13 gennaio 2018

Fiori sopra l'inferno, di Ilaria Tuti




Non scordare: noi camminiamo sopra l’inferno, guardando i fiori.
 
Kobayashi Issa (1763-1828) 
Austria, 1978 
C’era una leggenda che gravava su quel posto. Una di quelle che si appiccicano ai luoghi come un odore persistente. Si diceva che in autunno inoltrato, prima che le piogge si tramutassero in neve, il lago alpino esalasse respiri sinistri.Uscivano come vapore dall’acqua e risalivano la china insieme alla bruma del mattino, quando la gora rifletteva il cielo.
Era il paradiso che si specchiava nell’inferno.Allora si potevano sentire sibili lunghi come ululati, che avvolgevano l’edificio del tardo Ottocento, sulla riva est.La Scuola. Lo chiamavano così, giù in paese, ma quelle mura avevano mutato destino e nome diverse volte nel tempo: residenza di caccia imperiale, comando nazista, preventorio antitubercolare infantile.

Sono rimasto rapito da questo thriller, che è qualcosa di più, molto di più che il solito giallo su un serial killer.
Non avevo mai letto, fino ad oggi, un libro in cui fossero presenti la morte, il dolore, la tensione narrativa e la tensione per una caccia all'uomo. Il mostro, l'assassino che ha ucciso e che ucciderà ancora, e che va fermato.
No, nel romanzo di Ilaria Tuti, ambientato nelle sue montagne alpine, nel paese inventato ma reale (come forse la Vigata di Camilleri) di Travenì, c'è anche l'amore: l'amore di una madre per i propri figli, l'amore di una donna per quel figlio che non ha mai avuto. L'amore di un padre, che poi non è un vero padre, nei confronti di un figlio che non è suo figlio, ma l'unico essere umano con cui avere un rapporto umano ..
L'amore, il dolore, la morte e anche l'ostilità nei confronti di coloro che vengono da fuori, i nemici, i forestieri, gli invasori: siamo sulle Alpi, sulle Dolomiti, in pieno inverno, nel piccolo paese di Travenì. Una comunità piccola e chiusa che vive da sempre seguendo antichi rituali, come i diavoli che discendono la montagna nella notte di San Nicola, con le fiaccole che incendiano la neve.
Una piccola comunità gelosa dei suoi segreti, dove ci si conosce tutti e dove chi viene da fuori è considerato uno straniero.
Il corpo giaceva sull’erba, coperto di brina. Il candore della pelle contrastava con il nero dei capelli e del pube. Sullo sfondo, il verde cupo della natura di montagna.

Qui viene ritrovato il cadavere di un uomo, un tecnico che stava lavorando al nuovo progetto di un impianto sciistico: chi l'ha ucciso ha infierito a mani nude sul volto, strappandogli gli occhi, ma ricomponendone il cadavere, proteggendolo dagli animali del bosco con delle trappole.
Altro particolare misterioso, ha lasciato un pupazzo a guardia del corpo, forse, vestito con abiti del morto e con materiale proveniente dal bosco.

Teresa fissava gli occhi fatti di bacche.«Dobbiamo capire dove le ha prese l’assassino» disse.
«Non ne ho viste là attorno e non credo siano un dettaglio di poco conto.»Il sostituto procuratore annuì.«Che cosa possono significare?» chiese.Teresa non ne era ancora certa, ma aveva un sospetto.
«Per lui era importante che ci fossero» disse.
«Se il totem rappresenta l’assassino, allora il killer sta osservando qualcosa.»Ma cosa? La vittima mentre stava morendo o il villaggio poco distante? Durante il sopralluogo, Teresa aveva notato che da quell’angolazione il fantoccio sembrava guardare il campanile della chiesa di Travenì, e quel particolare l’aveva inquietata.«L’assenza della bocca lo rende inespressivo» fece notare Gardini.
 
«In questo modo, l’assassino ha schermato le sue emozioni» gli spiegò lei.
«È impossibile dire che cosa abbia provato in quel momento, se rabbia o paura, tormento o esaltazione.»
 
Il sostituto procuratore emise un sospiro che vibrava di tensione.«Non ha lasciato indizi sui moti interiori che lo hanno spinto ad agire» mormorò. 
«Non ha voluto lasciarli» lo corresse Teresa.
«Non credo si tratti di una dimenticanza casuale.»
 
«Che cosa ti fa propendere per un’ipotesi del genere?»«Il fatto che sia stato così meticoloso nella preparazione della scena. Deve averci fantasticato parecchio. Era esattamente così che dovevamo trovarla. Ricordiamoci delle trappole. È un perfezionista. » 
«Quindi ci ha portati fino a un certo punto ma poi ha scelto di nasconderci i suoi pensieri.»Teresa annuì.«Mi chiedo se anche l’assenza del naso sia un occultamento inconscio» disse.
«Un organo di percezione più sensuale della vista, intimamente legato alla libido…»«Se così fosse, che cosa ne deduci?»[..]
 
«Il ritratto che intravedo è ancora rozzo» disse. «Se davvero l’occultamento dei sensi non è casuale, mi fa pensare a una personalità fortemente repressa, che vive una sessualità malata. Ma è ancora presto per dirlo» tornò a chiarire. 
Le immagini successive erano particolari dell’orologio della vittima: era stato allacciato al contrario al ramo che funge va da polso, con il quadrante verso il legno. Teresa non aveva idea di che cosa significasse. 
«Gli occhi della vittima?» chiese il questore in un sussurro, le dita incrociate davanti ai baffi brizzolati. Teresa le aveva viste tormentarsi per tutto il tempo. 
«Non li abbiamo trovati» rispose.
«Colpa degli uccelli, forse. Oppure sono un trofeo che l’assassino ha portato con sé. Hanno un forte valore simbolico. Gli occhi scoprono il mondo, lo osservano, lo misurano » spiegò gesticolando.
 
« Guardano e desiderano: forse qualcosa che non avrebbero dovuto? Sono lo specchio dell’anima, si dice. Qualcosa di vero deve esserci, se spesso gli assassini li coprono alle vittime per non sentirsi giudicati, perché l’intento di uccidere non venga meno.»

Ad indagare su questo delitto, macabro, dalla città arriva il commissario Teresa Battaglia, esperta profiler di assassini seriali come si teme possa essere anche questo.
Nella neve e nel fango nel bosco verrà raggiunta dall'ispettore Massimo Marini, appena inserito nella sua squadra, col quale porterà avanti un rapporto di incontro-scontro, per la differenza tra i due caratteri.
Tanto burbero, ruvido anche, quello di Teresa.
Tanto bisognoso di attenzioni, quasi da seduttore, quello del giovane Marini.
Così diversi eppure accomunati da un segreto, sul loro passato. E, per Teresa, un segreto sul suo presente per una malattia che potrebbe pregiudicare la sua professione.

Saranno loro a cercare di dare un nome all'assassino, un volto e un perché.
Un assassino capace di tanta violenza ma anche di tanta meticolosità.
Un assassino con un'enorme forza, che conosce i boschi e che sa come muoversi senza lasciare tracce.
«Ritualità. Mutilazione. Staging. Devo continuare? Sembra... sembra un inizio.»
«L’inizio di cosa?» Lei lo guardò come se fosse ovvio.
«Di una storia di morte» disse. Massimo sedette di fronte a lei.
«Crede che ucciderà ancora?»

Un assassino che, purtroppo, farà altre vittime: un ragazzo che verrà aggredito, una donna in macchina, un altro uomo ...
Cosa lega tra loro le vittime, perché vengono scelte dall'assassino?
L'indagine di Teresa e Massimo si scontra col clima di omertà nel paese. Intuiscono che i delitti sono legati a quei segreti tra le famiglie del paese, storie di tradimenti e di piccole violenze nel chiuso delle case. Violenze che colpiscono proprio le persone più vulnerabili come le donne e i bambini.

Ecco a cosa assomigliava lo spettro quando la scrutava dalla foresta: a un teschio bianco e lustro. Lucia era sicura che anche Mathias ne avesse visto uno, il giorno antecedente.

E coi bambini, almeno con una bambina dei bambini del paese, il “mostro”, l'assassino, sembra avere uno strano rapporto, fatto di sguardi e di doni.
Mettendo assieme tutti i tasselli della storia, Teresa riesce a tracciare il profilo della persona che stanno cercando: perché Teresa, oltre che il suo segreto, ha anche un dono, la capacità di saper guardare oltre i fiori, oltre le apparenze. Per comprendere la mentalità degli assassini bisogna saper pensare con loro, empatia, comprendere il dolore che per anni ha scavato un solco nella loro vita

«Le sto chiedendo quanto è bravo.»Lei scosse la testa.
 
«Non è bravo, è feroce. Ma c'è davvero differenza fra le due cose? Io non lo so. E' forse bravo un lupo che divora la preda o è semplicemente se stesso?» 
Massimo ricordò il discorso iniziato nel bosco dietro la casa dei Kravina. 
«Sta dicendo che lui è così e non può evitarlo» disse. 
«Suona male, parecchio male.»Lei sorrise. Sembrava stanca o forse era solo annoiata dalle chiacchiere di quello che considerava un neofita, nemmeno troppo capace. 
«Forse loro vedono il mondo meglio di noi» disse in un sussurro. 
«Vedono l'inferno che abbiamo sotto i piedi, mentre noi contempliamo i fiori che crescono sul terreno. Il loro passato li ha privati di un filtro che a noi invece è stato concesso. questo non vuole dire che abbiano ragione a uccidere, o che io li giustifichi.» 
«E allora che significa?» 
«Che in un lontano passato hanno sofferto e quella sofferenza li ha trasformati in ciò che sono. Io questo non lo posso dimenticare.» 
Era la prima volta che quella donna diceva qualcosa di personale e lasciava intravedere il suo vissuto, per quanto in modo nebuloso.Massimo si aggrappò a quella fune che lei gli aveva lanciato dal suo mondo, certo che se ne sarebbe presto pentita, ritirandola. 
«Non lo può dimenticare? Che intende dire?» le chiese, temendo di spingersi troppo oltre, ma incapace di fermarsi.Lei, però, sembrava persa in altri pensieri. 
«Perché io, come loro, vedo oltre i fiori. Vedo l’inferno» mormorò.

L'altra storia, la genesi dell'orrore

Il racconto si muove su due piani letterari, la storia ambientata nel presente, nel freddo della neve.
E la storia del passato, che comincia con una scuola, sperduta sulle montagne, un orfanatrofio dove si respira un'aria cupa, dove non si sentono i pianti e le voci dei bambini. Ma solo silenzio.
Il silenzio dell'anima.

Una nuova alba stava sorgendo sulla Scuola. La luce era quella di un sole malato: non scaldava, non rincuorava. Avanzava lenta sulla pietra della piccola cappella conquistando l’ombra, ma essa stessa era ombra sotto mentite spoglie.

Succedono cose strane dentro questa scuola, dove i bambini non hanno un nome ma solo un numero. Come il numero 39. E dove viene chiesto alle persone che vi lavorano di dimenticare:
Insieme calarono i cappucci bianchi sul viso. «E ricorda» mormorò, prima di abbassare la maniglia. «Vedi, osserva, dimentica.»

Il mistero di quanto succede nella scuola riguarda i delitti che sono avvenuti in valle: un mistero che farà vedere con occhi diversi il mostro, che non è un mostro.
Mostri sono semmai altri, forse persino gli abitanti di quel paese dall'aspetto fiabesco: mostri che compiono le loro violenze nei confronti dei bambini, “bambini che sopravvivono, che lottano, che amano nonostante tutto”.

Tutto è perfetto in questo romanzo che non cala mai di ritmo, asciutto nello stile, mai pesante e nemmeno troppo truculento. La vita e la morte sono raccontate senza troppi particolari macabri, con grande rispetto.
Perfetta l'ambientazione, i “panorami annichilenti” della valle e delle montagne silenziose.
Perfetto il dualismo tra la coppia di investigatori che, nonostante gli screzi iniziali, si completeranno nell'evolversi delle indagini, in un crescendo di tensione fino ad un finale che, almeno a me, mi ha toccato nel profondo.
Incontreremo il commissario Battaglia alle prese con altre indagini:
Aveva appena vinto una sfida e un’altra ancora più importante la aspettava con se stessa. Era sempre lei l’artefice della propria fortuna, lo sarebbe stata anche in futuro.

La scheda del libro sul sito dell'editore Longanesi
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