15 febbraio 2018

Il caso Kellan di Franco Vanni






Incipit
Fino a quando la ragazza non disse la prima parola, Steno Molteni fu convinto di essere solo nel letto. Poi lei parlò, spazzando via il dormiveglia e quell'idea sbagliata.
«Dove sono?» domandò.
«Nel mio letto», rispose Steno.
«Che ore sono?» rilanciò la ragazza.
Fuori c’era tanta luce. Per quanta luce possa esserci a Milano a inizio dicembre, con tutta quella neve che veniva giù.

Ci sono persone che, seppure incontrate da poco, per il loro carattere, per come ti parlano, dopo poco ti sembra di averle conosciute da sempre.
Questa è l'impressione personale dopo le prime pagine de Il caso Kellan, secondo noir del giornalista di Repubblica Carlo Vanni con protagonista Steno Molteni, cronista de La Notte: un buon giallo ambientato in una Milano sepolta dalla neve (una delle poche cose che differiscono dalla realtà) dove in una fredda mattina il corpo di un ragazzo viene scaricato davanti all'ospedale Fatebenefratelli.
Si scoprirà poi che il morto, Kellan Armstrong, è il figlio del console americano a Milano, e che è stato picchiato e poi portato in ospedale da due individui, poi scappati.
E' un omicidio che per gli agenti assegnati al caso è una bella patata bollente, per tutta l'attenzione rivolta sul caso, sia da parte dell'Ambasciata che del Questore (amico del console tra l'altro).

L’agente scelto Cinà Raffaele, detto Scimmia, era fermo immobile sul marciapiedi, di fronte all’ingresso dell’hotel.
Per questo l'agente scelto Cinà decide di chiedere aiuto al vecchio amico Stefano Molteni, detto Steno.
Un giornalista che scrive di cronaca nera per il settimanale La notte, un laghee di Bellaggio, trapiantato a Milano e ora domiciliato all'hotel Villa Garibaldi, in una stanza che è diventata la propria casa, grazie all'amicizia del padre col portiere di questo albergo, l'imperturbabile signor Barzini.

Incontriamo Steno proprio in questa camera, reduce da una serata allegra con una ragazza, anche lei milanese di adozione (termine brutto, ma giusto per capirci), Sabine, eritrea ma milanesissima per essere cresciuta sotto la Madunina.
«Mamma mia», disse Steno senza volerlo. Era bella. Molto bella, anche più di come la ricordasse. Una di quelle sorprese che al risveglio dopo una notte con una conosciuta in discoteca non capitano spesso.
Il brusco risveglio arriva proprio dalla telefonata dell'amico poliziotto, Raffaele Cinà detto Scimmia, che gli chiede una mano.

« ...Ti prego, ti supplico, se scopri qualcosa prima di allora, dimmelo. Mio padre lo diceva sempre che tu le indagini le sai fare. Per me è importantissimo. Mi hanno messo su questo caso perché so l’inglese, ma mi cago sotto.»
Nonostante le sue particolarità (vivere in una stanza d'albergo, girare per Milano su una Maserati Ghibli degli anni '70), Steno è un (giovane) giornalista capace di fare il suo lavoro: sa come muoversi per Milano, sa a chi far domande, sa come mettere assieme i fatti e trovare una pista.
In cambio dell'esclusiva della notizia, da pubblicare nel prossimo numero de La notte, si mette a disposizione dell'amico e inizia così una sua inchiesta, non del tutto autorizzata, che parte dalle poche carte della relazione di servizio e dalle immagini delle telecamere notturne attorno all'ospedale.
Che porta ad una jeep russa, molto particolare.
Intrufolandosi nella stanza della dottoressa Tajani, il pm che segue il caso, riesce ad avere altre informazioni: la ferita alla nuca, probabile causa del decesso, l'auto che ha scaricato il ragazzo, poi dileguata via..

