra lingua e un lavoro: sempre con i 35 euro che arrivano dal ministero dell'Interno, un sistema che si rivela più economico rispetto ai centri di accoglienza CARA e CAS..

Sul sito openaid sono riportati i fondi e i progetti all'estero, non quelli per la cooperazione in Italia: c'è un'esigenza di maggiore trasparenza, che il ministero dell'Interno deve ancora soddisfare.
Mancano indicazioni sui centri, sulla qualità del servizio.
Mancano anche i controlli da parte delle prefetture su come sono spesi soldi nei centri, per evitare che si ripetano storie come quelle di mafia capitale.

Bombardiamoli a casa loro.
Di certo quando li bombardiamo non li stiamo aiutando a casa loro: nello Yemen i bombardamenti hanno colpito civili, scuole e perfino funerali.
Chi forniva le bombe all'Arabia? Anche l'Italia ha fatto la sua parte, le bombe sono le MK82 e 84, bombe d'aereo, che possono essere teleguidate e che esplodono in mille frammenti.
Armi che uccidono in maniera indiscriminata.
Sono bombe realizzare in Sardegna da un'azienda controllata dalla RWM: l'Italia non potrebbe vendere armi a paesi in guerra, a paesi che violano le leggi sui diritti umani.
In questa zona della Sardegna, povera, lo stabilimento della RWM è una delle poche occasioni di lavoro: potremmo riconvertire l'azienda, per non produrre altri strumenti di morte e perché queste fabbriche sono facilmente delocalizzabili.

L'associazione Rete Disarmi ha firmato un esposto alle procure di Roma e Brescia per vederci chiaro, su questo traffico di bombe dalla Sardegna all'Arabia: è un traffico che sarebbe proibito, per le leggi italiane, ma di cui il governo è consapevole.
Quello in Yemen è un conflitto non riconosciuto dalle Nazioni Unite, l'Arabia non è soggetta ad un embargo (sebbene l'Unione Europea abbia fatto un appello per mettere un embargo con l'Arabia).
Ma nonostante questo, è un affare che sta a cuore a molti politici e a molti esponenti della Difesa.
Anche dal sindaco di Domusnovas, perché c'è un economia che viaggia attorno a quei 120 posti di lavoro della RWM Italia.
“Noi non amiamo la guerra, ma qualcuno ci deve dire di che cosa dobbiamo vivere”: sono ragioni comprensibili, il solito ricatto del lavoro.

Tra gli effetti della guerra in Yemen c'è anche il fatto che molti profughi dall'Etiopia seguano ora la pista libica per scappare dal loro paese.
E arrivare qui da noi, dove trovano politici che da una parte sono felici di vendere armi all'Arabia dall'altra vorrebbero ricacciarli in mare...

Bloccare l'autorizzazione è una decisione politica, conferma il sottosegretario Giro, agli affari esteri: vedremo come deciderà il prossimo governo.

Dovremmo investire di più in vera cooperazione, perché aumenta la nostra influenza all'estero, la stabilità del pianeta: per anni abbiamo rinunciato ad entrare nel continente africano, non abbiamo contato nulla per anni in Africa e in Medio Oriente.
Italy is back – commenta il sottosegretario, che vorrebbe arrivare allo 0,4 del PIL in cooperazione.

Come quello che facciamo a Brindisi, dove c'è la base della WFO, dove si distribuisce il cibo in tutto il mondo.

Come il progetto “università per l'Africa”: sono gli accordi per far studiare gli studenti africani in Italia. La maggior parte sono camerunesi, arrivati con visto di studio che vogliono studiare informatica, farmaceutica, chimica, ingegneria ..
Vogliono prepararsi ad una professione che un giorno sarà strategica per il futuro del loro paese, per costruire un paese più solido, capace di crescere con le loro conoscenze.

Il Camerun è un paese dilaniato dalla guerra contro Boko Haram, che ora sta destabilizzando i paesi confinanti; è un paese messo in crisi anche dai rifugiati che arrivano da paesi vicini, per altre guerre che in questa parte del mondo non mancano.
È importante stabilizzare questa regione: Elena Marzano è andata a visitare il centro di ricerca e cura a Yaoundé, dove lavora il medico Colizzi.
In un centro realizzato anche grazie a fondi italiani, si lavora contro l'AIDS: sono passati dal 15% al 4% come percentuale di persone positive all'AIDS.
Questa storia, l'università per l'Africa, testimonia quanto sia importante aiutarli veramente a casa loro.
La cooperazione italiana ha regalato macchinari, costruito il centro di ricerca, formato medici e ricercatori, dove si pubblicano articoli letti nel resto del mondo.

Riducendo il contagio, il paese ha potuto puntare sull'agricoltura: il Camerun è uno dei maggiori esportatori di frutta dell'Africa.
Un altro progetto di cooperazione ha permesso di portare l'acqua in un villaggio dell'interno grazie all'energia elettrica di un impianto fotovoltaico.
La piazza centrale di Yaoundé è stata progettata da un architetto che ha studiato a Roma.

Ma c'è anche cooperazione che non fa bene all'Africa: come in Etiopia dove la Salini Impregilo sta costruendo una diga, sul fiume Omo.
Una diga che sta mettendo in difficoltà la popolazione che vive attorno al fiume, perché in una zona desertica.
La storia delle controverse dighe della Salini Impregilo è stata raccontata qui: il fiume che si abbassa, la foresta fluviale che si ritira, per far spazio alle piantagioni di cotone.
L'acqua viene tolta all'agricoltura, l'acqua è stata tolta per creare latifondi che non arricchiscono la popolazione locale.
Questa cooperazione che non aiuta gli africani a casa loro è finanziata da noi.
Ricordatevelo quando sentite un politico che dice “aiutiamoli a casa loro ..”: i migranti economici li stiamo creando noi, togliendo loro l'acqua e i mezzi per sopravvivere.

Come vengono spesi i soldi della cooperazione - il caso Salini

Il Fatto Quotidiano - articolo di Virginia della Sala

Nel servizio di Presa diretta che andrà in onda questa sera si parlerà di come vengono spesi i fondi per la cooperazione: dovremmo aiutarli a casa loro, questo l'obiettivo dei fondi.
Invece finanziamo opere (costruite da imprese italiane) che alla fine impoveriscono la popolazione.
Come per la sul fiume Omo,in Etiopia: ne da una anticipazione Virginia Della Sala su Il fatto quotidiano

Fiumi senz’acqua e villaggi in pericolo:il disastro delle dighe garantite da Cdp 
Stasera il viaggio di “Presa Diretta” tra i progetti dell’italiana Salini Impregilo
SACE è una società pubblica posseduta da Cassa Depositi e Prestiti: ha emesso una garanzia sul finanziamento da 340 milioni di euro che è stato erogato all’Ethiopian Electric Power,committente del gruppo  italiano Salini Impregilo per la costruzione di una nuova diga sul fiume Omo,in Etiopia, denominata“Progetto Koysha”. Alta 170 metri, con un serbatoio di 6mila milioni di metri cubi e un’energia annua prodotta di 6460 gigawatt, sorgerà nella valle del corso d’acqua tra Etiopia e Kenya.Qui, dal 2004 è stato avviato un progetto di costruzione di dighe idroelettriche per il quale il governo etiope ha deciso di affidarsi all'Italia. A raccontarlo,insieme alle devastanti conseguenze ambientali, è Presa Diretta, stasera su Rai3 con l'inchiesta “A casal o ro”, attraverso il lavoro di Marcello Brecciaroli. Un viaggio tra Etiopia e Kenya, nei villaggi senza elettricità e, negli anni, senza più acqua. Complici anche le dighe. Il fiume Omo scorre per 770 chilometri a sud dell'Etiopia, prima di finire  nel lago Turkana, a nord ovest del Kenya. Dalle sue acque dipendono 500mila  persone, la  valle  è patrimonio  Unesco. Qui è nato l’uomo . Circondato da tre aree semi desertiche, è la zona in cui il governo etiope ha deciso di avviare, dal 2004, la costruzione di enormi dighe idroelettriche affidandosi  all'italiana Salini–Impregilo. Il problema è che, senza un piano di sviluppo per le popolazioni indigene, questa operazione danneggia la vita degli abitanti dei villaggi. Il viaggio di Presa Diretta segue infatti il corso del fiume,dall'Etiopia fino al Kenya prendendo spunto dall’ul tima garanzia concessa dall’Italia. Il livello dell'acqua si è abbassato di quasi dieci metri, complici il cambiamento climatico, le dighe e anche l'estrazioni per irrigare le piantagioni. Gli indigeni raccontano che, nonostante la promessa di aprire la diga più spesso, da anni la situazione non è cambiata. A loro non arriva l'acqua e non possono più coltivare sulle sponde, da sempre fertili grazie agli straripamenti. “Uno degli scopi delle dighe  spiega il giornalista  è proprio addomesticare il fiume per creare latifondi sulle terre tribali”. L'obiettivo è produrre il cotone da esportare, oppure per la canna da zucchero per il biocarburante. Nei villaggi non c’è energia elettrica, quella prodotta dalle dighe di Salini  Impregilo arriva su tralicci che la portano in Sudan e in Kenya. Esportata anche quella“Nel 2004, la diga Gibe II– si legge nella nota diffusa dal programma  fu finanziata direttamente con 220 milioni provenienti dal Fondo per la cooperazione del Ministero degli Esteri tanto che nel 2016 le commissioni ambiente e sviluppo della Camera approvarono  una nota congiunta in  cui si chiedeva di rivalutare l'appoggio politico ai progetti di Salini in Etiopia”. I progetti di Salini, poi, sono considerati in violazione delle regole Osce “perché ottenuti senza gara d'appalto internazionale”. Già nei mesi scorsi c’era stata polemica per un finanziamento di Cassa Depositi e Prestiti: era stato erogato a un'impresa estera per la costruzione del centro commerciale Meydan One Mall a Dubai, di cui il primo lotto affidato alla Salini Impregilo: una linea di credito di 300 milioni di dollari in cordata con Standard Chartered e Ubi Banca.

Aiutiamoli a casa loro - un modello diverso di accoglienza

Il tema dell'immigrazione è stato e sarà centrale in questa campagna elettorale: sentiremo parlare di clandestini da espellere, dell'invasione degli immigrati, di immigrati che a spese nostre se ne stanno senza far niente tutto il giorno.
Forse, dopo aver visto il servizio di questa sera di Presa diretta, molte persone avranno le idee un poì più chiare sulle tante bufale o mezze verità.
L'Italia ha stanziato nel 2016 4,6 miliardi per la cooperazione coi paesi del terzo mondo (una spesa raddoppiata negli ultimi 5 anni): di questi, però, circa 1,5 miliardi sono spesi per l'accoglienza dei migranti qui da noi. Sono soldi, cioè, che finiscono nelle tasche di italiani, per le tante cooperative del settore.
Ce ne sono tante che fanno bene il loro lavoro ma non dobbiamo dimenticarci anche di quanto emerso nell'inchiesta su Mafia capitale, delle parole di quel Buzzi che, intercettato, spiegava ad un suo amico come i migranti siano meglio dello spaccio della droga.
Forse non rendono lo stesso, in termini di profitto, ma danno meno rischi.
Almeno finché la magistratura non si accorge del sistema: dei migranti dati col bilancino a questo e a quello, per soddisfare le cooperative di tutti i colori, quelle rosse e quelle bianche vicine a CL.

Ma il resto dei 4 miliardi e passa come vengono spesi?
Cosa stiamo facendo per aiutarli veramente a casa loro, per aiutare i migranti nei loro paesi?
Ovvero, andando più terra terra, cosa sta facendo l'Italia affinché sempre meno persone siano costrette a lasciare la loro terra, nell'Africa sud sahariana, nei paesi del Corno d'Africa?

Questa estate, il ministro Minniti ha cercato di affrontare il problema partendo però dai suoi effetti più mediatici: si è cercato prima di regolamentare l'azione delle ONG impegnate nel salvataggio dei barconi in mezzo al Mediterraneo.
Dopo la regolamentazione delle ONG, che ha fermato gli sbarchi solo per qualche mese, sono arrivati gli accordi con le tribù libiche e col governo di Serraj (uno dei due governi riconosciuti in Libia): sullo stesso principio di quanto fatto dalla Germania della Merkel con la Turchia, anche l'Italia ha pagato rappresentanti (più o meno legali) dei gruppi che controllano le zone dove passano i migranti per fermare questi flussi in centri di detenzione.
Occhio non vede e cuore non duole: così, l'occhio dell'italiano non ha visto le torture le violenze, il mancato rispetto dei diritti civili che pure la nostra Costituzione garantisce per tutti.

Una parte del servizio sarà dedicato all'export delle armi, un settore in crescita (purtroppo), il business delle armi è un settore redditizio, peccato che comporti poi un costo in termini di morte e distruzione.
BOMBE ITALIANE SULLO YEMENLa guerra in Yemen dura ormai da quasi 3 anni e, dopo numerosi bombardamenti che hanno causato diecimila vittime civili, media e ONG di tutto il mondo hanno cominciato a chiedersi chi stesse fornendo le bombe all'Arabia Saudita.

Come per le bombe italiane realizzate in Italia e vendute all'Arabia per la sua guerra in Yemen: bombe che hanno causato 10mila vittime civili, che hanno colpito ospedali come quelli di Medici senza frontiere di cui però nessuno ne parla. Evidentemente non tutte le guerre sono uguali: il ministro Pinotti che ieri, in un tweet, ci ha ricordato che le armi rappresentano lo 0,8% del nostro PIL.
Fate meno gli schizzinosi, cari italiani..
Come pensiamo di aiutarli a casa loro se poi li bombardiamo?

Ma, nonostante gli accordi in Libia, i respingimenti camuffati, i lager e le armi (per aiutare i sauditi a casa loro), gli sbarchi non sono cessati, la rotta balcanica ha continuato a funzionare (nonostante i muri, il filo spinato e le milizie filo fasciste lungo i confini in Bulgaria) e così anche la rotta verso la Francia.
I giornalisti di Presa diretta sono andati a Gorizia: nel tunnel in fondo al viale che parte da piazza Vittoria (e che porta alla Slovenia) dormono accampati alla meglio, decine di profughi, migranti. La notte la temperatura scende sotto lo zero.

Oggi Gorizia è diventata la Lampedusa del nord, per le centinaia di migranti che arrivano qui a piedi, molti respinti dalla Germania o da altri paesi nord europei.

Esiste un altro modo di fare accoglienza?
Esiste una "buona accoglienza", che rispetti i diritti delle persone (sabato scorso era la giornata della memoria, un monito sul valore di tutte le vite) e che però non metta in difficoltà i paesi che devono affrontare questi esodi?

A Latina adottano un modello "diffuso" di accoglienza, racconta Stefania Krilic responsabile del progetto Sprar: non si concentrano i migranti in un solo posto, li si aiuta per i problemi coi documenti, con la sanità, con la lingua italiana. Oltre al vitto e all'alloggio gli si insegna l'italiano.
L'integrazione è a 360 gradi, anche nel mondo del lavoro: il tutto con quei 35 euro al giorno messi a disposizione dal Ministero dell'Interno.

La scheda del servizio: Aiutiamoli a casa loro
PresaDiretta torna lunedì 29 gennaio ore 21.20 su Rai3, con un’inchiesta sul mondo della Cooperazione allo sviluppo “AIUTIAMOLI A CASA LORO”.Quando si parla pensando a chi fugge da guerre e povertà si fa presto a dire “aiutiamoli a casa loro”, ma come funziona davvero il Sistema Italia e come vengono adoperati i soldi della Cooperazione italiana? Un’inchiesta tra Italia e Africa per provare a capire quali sono i progetti che funzionano e quelli destinati a fallire.L’Italia ha raddoppiato negli ultimi 5 anni i soldi per la Cooperazione, nel 2016 ha stanziato più di 4 miliardi e seicento milioni in progetti che dovrebbero aiutare i paesi poveri a migliorare le proprie condizioni. Ma in realtà un terzo di questa cifra rimane a casa nostra, impiegato nell’accoglienza.1 miliardo e mezzo di euro, soldi della Cooperazione allo sviluppo che vanno ai Cara, i Cas, gli Sprar, le Cooperative, che dovrebbero offrire ai migranti servizi come posti letto, assistenza medica e psicologica, corsi di italiano, pocket money. Ma chi controlla come vengono utilizzate queste risorse pubbliche?PresaDiretta ha attraversato il continente africano per raccontare come e perché la Cooperazione allo sviluppo con i progetti giusti può fare la differenza e cambiare il futuro di un paese. Ci vogliono intelligenza, mezzi e tempo. E’ il caso del Camerun dove è stata PresaDiretta per raccontare un progetto di successo. Da anni infatti quel paese ha stretto un rapporto solido con la rete delle università italiane che formano giovani camerunesi. In Camerun oggi ci sono ingegneri, economisti, medici, farmacisti, architetti, agronomi, tecnici di laboratorio. Tutti laureati nel nostro paese, nelle nostre università. Un percorso di formazione straordinario in cui tantissimi giovani africani hanno portato “a casa loro” le competenze acquisite in Italia.Ma in Africa l’occidente non esporta solo buone idee. E quando nei paesi poveri arrivano capitali e interessi privati non sempre il risultato si coniuga con l’aiuto alle popolazioni locali.Le telecamere di PresaDiretta sono state in Etiopia e hanno percorso la valle del fiume Omo fino al lago Turkana in Kenya. Una valle vastissima di inestimabile bellezza, patrimonio dell’umanità per l’Unesco, il luogo dove avrebbe avuto origine la razza umana. Qui dall’Italia sono arrivati capitali pubblici e privati per costruire un complesso di dighe per la produzione di energia su richiesta del governo etiope. La ricaduta sull’ambiente e sul fragile equilibrio della popolazione locale sono oggi sotto gli occhi di tutti.Ma a complicare i fragili equilibri dei paesi poveri ci sono anche altre iniziative.E’ il caso della vendita di bombe italiane all’Arabia saudita che da tre anni è in guerra nello Yemen, di cui si è recentemente occupato anche il New York Times. Molte associazioni tra cui Rete Disarmo, chiedono lo stop delle forniture belliche all’Arabia Saudita perché a loro avviso sarebbe in palese violazione della legge. Ma cosa ne pensano a Domusnovas, la città sarda dove la fabbrica di armi dà lavoro a quasi 100 famiglie?“AIUTIAMOLI A CASA LORO”, è un racconto di Riccardo Iacona con Marcello Brecciaroli Roberta Ferrari Elena Marzano Torchia Massimiliano

27 gennaio 2018

La giornata della memoria

Credevamo di aver imparato la lezione, il perché dei sei milioni di morti nei campi di concentramento nazisti, dove oltre agli ebrei sono morti zingari, omosessuali, comunisti, nemici del popolo.
Non abbiamo imparato niente.

Non basta una sola giornata della memoria, con tanto di filmati e foto in bianco e nero fatti passare velocemente nei TG.
Serve anche spiegare il perché si è arrivati allo sterminio a livello industriale di un intero popolo: Auschwitx Birkenau non è capitata per caso, ma è il punto di arrivo di una cultura anti-ebraica molto presente in Europa. Anche in Italia, con i suoi ghetti per i figli di Abramo.

Si è arrivati alla Shoa quando si è iniziato a vedere un popolo, una comunità, non come a delle persone, con una religione, usi e costumi diversi, ma come a delle cose.
“Pezzi”, così venivano chiamati i detenuti con la stessa gialla nei lager dalle SS al termine dell'appello.
Pezzi e non persone con tanto di numero di matricola tatuato sull'avambraccio.
Alla Shoa si è arrivati passo dopo passo, quando si è fatto finta di non vedere che sparivano gli indesiderati: persone con problemi mentali, persone con tare fisiche.
Quando a scuola, ai bambini, si davano compiti come quello, citato da Paolini in Ausmerzen, in cui si chiedeva quanto si poteva risparmiare sopprimendo le persone non produttive per la grande Germania.
Quando si è tollerata la violenza contro gli ebrei, le vetrine dei loro negozi spaccate.

Quando si è iniziato a cacciarli dallo Stato, dall'insegnamento, dai luoghi pubblici.
La Shoa, le leggi razziali, varate anche in Italia nel 1938, la caccia all'ebreo, i rastrellamenti e le deportazioni (sotto il governo fantoccio di Salò) nei campi di sterminio, sono una colpa che ci porteremo per sempre addosso.
Un qualcosa che ancora oggi viene minimizzato. Mussolini ha fatto anche cose buone …

Non abbiamo imparato niente.
Non abbiamo imparato niente quando vediamo i lager in Libia, con dentro persone come noi in fuga da fame e miseria, torturate e imprigionate.
Non abbiamo imparato niente quando stringiamo accordi con trafficanti di esseri umani per non far sbarcare qui da noi i migranti.
Non abbiamo imparato niente quando vediamo le baraccopoli e facciamo finta che non ci siano. Anche quando bruciano, come a San Ferdinando in Calabria. Dove quegli immigrati erano costretti a vivere e sfruttati nella raccolta degli agrumi.
Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.Se questo è un uomo Primo Levi - Pag 188

Non abbiamo imparato niente quando plaudiamo ai respingimenti, in nome della difesa di razza. Quando innalziamo muri o il filo spinato, per difenderci da un nemico che non c'è.
Quando deleghiamo a dittature più o meno palesi il ruolo di gendarme dell'Europa.
Quando neghiamo una mano, un aiuto e poi ci consoliamo con “aiutiamoli a casa loro”.
Oggi, come negli anni 30, le grandi democrazie non vogliono vedere. 

Usa, Canada, Gran Bretagna e altri Paesi avrebbero potuto accogliere i rifugiati ebrei già alla fine degli anni Trenta, ma si rifiutarono. Nel 1938, alla conferenza sui rifugiati ebrei che si tenne a Evian-les-Bains, in Francia, parteciparono 32 Paesi. Nessuno, tranne la Repubblica Dominicana e la Bolivia, rivide le proprie quote d’immigrazione. Una colpa grave, accusa oggi il Centro Simon Wiesenthal, organizzazione ebraica internazionale per i diritti umani. Non solo: nel 1939, 900 ebrei, tra cui molti bambini, salparono da Amburgo sul transatlantico di lusso St Louis alla volta di Cuba, sperando di raggiungere così gli Stati Uniti. Giunti all’Havana, furono rispediti in Europa. Almeno 250 di loro sono morti nell’Olocausto
[Dal Fatto quotidiano del 26 gennaio 2015].

Il Sant Louis

Intervista dal TG1, Sami Modiano, uno dei pochi superstiti italiani ai campi di concentramento, ha detto che non si possono dimenticare le violenze, le torture, per queste non c'è alcun colpo di spugna che possa spazzar via tutto. Perché una parte di lui è rimasta a Birkenau.
Dimenticare non si può.

Testimoniare e ricordare, affinché non accada, è un dovere.

26 gennaio 2018

L'Italia divisa in due


L'immagine, dopo l'incidente del convoglio Trenord a Pioltello, è quella dell'Italia divisa in due: nord e sud ma, in modo ancor più netto, tra l'Italia che ha i mezzi (economici, le conoscenze giuste, gli agganci giusti) e quella che invece deve arrangiarsi.
Piacerebbe che in campagna elettorale si discutesse di questo, la sanità pubblica di qualità per tutti, la scuola pubblica con insegnanti ben pagati e motivati e scuole che non cadono a pezzi.
E, infine, il trasporto pubblico (perché solo gli economisti del mondo su carta possono pensare ad un servizio privato che si occupi anche dei pendolari) su rotaia che funzioni.

Invece siamo qui ancora a dover ribadire l'importanza della memoria, in un Europa preda dei partiti xenofobi e in un Italia dove si fa a gara per chi sta più a destra.
La destra italiana, fintamente liberale che in questi anni ha puntato sulla sanità privata in mano agli amici, sull'alta velocità e ora sulla flat tax.
E la sinistra che invece che fare cose di sinistra, ha scelto di inseguire la destra.

La squillo e il delitto di Lambrate di Dario Crapanzano


Incipit

Furono una pacca sul sedere e una strizzata d’occhio a imprimere una svolta decisiva alla vita della ventenne Margherita Grande, per tutti Rita.
Accadeva nell’anno di grazia 1951 alla Trattoria del Sole in via Melzo, a Milano, dove Rita lavorava come cameriera ai tavoli già da circa quattro anni, con notevole soddisfazione dei titolari e dei clienti... maschi in particolare. Se i primi apprezzavano la serietà e l’impegno che la ragazza metteva nello svolgere il suo compito, i secondi restavano estasiati davanti alla sua bellezza fuori del comune: infatti, a un viso dai lineamenti fini, illuminato da due intensi occhi castani e incorniciato da lunghi capelli dello stesso colore, faceva pendant un corpo alto e slanciato dalle forme provocanti, che nemmeno il più modesto dei vestiti, come un grembiule da cameriera, riusciva a mortificare. Una voce dal timbro profondo dava il tocco finale al fascino della giovane. Che era anche dotata di una vivace intelligenza, di una spontanea carica di simpatia e di un carattere deciso e volitivo.

Dario Crapanzano ci regala un nuovo personaggio nel suo ultimo giallo, ancora ambientato nella milano anni '50: non più il commissario Arrigoni, il bonario Maigret meneghino che abbiamo conosciuto e apprezzato dal quel primogiallo in via Tadino, sulle case di ringhiera.
In questo romanzo incontriamo Margherita Grande, detta Rita, una bella ragazza di 21 anni, diventata capofamiglia per la morte di entrambi i genitori e che conosciamo sui tavoli della trattoria di via Melzo della signora Rosa.

La vita, così generosa in quanto a doni di natura, non le aveva però riservato solo rose e fiori: nata in una famiglia di modesti lavoratori, a soli tredici anni aveva perso il padre Amintore, travolto da uno sconosciuto mentre si recava al lavoro in bicicletta. In piena guerra, tra disgrazie familiari e bombardamenti, Rita riuscì per miracolo a terminare le scuole Commerciali, dove, da brava e coscienziosa studentessa, si diplomò con il massimo dei voti. La madre Emilia, guardarobiera in case private, in quegli anni era quasi disoccupata e, senza il sostegno di un marito, faticava a tirare avanti, perciò l’aveva spedita con i fratellini Francesco e Renato, gemelli, dalla nonna Angiolina a Trezzano sul Naviglio, lontano dalle macerie della città. In campagna, grazie anche alla scarsa ..

La svolta nella vita di Rita arriva con l'incontro con la signora Giulia Vergani, la signora della pacca del sedere che le da un appuntamento nel giorno successivo per discutere di una proposta di lavoro.
Di quale lavoro si tratta? Ricevuta Rita nella sua villa Liberty in via monte Rosa, la signora Giulia dopo una breve intervista per conoscerne il carattere, arriva al punto

«Ti parlerò apertamente» riprese la Vergani.
«Io gestisco una casa di incontri o, se preferisci, casa di appuntamenti, dove alcune belle ragazze, più o meno della tua età, si intrattengono con persone di sesso maschile. Pochi giorni fa una di loro mi ha lasciato per motivi familiari, e sto cercando la sua sostituta...»

Dopo una notte passata a riflettere sull'inusuale proposta, Rita decide di accettare la richiesta diventando così, assieme alle altre due ragazze Carmen e Vanna, la terza del trio della meraviglie di via Monte Rosa.
Non un “bordello” qualsiasi, ma una casa di appuntamenti frequentata da una clientela di un certo tipo, magistrati, giornalisti, avvocati, avvocati, attirati dalla bellezza (procace, come andava di moda una volta) delle ragazze ma anche dalla loro capacità di stuzzicare la “fantasia” dei clienti

Grazie al suo senso dell’umorismo e a una spiccata tendenza all’autoironia, nonché a una istintiva dote per la recitazione, si divertiva a soddisfare certe bizzarre richieste. Per esempio un alto prelato, eminenza della Curia romana, ovviamente in borghese e sotto mentite spoglie, pretendeva di intrattenersi con lei vestita con un austero abito monacale, ..

La vita di Rita cambia in modo significativo: certo il lavoro la costringe ad incontrare uomini che, fantasie a parte, le chiedono solo quello, ma i turni di lavoro sono meno pesanti mentre più pensate e il nuovo stipendio (si parla di 40mila lire). In casa Grande si può mettere a tavola un pranzo più ricco e, soprattutto, ora ai due fratellini può consentire di accedere agli studi superiori.
Cosa che a Rosa non era stata possibile: una lacuna che ora, frequentando la biblioteca della casa di via Monte Rosa, può ora colmare, anche perché la signora Vergani la spinge a leggere e ad informarsi, per essere in gradi di imbastire una conversazione di un certo livello coi clienti.
Tra i libri, Rosa scopre i gialli di Maigret e di Raymond Chandler, “ .. uno scrittore americano di cui non aveva mai sentito parlare, del resto poco noto anche alla maggior parte dei lettori italiani. Il protagonista della storia, un investigatore privato americano sui generis, Philip Marlowe”.

La vita di Rosa scorre così, tra gli appuntamenti coi suoi clienti e le serate coi suoi amici dell'infanzia che incontra al Don Rodrigo, un'osteria in via Felice Casati:

Oltre a fornire in abbondanza vino e sanguis, come erano chiamati i panini imbottiti con una improbabile traduzione meneghina del termine sandwich, il Don Rodrigo era un punto d’incontro obbligato per gli amanti del folclore locale. Infatti tutte le sere il cantastorie Peppino Pedrini,

Finché una mattina non si presenta a casa sua Maurizio Minola, il fratello dell'amica Ines: le racconta che la sorella è stata arrestata dalla polizia con l'accusa di aver ucciso il fidanzato, Valerio Bongiovanni, con una coltellata.
E' stata infatti sorpresa, dagli agenti del commissariato, sul luogo del delitto, nella casa di Valerio a Lambrate, con in mano il coltello sporco di sangue.
Quale colpevole migliore per la polizia che non deve nemmeno fare uno straccio di indagine, considerando la professione del morto: un ligera della vecchia guardia, di quella criminalità meneghina sorta a Milano nel primo dopoguerra: ladri, ma almeno ladri con un codice loro, che se possibile evitavano di usare le armi

Non si può negare che questi giovanotti cresciuti troppo in fretta fossero malviventi che violavano più di un articolo del codice penale, ma non indulgevano alla violenza fine a se stessa. Molti, la maggior parte, si vantavano di non aver mai sparato un colpo..

Che fare, dunque, per salvare l'amica? Vista l'assenza di iniziative da parte della polizia e dell'avvocato difensore di Ines, tocca a Rita indossare i panni dell'investigatore e imbastire un piano di indagine:

Secondo Maigret, quando si inizia l’inchiesta su un omicidio, bisogna prima di tutto mettere sotto la lente d’ingrandimento la vittima, scavare a fondo nella sua personalità e ripercorrerne vita morte e miracoli.

Chi era la vittima? Quali potevano essere i suoi nemici, a parte altri ladri come lui, della Ligera?
Valerio era un dongiovanni, un bel ragazzo che faceva colpo sulle donne, attirate dalla possibilità di una relazione con un “bandito”.
Forse la pista passionale è quella giusta da seguire.
Ma come fare a trovare la donna giusta, tra le tante conquiste fatte dal bel Valerio?
Rita la “squillo” diventa Rita l'investigatrice, e si dimostrerà più in gamba dei veri poliziotti, seguendo gli insegnamenti appresi dai gialli del celebre investigatore di Simenon, a partire dall'interrogatorio della portinaia dello stabile del morto.

La squillo e il delitto di Lambrate” è un buon romanzo in cui ancora una volta si viene catapultati in un altro mondo quale era quello dell'Italia nel primo decennio dopo il secondo conflitto mondiale.
Quanto le macerie si accumulavano ancora ai lati delle strade (un terzo delle case di Milano era stata bombardata), le persone si spostavano col tram o a piedi, poche le auto e pochissimi gli elettrodomestici.
Incontreremo ancora Rita e forse non più nella casa di appuntamento, ma in altre vesti.

La presentazione dell'autore


La scheda del libro sul sito dell'editore SEM

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

25 gennaio 2018

Lo stato di salute dei treni - aggiornamento

Un altra riflessione sull'incidente di Trenord a Pioltello.
Sullo stato di salute dei treni e del trasporto su rotaia, tutti hanno colpe.
La regione Lombardia (la regione di Salvini, per intenderci) che in questi anni ha investito molto di più sul cemento e sulle inutili autostrade Brebemi e Pedemontana.
I governi centrali che, destra e sinistra, hanno tagliato fondi alle regioni e puntato più sull'alta velocità che sui pendolari.
Governi che, anche qui, destra e sinistra, hanno preferito spendere soldi (e debito che ricadrà sulle nostre spalle) su TAV, sul fantomatici ponti sullo Stretto.
Trenitalia che, assieme a Ferrovie Nord Milano, gestisce Trenord e anche i binari (anche quello che, dalle prime ricostruzione, è ceduto).

Risparmiateci lo scaricabarile, ora.
Non voglio veder plastici stasera da Vespa e non voglio vedere le solite facce addolorate che di fronte alle telecamere promettono "mai più". 

Lo stato di salute dei treni


Da Pendolare, la notizia del convoglio di Trenord deragliato a Pioltello (di cui ancora si sa poco delle cause) mi preoccupa non poco.
Quei treni li prendo anche io: quei treni che viaggiano su quei binari con quella manutenzione e quei controlli.
la prima cosa, ovvia, che si pensa, è che avrei potuto esserci anche io, su quei vagoni ora accartocciati.

Non è mera speculazione o sciacallaggio ricordare che della situazione dei treni (le condizioni di viaggio e anche della sicurezza) se ne parla solo in occasione degli incidenti.
Come quello accaduto sulla linea a binario unico in Puglia due anni fa (e linee a binario unico ce ne sono anche qui in Lombardia).
Perché forse, oltre a doverci preoccupare della razza bianca per l'invasione che non c'è, dovremo tutelare la salute dei pendolari. 

24 gennaio 2018

La pietra d'inciampo di Angelo Fiocchi


Angelo Fiocchi era un operaio dell'Alfa Romeo di Milano: assieme ad altri aveva organizzato il grande sciopero del marzo 1944 che aveva bloccato la produzione nell'Alfa e anche in altre grandi aziende del nord.
Per questo era finito sotto l'attenzione della polizia fascista: non fece in tempo a scappare e ad andare sulle montagne assieme ai partigiani, tradito da qualche spia dei fascisti fu deportato a Mauthausen nello stesso mese e morì nell'aprile 45 nel campo di Ebensee.
Non fece in tempo a vedere la fine della guerra né il crollo del governo fantoccio di Mussolini: se oggi viviamo in un paese libero, in una democrazia imperfetta (sotto molti aspetti, come quelli sull'uguaglianza) lo dobbiamo a persone come lui che hanno rischiato la vita, consapevoli del rischio che correvano. 
Forse per questo è stata sfregiata in viale Lombardia la sua pietra d'inciampo, uno dei tanti simboli diffusi per le strade di Milano che ricordano i "giusti", le vittime della Shoa: perché quel nome, quel simbolo, ricordava a tutti i fascisti la loro vigliaccheria, la loro miseria.
Per questo è giusto ricordare cosa è stato, anno dopo anno, per questo è giusto tenere viva la memoria: per ricordare a tutti cosa sia stato il fascismo (la negazione delle libertà, la violenza, la ruberia dei più forti fatta legge, le leggi razziali..) e quanto sia ancora alto il debito di questa Repubblica nei confronti di persone come Angelo Fiocchi.
Un italiano che non è stato tra gli indifferenti, quelli che facevano  finta di non vedere.

23 gennaio 2018

A pochi mesi dal voto

I vaccini, l'invasione degli immigrati, l'Europa matrigna, fuori dall'euro, la guerra alle fake news (da chi le alimenta).
E poi ancora: la flat tax come medicina che risolve tutti i mali, le mille proposte per abbassare le tasse e per i redditi di sostegno o cittadinanza tanto basta tagliare la spesa improduttiva (sulla carta).
Questa campagna elettorale, come le altre, sta sposando alcuni temi dove i leader dei partiti (anche aspiranti presidenti del Consiglio) se la cantano e se la suonano.
Peccato che questa campagna elettorale non sta affrontando alcuni argomenti che poi riguardano da vicino la vita delle persone: ieri sera alla fine del lungo servizio di Presa diretta sulla mala sanità, ho provato un forte senso di sconforto.
Per la fine della sanità pubblica che, se non dovesse arrivare una scossa, è destinata a finire male: al sud per i livelli di servizio in calo, al nord perché sta per essere consegnata ai privati.
Certo, poi possiamo fare tutte le campagne per i vaccini, obbligatori tutti quanti.
Ma la gente continuerà a morire per la malasanità, perché non può permettersi di spendere soldi per delle visite o per delle cure.
Oppure muore perché, mentre lavora (magari con un contratto a tempo) finisce in una sala satura di azoto e muore asfissiato.
Che è sempre meglio che non finire sparati dal coniuge, in uno dei tanti femminicidi all'italiana: dove cioè c'è la vittima e il carnefice che gira armato per il principio per cui io a casa mia tengo tutte le armi che voglio (come nel caso di Bellona).

Perché, oramai dovrebbe essere chiaro a tutti: della sicurezza negli ospedali, in casa propria dal coniuge o dal fidanzato, al lavoro, non interessa nessuno.
Ecco, ieri sera vedevo le immagini dei neoralureati in medicina che, formati coi soldi nostri, vanno all'estero per la gioia di inglesi, svizzeri, tedeschi.
Tra pochi mesi saremo chiamati al voto e dovremo scegliere e io faccio ancora fatica a scegliere il meno peggio.

Presa diretta – medici in prima linea

Il sistema sanitario è tenuto a garantire, per tutti gli italiani, i livelli essenziali di assistenza: dovrebbe essere un vanto del nostro sistema sanitario.

Eppure ci sono zone dove i livelli minimi, i LEA, non sono garantiti: come a Bagnoli dove si muore di tumore più che nel resto della città. Proprio qui sono stati tagliati presidi sanitari col risultato che, le persone devono aspettare mesi per una visita.

Qui, proprio qui, il servizio pubblico sanitario dovrebbe essere rinforzato: invece tutti i servizi sono stati concentrati in una sola ASL.



Secondo i dati ISTAT la Campania è ultima per il rispetto dei LEA e dunque ultima per aspettativa di vita: è difficile anche capire di che malattia devi curarti.

Mesi per le ortopediche, mesi per le visite cardiologiche: si aspettano in media 111 giorni per una risonanza magnetica e quasi lo stesso per una mammografia. E le donne devono andare nelle strutture private, dove si paga per un controllo.



La dottoressa Tommasielli a Soccavo fa parte di quei medici che tengono in piedi il sistema pubblico, in una zona di frontiera: strutture depotenziate, code lunghissime, macchinari che non funzionano.

La gente o va dal salumiere o dal medici – racconta.



Così la dottoressa si è inventata la giornata dei controlli, una volta al mese: Giuseppina Tommasielli è un medico di prima linea, combattono una guerra a mani nude.



A persone come lei è dedicata questapuntata di Presa diretta: e pensare che se i medici italiani fossero messi in condizione di operare in modo produttivo, potrebbero ottenere risultati straordinari..



Sulle ambulanze per Napoli.

1 milione di abitanti, che diventano 1,5 milioni la mattina: di giorno girano 17 ambulanze, di notte solo 13 (dovrebbero essere per legge 24).

E la gente esasperata dai ritardi se la prende col loro, con gli operatori del 118, sfogando su di loro la rabbia: su infermieri vecchi, su paramedici ai limiti della pensione.

Poche ambulanze che spesso sono dirottate dove non serve e così succede che persone che ne avrebbero bisogno ci muoiono.



Nei Pronti Soccorso ci sono persone che attendono il turno, perché sono stati tagliati i posti: è la regione con meno posti la Campania.

Al San Paolo le formiche avevano invaso il reparto di medicina generale: l'ospedale necessitava di essere pulito e di essere ristrutturato: il direttore sanitario Vito Rago spiega che i tempi per ricevere i fondi per la ristrutturazione sono lunghi, ora l'ospedale è in ginocchio per tutti i tagli subiti.

Pochi medici, pochi macchinari, mentre i malati sono in crescita: il presidente De Luca ha deciso di ridimensionare gli ospedali nel centro storico, ospitati in palazzi poco sicuri, per concentrare tutte le specialità in una struttura grande e nuova.

LA struttura di Ponticelli però, è avveniristico solo sulla carta: i costi per la sua realizzazione sono così lievitati che è intervenuta la magistratura, dopo dieci anni l'Ospedale del mare è stato inaugurato nel 2015.

Oggi l'ospedale lavora solo ad un terzo delle sue capacità: è una struttura che ha bisogno di altro personale ma non si possono assumere perché la regione è sotto un piano di rientro, per il suo debito sulla sanità.



I medici campani, laureati e specializzati in questa regione oggi devono andare a lavorare fuori regione: è un vero peccato.

Peccato che finché ci saranno tagli, i livelli minimi di assistenza non potranno migliorare e così la regione non può uscire dal commissariamento. Un controsenso.



La regione Campania è in cima alle classifiche per morti evitabili, come quella di Antonio Scafuri: è morto in una notte di agosto del 2017, dopo essere stato 4 ore in attesa nell'ospedale Loreto Mare.

Su una barella, in codice rosso, per essersi rotto il bacino e la spalla.

Al Loreto Mare mancava il macchinario per fare quel controllo che serviva ad Antonio, mancava l'ambulanza col rianimatore per trasferirlo.



Loreto Mare è anche l'ospedale dei furbetti del cartellino, dove la direzione dell'ospedale non si era accorta di questo personale che non lavorava, provocando un danno erariale che pagheremo noi.

Gli ispettori del ministero hanno portato alla luce la disorganizzazione in questo ospedale: è stato questo sistema che ha ucciso Antonio, lo scaricabarile, l'assenza di responsabilità, l'assenza di interesse nel volersi occupare del paziente.

I giudici stanno ora indagando sei medici della struttura, vedremo come andrà avanti.



MEVI calcola in 53mila le morti evitabili in sanità, per lo più al sud.



Ignazio Brasile è nato a Trabia, qui si è sposato con Emanuela: il figlio soffre di una grave malformazione cardiologia, dalla nascita.

In Sicilia manca un centro per curare il piccolo, così la coppia è stata costretta a spostarsi fuori regione e a loro carico tutti i costi dello spostamento, del vitto e dell'alloggio. Sono loro che devono pagare le falle del sistema ospedaliero siciliano.



Perché un'ospedale pediatrico di eccellenza a Palermo doveva esserci dal 2010. Il cantiere è ancora lì, però. Due aziende fallite e 58 ml già spesi, per uno scheletro di cemento.

La regione ha così firmato una convenzione con un ospedale privato, Il bambin Gesù, per un costo di 7ml il primo anno, altri milioni negli anni successivi.

Ma non ci sono posti per tutti i bambini della regione: 12 posti letti e solo 4 per la chirurgia intensiva, per tutta la Sicilia e la Calabria.



I coniugi Brasile si sono spostati al San Donato a Milano: soldi pubblici viaggiano con loro dalla Sicilia (che paga l'operazione) alla Lombardia: dove sono abituati agli emigranti per le cure.

Al San Donato hanno macchinari all'avanguardia, grazie al miliardo che arriva dalle regioni del sud per far curare i loro cittadini e i 18 miliardi del fondo sanitario.

Punto di forza è però l'organizzazione del team, che si riunisce tutti i giorni per discutere i casi, un'organizzazione che ruota attorno al paziente.



L'intervento di Manfredi è andato bene e così dopo dieci giorni il piccolo è potuto tornare a casa.



Il servizio di Sabrina Carreras parla di due paesi, nord e sud con un divario in crescita che forse non è più colmabile.

Del divario ne ha parlato Iacona col dottor Ricciardi, dell'IIS: il divario è cresciuto nel 2001 con la riforma costituzionale.

In questi 15 anni è cresciuto il divario tra sud e nord: al sud ci sono le aspettative di vita peggiori. Le donne del nord si ammalano di più di quelle del sud, ma possono curarsi meglio rispetto a quelle del sud.

In molte regioni le persone anziane vorrebbero curarsi a casa ma non possono, solo l'Emilia riesce a farlo, mentre al sud c'è alta ospedalizzazione.

La peggiore zona in cui nascere è la regione metropolitana di Napoli – spiega Ricciardi.

C'è un circolo vizioso tra riduzione dei servizi e debiti di queste regioni: serve cambiare governance, aspettando un miglioramento ogni anno.

Lo Stato centrale non può aiutare le regioni in crisi, servirebbe un nuovo assetto nel rapporto Stato regioni oggi bloccato dalla Costituzione.

Va messo in sicurezza il sistema sanitario nazionale, al nord ma soprattutto al sud: l'attuale assetto non funziona, servono persone competenti, specie nei posti di frontiera.



La sanità non si può migliorare a costo zero: ospedali rinnovati, personale preparato, pazienti che non si trovano stressati in ospedale.



Ci sono ospedali ben gestiti (anche politicamente) dove i risultati si ottengono: all'ospedale pubblico di Santo Stefano si addestrano ogni settimana per il parto infermiere, anestesiste, ostetriche.

Le lesioni per Distocia di spalla sono state ridotte in modo drastico, un solo caso all'anno: tutto grazie all'affiatamento del personale.

Grazie a strutture pensate per le emergenze e anche per le operazioni ordinarie: strutture ergonomiche, le persone non si devono spostare, una control room monitora la situazione per ridurre i rischi clinici.

Qui, in Toscana, non ci sono carenze di personale, che viene addestrato a ridurre il rischio clinico che significa meno rischi per la salute dei pazienti.



Gli ospedali in Toscana, specie quelli per i bambini come il Meyer, sono all'avanguardia: si usa la musico terapia e la pet terapy. Una scuola dentro gli istituti, per non far perdere le lezioni ai bambini.

Qui i manager della sanità non si occupano solo dei conti, che sono in ordine, ma del paziente, delle cure, del personale (che qui è stato stabilizzato ed ha pure un'età media bassa).



Tocca smentire l'ex presidente Monti, quando, anni fa si chiedeva se ci potevamo ancora permettere un sistema sanitario pubblico.

Si può fare sanità pubblica di qualità, coi conti a posto.

Come a Prato, come a Forlì e in altre strutture di eccellenza.

In Emilia hanno spostato le cure in prossimità delle persone, nelle case della salute, dove le persone possono fare esami, prenotare esami, fanno medicina attiva, il tutto per evitare che la gente affolli gli ospedali.

E invece cosa succede, che i giovani medici non trovano occupazione stabile in Italia e se ne devono andare via dal nostro paese.  
Oppure a cur
Con tutto il bisogno di medici che abbiamo.. 
Di questo dovremmo occuparci, anziché continuare a discutere di vaccini e no-vax, di immigrati che ci rubano il lavoro, di posti di lavoro creati o da creare.