Steno riesce a ricostruire un contesto di quanto potrebbe essere accaduto quel freddo lunedì notte: una storia che parte da incontri clandestini di omosessuali, che si mettono in contatto tramite delle chat online, incontri che avvengono nella “buca”, il boschetto sotto il ponte della Ferrovia vicino Cadorna, in zona Triennale.
Steno entra in contatto con un signore, strano, con una cerata che non si toglie mai, che gli racconta di un'aggressione ad una coppia di ragazzi.
«Pare che qui nella buca ieri sera sia successo un bel casino», disse l’uomo con la cerata.
«Non che sia una novità, ma sembra che si siano menati. Almeno così dicevano oggi pomeriggio alcuni ragazzi in chat...»

Storia che gli viene confermata da un altro gruppo di ragazzi, che conoscono il giro di incontri attorno alla “buca”, che si ritrovano in un locale dedicato a Harvey Milk, un'icona per i diritti dei gay.
Grazie all'aiuto e alle foto di Sabine, girando per le strade innevate di Milano (e di Torino), arriverà ad una verità sulla morte di quel ragazzo, il caso Kellan, che poi troverà posto sul numero de La notte.
Steno tolse la giacca, si appoggiò alla scrivania di Roberto e raccontò tutta la storia dall’inizio: il figlio del console americano morto al Fatebenefratelli, la Lada Niva, la buca di notte, l’uomo con la cerata, il commercialista di Torino, gli Spazzini.
Ma, in parallelo all'indagine della polizia (e a quella di Steno), c'è un'altra indagine che il padre di Kellan, Liam Armstrong, affida ad un amico, all'apparenza un semplice cuoco del ristorante Hanoi in via Ugo Foscolo, zona Duomo, nella realtà qualcosa di più.
Han aveva imparato l’italiano a Milano, dove aveva vissuto quasi tre anni da ragazzo facendo l’aiuto cuoco all’Antica trattoria della Pesa. Aveva scelto Milano, e la Pesa in particolare, perché in quelle cucine aveva lavorato suo zio Ho.
Ho è Ho Chi Minh, che effettivamente è stato residente a Milano negli anni '20.

Questa persona si chiama Han e viene dal Vietnam, lì dove ha conosciuto il padre di Kellan, allora agente della CIA.
Partendo dal cellulare e dal portatile, che la famiglia non ha dato subito alla polizia, anche Han seguirà una sua pista coi suoi metodi: partendo dagli amici di Kellan, dell'alta borghesia milanese, arriverà anche lei a scoprire il giro di incontri attorno alla “buca” e ad un gruppo di omofobi estremisti che vanno in giro a picchiare i gay.
«Ok. Comunque non sono cinese, sono vietnamita.»
«Non cambia niente. Il nostro mondo si divide in due: Milano centro e tutto il resto.»

E pure ad una sua verità sul caso Kellan, che sarà difficile da accettare per la famiglia.
Perché alla fine si scopre che i propri figli, anche se li vedi tutti i giorni, forse non li conosci del tutto.
Ora Carlotta [la madre di Kellan] avrebbe dato qualsiasi cosa perché quel bacio Kellan glielo avesse dato davvero, non solo a parole. Perché lei non se lo ricordava l’ultimo bacio che le aveva dato il suo unico figlio. Non se lo ricordava.

Il caso Kellan avrà così una sua soluzione, anzi due soluzioni: quella che verrà rilanciata sui giornali e accettata da tutti (un altro “Tonypandy”), perché è la notizia che tutti vogliono leggere.
E quella vera, che in questo romanzo si intuisce solo o quanto meno che Steno arriva ad intuire e Han ad avvicinarsi.

In questo secondo suo romanzo, Franco Vanni conferma le sue doti di buon giallista: ben congegnata la trama, interessanti e non banali i personaggi, sia quelli principali sia quelli che rimangono sullo sfondo, come l'amico Alberto, un senzatetto che però ha conservato il suo orgoglio, nonostante le notti passate al freddo.

Un romanzo che conferma anche la natura multietnica di Milano, perché in fondo quasi tutti i protagonisti sono milanesi di adozione: lo è Sabine e lo sono Steno e Scimmia (l'amico poliziotto) che a fine libro faranno pace al termine di una gara sulle salite verso al Ghisallo, in Brianza, affacciandosi a quel quadro dipinto dalla natura che è il Resegone.

La scheda del libro sul sito di Baldini + Castoldi
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Nessun commento: