30 marzo 2018

Il compimento è la pioggia, di Giorgia Lepore

Le nuvole sono una promessal’adempimento è la pioggiaproverbio arabo

Incipit
San Nicola 
Si fermò a guardare il mare. Doveva pensare, e per pensare aveva bisogno di quell'aria fredda, in piena notte. Fredda per modo di dire, a dicembre ancora si poteva stare in maglietta.Doveva pensare. Era successo tutto talmente in fretta, eppure lo sapeva che sarebbe finita così, prima o poi. Mentre usciva da quel posto maledetto - portava male, di sicuro - aveva sentito che qualcuno lo seguiva per i vicoli, gli occhi incollati dietro la schiena, i passi leggeri. Si era girato, nessuno.C'era puzza, c'era fumo, e tanta gente per strada, perché era il sei dicembre e il sei dicembre è la notte che non si dorme, è la notte che la chiesa sta aperta e tutti ci vanno...

Non si dorme, nella notte del 6 dicembre a Bari, festa di San Nicola, che si passa per le strade, perché non fa ancora freddo in questo inverno, o a sentire la messa in cattedrale.
Non tutti festeggiano: c'è la persona che troviamo nell'incipit, che non riesce a calmarsi dopo quello che ha fatto, e che si muove per le strade della città fino al porto, senza preoccuparsi delle macchie di sangue sulle mani..
E, dietro di lui, un fantasma che lo segue: non il fantasma della sua coscienza per quello che a fatto. Ma un'ombra umana che si muove senza essere vista e che segue quella persona ovunque vada, senza farsi vedere, lasciando tracce di pomodoro per terra, come un novello pollicino.

Non dorme, anzi non dormirà più nemmeno Ketty Camarda, che qualcuno ha ucciso nella sua casa, forse davanti i suoi figli che ora in quella casa non si trovano più.
Una morte è una cosa brutale, qualcuno che ti ha strappato il bene più caro, la vita. Ma per la povera Ketty, due figli, un compagno che è un poco di buono e che le voleva così bene da picchiarla e tradirla con le altre donne, la morte è stata proprio dura.
Così appare ai primi poliziotti che arrivano:

Entrando, Gerri capì che lo stato di alterazione della signora era più che giustificato. Un taglio profondo all'altezza del collo scendeva giù verso la spalla sinistra, un altro dal collo fino all'addome, passando tra i seni, sotto quella che un tempo doveva essere una camicia da notte di pizzo bianco.

Tra questi, l'ispettore Gerri Esposito (qui al suo terzo romanzo), giunto assieme alla collega Sara Coen: strano poliziotto, questo Esposito.
Non solo per i postumi della pallottola in testa, della ferita alla spalla. Strano perché è una di quelle persone capaci di entrare dentro la scena del delitto. Sentire su di sé quel dolore, quel sangue, quel peso sulle spalle:

Chiuse gli occhi un momento, pensando che forse era solo stanco, e una fitta potente gli attraversò il cervello, lasciandolo senza fiato.La testa. Non era ancora tornata a posto, e chissà se lo sarebbe tornata mai. Ecco, sì, doveva essere senz'altro quello, non c'era altra spiegazione possibile a quel senso di oppressione, di oscurità, di soffocamento. Quell'udire cose che non c'erano. Era come stare sott'acqua - già lo sapeva com'era, era stato quasi un mese così, immobile - e pensò che stava per perdere i sensi. 
Poi di colpo si sentì chiamare da qualcosa. Si guardò intorno. Il divano, il frigo, la dispensa, il lavello, l'armadio a muro nel piccolo disimpegno che portava alla stanza da letto.E poi la vide, in un angolo, quasi nascosta. La cassapanca.

Ecco, dove sono i bambini: si sono nascosti dentro la cassapanca, Jennifer e Kevin, appena hanno sentito arrivare quell'uomo, che picchiava sempre la mamma.
Sembra un caso semplice, questo.
Una donna uccisa in casa, un compagno che la picchiava e da cui non riusciva a separarsi del tutto.
E poi ci sarebbe anche la testimonianza della bambina, Jennifer, che pure avrebbe visto e sentito tutto: il sangue, le botte, e che ora chiede una promessa al poliziotto buono, che per primo l'ha abbracciata come se avesse avuto sempre a che fare coi bambini

Lo stava guardando in faccia, dura, fredda, determinata, arrabbiata come a volte lo sono i bambini quando non sanno ancora cosa vuol dire quella rabbia.. 

«Promettimi che lo prendi e lo uccidi».
 
«Noi non uccidiamo le persone». 
«Allora promettimi che lo prendi. Lo prendi e lo chiudi da qualche parte».

Ma non è un'indagine facile.
Non lo è perché Gerri non è un poliziotto facile.
La ferita, il dolore alla testa. Ma anche il suo carattere scontroso, la sua difficoltà nei rapporti, specie quelli con le donne, specie con la collega Sara, con cui ha anche avuto una relazione.
C'è quel vuoto, nel suo passato: l'abbandono della madre (“aspettami qui che arrivo”), l'adolescenza cresciuta con un prete di strada e una suora.
L'aspettare da sempre qualcosa che non arriva mai.
Il vedere le vite degli altri, la felicità degli altri, ma dal di fuori. Come una persona che osserva il mondo da una finestra ...
No, Gerri Esposito non è un poliziotto come tanti, di quelli che si accontentano della soluzione facile a portata di mano. Che in quei giorni a ridosso del Natale, quando tutti aspettano le ferie, sarebbe come una manna dal cielo.

Gli capitava da sempre di avere la sensazione di sentire il dolore degli altri, Non succedeva con tutti, ma era una cosa che Don Mimì già conosceva di lui, se n'era accorto quando un giorno Adelina aveva le coliche renali, era arrivato e aveva assistito ad una scena strana: lei era in piedi in cucina, con la borsa dell'acqua calda sul fianco, e Gerri che la guardava smarrito, si teneva la mano sul fianco nella stessa posizione ..Lo sapeva pure Marinetti, che avvertiva quella sensazione sfumata e indefinibile, riconducendola a un intuito molto sviluppato, una capacità di leggere nelle persone superiore agli altri, che il vicequestore aveva imparato a usare nelle indagini..

Le indagini del poliziotto, coordinate per modo di dire, da un pm molto milanese e molto stronzo (scusate il termine), portano a galla una storia di violenze, di degrado familiare, di vittime silenziose, che hanno avuto la colpa forse solo di nascere nella parte sbagliata della città.
Il compagno di Ketty, Nicola Laforgia, un piccolo sfruttatore nel mondo della prostituzione, che andava a pescare le sue donne anche dentro i centri di accoglienza.
Un bell'uomo, come quelli che si vedono al cinema. In questo modo riusciva a rubare la vita alle sue vittime.
E anche i Laforgia sono una famiglia strana: una madre con la fissazione dei capelli, che difende solo il figlio. Una sensazione strana, in quella casa, come se mancasse qualcosa, un'assenza di una persona che invece avrebbe dovuto esserci.

Ma spunta fuori anche un altro uomo, che forse amava veramente Ketty, che forse l'avrebbe portata via di lì, che pure l'aveva incontrata quella sera e con lei aveva fatto l'amore.
È lui l'assassino?
Forse: perché l'analisi delle impronte, delle macchie di sangue e soprattutto delle ferite, racconta un quadro anomalo.

Restava il problema delle ferite inferte da un'altra mano, alcune sicuramente post mortem, e di quelle impronte piccole, appena leggibili. Bisognava prendere le impronte alla bambina, perché poteva essere stata lei a lasciarle..

Gerri ha fatto una promessa alla bambina: trovare l'assassino e impedire che lei e il fratellino tornino da quell'uomo che picchiava la mamma. E per mantenere la promessa è disposto a sacrificarsi, passare le notti alla Mobile, tralasciale gli amici, come il suo superiore Marinetti, rovinare per sempre la storia con Sara, prendere il freddo, l'acqua, la neve.
Perché ad un certo punto, in quei giorni in cui tutto sembra scorrere in fretta, ad un certo punto inizia pure a nevicare.
Neve vera.
E il freddo atmosferico diventerà anche freddo nell'animo, perché per mantenere quella promessa, Gerri dovrà fare qualcosa di doloroso.
Il compimento è la pioggia è forse uno dei noir più intensi e belli tra quelli che ho avuto la fortuna di leggere: rispetto al precedente “Angelo che sei il mio custode”, in questo domina la scena l'ispettore Gerri Esposito, i suoi pensieri, i pezzi di memoria che affiorano.
Molto intenso il confronto tra il poliziotto adulto che è rimasto un po' bambino, per tutto il dolore e il vuoto che si porta dentro, e una bambina troppo adulta per la sua età, per colpa di tutto il dolore e la violenza che ha dovuto assistere.

«E adesso perché piangi?» 
«Piango per te». 
«Ma non devi». 
«Non hai capito. Piango perché lo sento che tu vuoi piangere e non ci riesci e allo piango io. Per te». 
Gerri le asciugò le lacrime con la mano.«Beh, sai, un poliziotto non può mica mettersi a piangere». 
«E da bambino piangevi?». 
«Si, a volte». 
«La mamma anche non piangeva. E allora piangevo io per lei. Lo sentivo quando voleva piangere, anche se stava da un'altra parte, anche se stava ridendo, anche se stava dormendo. A te non capita mai di sentire il male degli altri? A me sì, sempre. Però non lo dico, perché sennò le persone poi si pensano che sono pazza».

Scrive l'autrice, al termine del romanzo, di come questo libro sia legato ad un altro, La Promessa di Dürrenmatt.
Una promessa che per Gerri diventa una trappola: altro male gli si riverserà addosso, e «il male si attacca a una persona, e come una malatia, si attacca e non se ne va più».
Perché ci sono persone che questo male, se lo prendono loro sulle loro spalle, al posto degli altri: come dei parafulmini – aveva detto così una volta don Mimì.
Non resta che fare da parafulmine contro quel male e difendersi ricoprendo di oblio quei dolorosi ricordi di solitudine e d’abbandono.

La scheda del libro sul sito dell'editore Edizioni E/O


I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

29 marzo 2018

Il reclutamento – da Il compimento è la pioggia (Giorgia Lepore)


Nell'ultimo romanzo di Giorgia Lepore “Il compimento è la pioggia” c'è un delitto, una giovane mamma uccisa in casa, quasi di fronte ai due bambini.
Un delitto che sembra di facile soluzione per la polizia, perché c'è dietro una storia di violenze domestiche in un quartiere che sta dalla parte sbagliata di Bari.
Storie di violenze che colpiscono i più deboli, le donne, i bambini.
E le persone che arrivano in questo paese sperando in un futuro migliore, come le immigrate raccolte nei centri di accoglienza e da qui reclutati per una vita da sfruttamento.
Eppure tre anni prima, quando lo aveva conosciuto, le era sembrato un sogno. Era l'uomo più bello che avesse mai visto, un attore di quelli che ogni tanto, al suo paese, le era capitato di vedere sui giornali, biondi e con gli occhi azzurri.Era lui che l'aveva reclutata in un centro di accoglienza. Allora non sapeva che quell'incontro casuale era un reclutamento. Era buono, era bello. L'aveva presa, portata in una casa, le aveva detto ora stai qua che a te ci penso io, e quella casa le era sembrata anche bella, un po' sporca, sì, ma si vedeva che non c'erano donne, e dove non ci sono le donne, si sa, le cose funzionano male. Aveva detto che faceva tutto lui, il permesso di soggiorno, il lavoro, i documenti, tutto. E lei si era innamorata. Era facile innamorarsi di Nicola Laforgia.Poi le cose erano cambiate. Fai una cosa per me, le aveva detto. E lei lo aveva fatto, e a quella ne erano seguite altre e altre ancora, fino a che lei era rimasta incinta, non lo sapeva di chi. Forse proprio di Nicola, perché con gli altri nella maggior parte dei casi usava il preservativo, lui invece non ne voleva sapere. Lui e i suoi amici, a cui la regalava ogni tanto.



Un bellissimo libro, questo di Giorgia Lepore, forse il migliore dei tre fin'ora scritti.

Il governo che verrà

Lo stallo in corso per la formazione di un nuovo governo durerà ancora a lungo: i due vincenti alle passate elezioni, Salvini e Di Maio, sono ancora in una fase di studio, tra schermaglie e punzecchiature.
Entrambi hanno fatto promesse al proprio elettorato ed entrambi devono stare attenti a come si muovono.
Salvini non puà rompere col centro destra, perché poi si troverebbe in una posizione di svantaggio numerico nei confronti del M5S.
Di Maio che sta prendendo picche dal PD, ha trovato sponda solo con Salvini, ma sebbene il suo elettorato condivida in parte le idee di protesta e di cambiamento della Lega, sa che l'abbraccio con Salvini non verrebbe apprezzato da quei delusi di sinistra che li hanno votati.

Sorprende vedere Salvini in veste istituzionale: niente felpa ma una giacca, niente ruspe ma economia, lavoro, tasse.
Ha chiesto per la Lega il ministero dell'Economia e dell'Interno (c'è sempre la questione dei 600mila clandestini da mandare via..).
Al momento la schermaglia si è fermata alle accuse reciproche di voler fare accordi col nemico (il PD, che rimane ancora saldamente all'opposizione, ultima linea di difesa del renzismo che è rimasto).

C'è da approvare il DEF, ci sono le nomine (tra cui anche Rai e CDP).
E poi c'è il paese, che ha bisogno di risposte e, per almeno 4 milioni di persone, pure di un aiuto per uscire da una situazione di povertà.
Aiuto che solo in minima parte arriva dal REI, che copre 900mila persone, il che ci dice come la strada del reddito di cittadinanza (così tanto preso sbeffeggiato) non sia sbagliata (a differenza dei bonus).

Stefano Feltri sul FQ:

Come prevedibile si è riaccesa la polemica su quanto costa il reddito di cittadinanza proposto dai Cinque Stelle (integrazione fino a 780 euro al mese per una platea di beneficiari potenziali di 10 milioni di persone). Soltanto 15-17 miliardi come sostiene il neo eletto M5S Lorenzo Fioramonti? O 35-38 miliardi, secondo gli ultimi calcoli del presidente dell’Inps, Tito Boeri, resi noti ieri?È un dibattito assurdo per una ragione semplice: che costi 15 o 38 miliardi, è impossibile costruire in pochi mesi un sussidio che raggiunga milioni di persone e, al contempo, riformare i centri per l’impiego così da renderli simili a quelli tedeschi, ripensare tutto il welfare italiano in modo da finanziare i nuovi sussidi tagliando quelli superati. I Cinque Stelle sono riusciti a imporre la lotta alla povertà in cima all’agenda della politica, missione compiuta, ora serve pragmatismo di governo.Il reddito di cittadinanza non è altro che un potenziamento del Rei, il Reddito di inclusione costruito nei governi Letta-Renzi-Gentiloni e partito a dicembre 2017. La macchina si è messa in moto, secondo i dati diffusi ieri dall’Inps, i beneficiari di Rei e Sia (la versione precedente) sono 110.138 famiglie, 316.693 persone. Ognuna di queste famiglie dovrebbe essere seguita da assistenti sociali, servizi del Comune, se serve da medici, così da costruire percorsi personalizzati da abbinare al sostegno monetario (in media 297 euro al mese a persona).La sfida ora è far funzionare questa misura (nessuno sa ancora, per esempio, se chi beneficia dell’aiuto riesce poi a uscire dalla povertà o si tratta solo di palliativi). In campagna elettorale i Cinque Stelle proponevano una cosa assurda: prendere i soldi del Rei e usarli per dare aiuti fiscali alle famiglie e poi ricostruire da zero il reddito di cittadinanza, buttando quattro anni di lavoro ed esperienze. Sembra che siano rinsaviti, per fortuna. Un governo che abbia come primo punto la lotta alla povertà ha davanti una traiettoria chiara e obbligata: aumentare le risorse per il Rei, assicurarsi che i controlli funzionino e che i soldi siano ben spesi e non buttati, potenziare tutti i servizi collaterali all’assegno (che è la parte facile), soprattutto quelli che riguardano la ricerca di un posto di lavoro.Ci vorrà tempo, certo, ma chi ha contestato gli slogan vuoti di Renzi e Berlusconi non può replicarne gli errori. Bisogna individuare un percorso di rafforzamento del Rei che si basi su coperture credibili (strutturali, vere, non in deficit) e crescenti nel tempo che permettano assunzioni di personale e nuove prestazioni. Sono interventi che richiedono un paio di miliardi aggiuntivi ogni anno. Che poi ci si fermi a 15, 17 o 38 è secondario.


28 marzo 2018

Chi è il nuovo presidente del Senato

Chi è il nuovo presidente del Senato Andrea Marcucci?

Scrive Democratica, il sito del suo partito, il PD
"Molto legato alla sua terra e a tutta la Valle del Serchio. Dal mare di Viareggio e della Versilia alla Garfagnana, sino alle colline massesi e alla Lunigiana, ogni località di questo splendido territorio ha tanta storia, grande fascino e grandi potenzialità. È il legame con la mia terra, la sua crescita, il suo benessere, è la prima ragione del mio impegno politico"
Repubblica aggiunge qualcosa in più:

Appartiene Marcucci alla potente famiglia di imprenditori farmaceutici che si occupano tra l'altro di emoderivati. Sposato (presto, a 21 anni), 53 anni, tre figli (la più grande Giulia ha 31 anni e lavora per l'azienda di famiglia negli Usa), formazione liberale, non ha mai smesso di supportare Renzi  nei momenti più delicati e difficili come sul "caso banche" o nella bocciatura del referendum costituzionale. È stato eletto per acclamazione a Palazzo Madama.
Tocca a Stefano Feltri del Fatto Quotidiano, rovinare l'immagine, toccando una nota dolente, l'azienda di famiglia
“La cosa divertente è che il 20 giugno del 2013 alcuni senatori del Pd presentarono un ddl su misura per Berlusconi, finalizzato ad aggiornare le varie disposizioni sul conflitto d’interessi e ad evitare che i parlamentari potessero avere nelle imprese che fossero in rapporti con amministrazioni pubbliche, interessi rilevanti determinati. Quel disegno di legge, mai approvato, aveva come primo firmatario Massimo Mucchetti, che quest’anno non si è ricandidato, e altri nomi importanti come Luigi Zanda e Valeria Fedeli, insieme ad altri esponenti dem che ieri hanno votato Marcucci come capogruppo”. E aggiunge: “Proprio Marcucci non firmò quel ddl, perché anche lui rientrava tra i casi di conflitto d’interessi. L’azienda di famiglia di Marcucci, la Kedrion, è, infatti, partecipata dal 2012 dalla Cassa Depositi e Prestiti e lo stesso Marcucci fa parte del cda, oltre a essere presidente della controllata americana Kedplasma Llc“. 

Quella voglia di leader

La soluzione alla disfatta del PD, ovvero della sinistra moderna, progressista, che non considerà tabù le parole licenziamento, flessibilità e sicurezza (nei confronti degli ultimi?
Qui ci vuole un altro Macron - questo scrivono oggi sul Corriere Angelo Panebianco e Sandro Gozi sul Foglio (una volta megafono del berlusconismo).

Quando arriva il momento della crisi, serve l'uomo forte, che una volta era appannaggio della destra, mentre ora è appannaggio della sinistra che si sta trasformando in destra.
Scrive Panebianco (partendo dalla crisi del centro e dei moderati)
Le situazioni di emergenza favoriscono a volte l’avvento di leader energici. La ricostituzione del centro non sarà possibile senza l’affermazione di una nuova leadership — in stile Macron per intenderci. Il terzo ingrediente ha a che fare con la proposta politica. Insieme alla leadership essa può contribuire a forgiare nuove identità. La ricostituzione del centro passa per l’articolazione di una proposta da presentare al Paese e che sia alternativa a quelle delle estreme. 

Sandro Gozi rilancia: serve un partito che unisca tutti i macronisti d'Europa:

Da una parte c’è “l’Europa che viene proposta dai lepenisti di Salvini, ed è quella di Visegrád. Noi ci richiamiamo a Ventotene e in maniera diversa vogliamo riformare l’Europa in marcia con Macron e i nuovi progressisti, come Albert Rivera in Spagna”. Ma il Pd può diventare come En Marche? “Di fronte a una socialdemocrazia classica che è sempre più in difficoltà e deve reinventarsi, il progressismo di En Marche! deve essere un riferimento per la ripresa del cammino del Pd”. Solo un riferimento o qualcosa di più? “Dobbiamo utilizzare le elezioni europee per costruire nuove alleanze europee, andando oltre il campo del Pse. Il Pd dovrebbe essere uno dei dei federatori di questa nuova alleanza. Anche perché se non si costruisce un progressismo europeo alla Macron, rischiamo di avere un parlamento europeo in cui c’è la maggioranza di un Ppe che di popolare non ha più nulla e di avere come secondo grande movimento europeo gli estremismi anti europei di vario tipo e genere. Di fronte a questo rischio, una En Marche europea, una nuova alleanza tra tutti gli europeisti riformatori è indispensabile. E il Pd dovrebbe esserne protagonista”.

Ci vuole un uomo forte, che decide, con un partito tutto suo, che arrivi alla maggioranza assoluta, che faccia le riforme che piacciono all'Europa e a Confindustria.
E anche a Panebianco.
Peccato che non piaccia agli elettori.
Ma ce ne faremo una ragione.

Sono arrivati i barbari

Ma dove prenderanno i soldi per il reddito di cittadinanza?
Come faranno a conciliare il reddito di cittadinanza promesso agli elettori (con la bufala delle file ai caf) con la flat tax (promessa all'elettorato conservatore da Berlusconi e Salvini)?
Ottime domande se fossero fatte da giornalisti che hanno sempre vigilato sulla politica, sulle promesse, che si sono dimostrati con la schiena dritta.

Per esempio, ci siamo chiesti da dove verranno presi i soldi per comprarsi Cinecittà dal banchiere Abete (nonché ex presidente di Confindustria)?
Ne parla Fabio Pavesi oggi sul FQ:
ABETE non è indagato, ma certo la vicenda è imbarazzante. Cinecittà Studios è stata per anni, fino all’estate scorsa quando è tornata pubblica, una dei molteplici affari dell’ex presidente di Confindustria. Affari non certo andati bene. I blasonati studi cinematografici della Roma felliniana, su cui si sarebbe prodigato il dirigente di Bnl, erano parte integrante di un colossale progetto di investimento nel business dell’intrattenimento sotto l’egida di Italian Entertainment Group che ha visto Abete protagonista come socio insieme a Diego Della Valle, Aurelio De Laurentis e la famiglia Haggiag. Un sogno diventato incubo. Il colosso dei parchi a tema ha infatti cumulato perdite per oltre 100 milioni in soli 5 anni. Ha visto evaporare tutto il patrimonio e accumulare una mole di debiti di quasi 300 milioni a fronte di ricavi per soli 30 milioni. Ce n’è a sufficienza per gettare la spugna. Ma il colpo d’ala, e qui entra in scena il presunto prestito facile di Bnl, è stato da maestri: rivendere allo Stato (cioè ai contribuenti) gli studi di Cinecittà dopo averli gestiti per anni, ripristinando così il capitale del gruppo e salvando la baracca. Quando le cose mettono male anche un fervido sostenitore del liberismo e dell’imprenditoria di mercato si rivolge alla mano pubblica.
E dove abbiamo preso i soldi per salvare Alitalia nel 2008 e per continuare a salvarla in questi anni?
E i miliardi spostati dal pubblico al privato per gli incentivi alle assunzioni (legate al jobs act) che hanno drogato i numeri dei contratti senza creare occupazione stabile?
E i soldi dalle grandi opere (mezze compiute e mezze fallimenti) da che fondo spese verranno presi? Il TAV in Val di Susa, il redivivo Ponte sullo Stretto e via discorrendo ..
Per non parlare della tassa occulta della corruzione nelle opere pubbliche, dell'evasione ..

Come con l'elezione della giunta grillina a Roma, sembra che molti giornalisti italiani abbiano scoperto il loro mestiere ora che sono arrivati i barbari.

27 marzo 2018

Presto, ma per fare cosa?

Si dice la presidente e non presidentessa (e comunque la presidente Boldrini non ha mai chiesto di essere chiamata presidentessa).
O di Maio o morte, o forse Salvini o morte (no, Salvini non ha preclusioni). Per fare un po' di reddito di cittadinanza e un altro po' di flat tax.
Ma quanto è fico il nuovo presidente (maschile) che si fa fotografare in autobus: tutto bello unica nota stonata la foto preparata.
Taglieremo sprechi, indennità, guai alla casta .. Ma non è che a furia di tagliare si fa come coi finanziamenti pubblici ai partiti: si è passati da un eccesso all'altro. Coi partiti finanziati da privati con tanto di privacy a proteggere i nomi.

Risparmiamo i soldi, facciamo le nuove alleanze, facciamo un governo in fretta, ma per fare cosa?
Ieri Report ci ha mostrato un paese sotterrato dalla monnezza, con due città a rischio collasso (oltre a Roma, Palermo e Genova).

Ogni anno 433 000 tonnellate, di rifiuti urbani vengono spediti oltre che nei paesi vicini anche a Cipro, in Cina, nell’enclave del Sudafrica, il Lesotho, fino anche in Vietnam. Il terzo esportatore è proprio il Veneto con 40 mila tonnellate. Prima è la Campania con 103 mila tonnellate. Secondo il Friuli Venezia Giulia. L’Europa ci chiede di concludere il ciclo integrato, di favorire la raccolta differenziata e il riciclo dei materiali, per incrementare la cosiddetta economia circolare. Solo che noi abbiamo privilegiato solo il circolare. Nel senso che facciamo circolare i rifiuti. Li facciamo circolare in Italia e anche verso l’estero. Questo perché non ci siamo dotati in tempo degli impianti. E ora ci sono due grandi città e un’intera Regione che stanno per esplodere perché non sanno più dove mettere i rifiuti. La politica miope in questi decenni ha infilato la testa sotto la sabbia, la stessa con cui ha seppellito i rifiuti. Complice di chi ha gestito le discariche, ci ha lasciato un futuro avvelenato. 

I numeri sul lavoro, ovvero sui nuovi contratti attivati, si sono rivelati per quello che erano (e difatti oggi non vengono più sbandierati): propaganda per non vedere quello che è diventato oggi il lavoro.
Lavoratori alla spina, perfino dentro i Tribunali da parte di persone che dovrebbero amministrare la giustizia.
Si può lavorare in nero per lo Stato per venti, trent’anni? E parliamo di professioni strategiche, medici, insegnanti, magistrati. Entri in un’aula di Tribunale Palazzo e tiaspetti che chi indossa la toga per condannare quell’imprenditore che i contributi non li ha versati al suo dipendente, ecco quel magistrato i contributi sia il primo a riceverli dallo Stato, dal ministero per cui lavora. E invece parliamo di un esercito di 5500 magistrati onorari, vice procuratori onorari, giudici di pace che sta lavorando da venti, trent’anni senza ferie, senza contributi, senza diritto alla malattia. Ecco quella scritta che hanno alle spalle, la legge è uguale per tutti, suona un po’ una beffa quando devono applicarla, e alla fine della giornata vengono trattati diversamente per legge,dagli altri magistrati ordinari. Ecco.
Ecco, una volta che avremo finiti di prendere in giro i nuovi barbari che prendono il bus, le lauree sui neomelodici, un passato come lavoratore di call center, vogliamo anche capire cosa fare nella prossima legislatura?
Ambiente, lavoro, un piano energetico ed industriale.
La messa in sicurezza del territorio (che sarà argomento di una delle prossime inchieste di Report) ..
Prima che scoppi la nuova guerra mondiale, magari.

26 marzo 2018

Report - La mala gestione dei rifiuti (e il cellulare in classe)

Produciamo così tanta immondizia che non sappiamo dove buttarla, così la portiamo all'estero o la smaltiamo in modo poco legale (e sicuro).

Ma prima, l'anteprima di Alessandra Borella sull'utilizzo degli smartphone in classe.

I ragazzi passano sul web almeno 6 ore, ci sono ragazzi che ci dormono anche assieme: in molte classi si lascia acceso anche in classe.
L'utilizzo in classe è un bene (come deciso dalla ministra Fedeli) o un male (come dice la Francia)? In Germania ogni scuola fa come vuole, come succederà anche in Italia, superando il divieto del ministro Fioroni.

Il cellulare aumenta la visione dei ragazzi, dicono, ma nell'insegnamento di come si utilizza, si naviga a vista.
E con quale velocità? E per fare cosa?
Il cellulare permette l'accesso a tante informazioni, stimola forse aree celebrali come quelle del piacere, ma è anche molto dispersivo.
Ma le nostre scuole non sono già digitali grazie al governo Berlusconi? Che fine hanno fatto le Lim di cui parlava il ministro Gelmini?

LE Lim non hanno avuto un impatto sui livelli di apprendimento, al sud addirittura ha dato impatto negativi, costa ripararla, costa sostituirla.
Ci sono scuole senza wi fi efficiente, dunque le rende inutili.
Per le Lim nelle scuole sono stati spesi 93 ml, peccato che manchi un buon cablaggio nelle classi, cosa che doveva essere completata nel 2018.

Serve aiutare i ragazzi alla scoperta dell'uso dei cellulari, spiega un'insegnate alla giornalista: ma a che età si deve iniziare ad usare tablet e cellulari?
Un uso sistematico, ad una età inferiore a quella della terza elementare può causare dei ritardi di apprendimento – spiega il pedagosgista Novara.
Serve far imparare ai ragazzi a leggere un testo più lungo di un messaggino, serve far staccare i ragazzi dallo smartphone. I ragazzi perdono il sonno e con esso la capacità di apprendere, che si crei uno squilibrio tra le parti del cervello.
Che ci darà dei segnali di pericolo anche quando non esiste vero pericolo: questo spiegherebbe i casi d'ansia in aumento.
Ecco perché Steve Jobs aveva tenuto lontani i figli dal cellulare...

La scuola italiana investirà 500 ml in queste tecnologie, c'è il rischio che questo scateni brutti appetiti: molti dei nostri dati finiscono nel cloud, dove salviamo anche le nostre emozioni.
Che finiscono in mano a chi?

Girano le ecoballe – Claudia di Pasquale.

Venezia, 25 ml di turisti: il costo per la gestione dei rifiuti è così molto caro, quasi 300 euro, anche perché è una città sull'acqua.
La differenziata è molto bassa, al 27%: nel centro l'organico viene gettato assieme all'indifferenziata, perché avrebbe un costo insostenibile spiega il responsabile della Veritas (la società che gestisce i rifiuti).

I rifiuti raccolti sono trasformati in combustibile, il CSS, che finisce poi nella centrale a Carbone dell'Enel: solo il 5% però, ma una quantità sufficiente affinché la centrale prenda i contributi dello Stato.
Il CSS in buona parte finisce all'estero: 433mila tonnellate di rifiuto urbano finisce in giro nel mondo, anche in Vietnam.

L'Europa ci chiede di aumentare l'indifferenziata, il riciclo dei rifiuti, una gestione sostenibile: ma noi i rifiuti li facciamo solo circolare.
La politica ha preferito mettere la testa sotto i rifiuti.
Produciamo 30ml di tonnellate l'anno: dovremmo differenziata al 65%, siamo invece al 55%.
I rifiuti indifferenziati non possono finire in discarica tal quali, andrebbero triturati e poi trattati, per evitare che sviluppino sostanze nocive.

I giornalisti di Report sono andati in giro per il paese per vedere qual è la situazione.
A Genova i rifiuti finiscono nella discarica di Scarpino, nata nel 1968: è una discarica a 600 metri, in una valle lontano da occhi indiscreti.
Quella che una volta era una valle meravigliosa, dove c'era acqua potabile, è diventata oggi una discarica, dentro cui si trovano le sorgenti del torrente Cassinelle.
Qualsiasi pioggia che cadeva nella discarica diventata percolato (che poi finisce in mare) – sono le parole del direttore della discarica Carlo Senesi: non è un buon posto per i rifiuti questa valle, in una zona dove sotto ci sono delle sorgenti.
Il percolato è stato incanalato in in depuratore solo nel 2008, peccato che questo depuratore non fosse idoneo per gestire i metalli pesanti.
Così stiamo continuando ad inquinare il mare..
Pagheremo per metterla in sicurezza, per creare un impianto per trattamenti indifferenziati, per il depuratore .. Come mai le amministrazioni di centrosinistra non si sono occupate di questa discarica?
Però l'amministrazione comunale ha annunciato che il prossimo maggio, Scarpino, dopo che era stata chiusa, sarà riaperta, nonostante non sia ancora attivato un impianto di trattamento per i rifiuti indifferenziati.
Sparpino tre sarà realizzato sopra Scarpino due: ma in questo momento il comitato anti discarica è sul piede di guerra, dopo anni di battaglie.
Quando piove, dove finirà tutta quest'acqua?

Oggi, siccome la discarica è chiusa, i rifiuti di Genova finiscono in Piemonte e in Toscana: a Castel Ceriolo (AL) arrivano decine di camion al giorno da Genova.
Qui sono contenti che arrivino i rifiuti da fuori regione, siccome l'impianto è sovra dimensionato: nonostante questo, il bilancio dell'ARAL (la società che gestisce l'impianto) è in rosso.

ARAL si prende i rifiuti di Genova, Roma e Napoli: i carabinieri del NOE avevano scoperto però che i rifiuti di Genova e Roma non era ben smaltiti, anzi erano intombati in una vecchia discarica.
Così i rifiuti da Napoli, sono arrivati ad Alessandria in un impianto sovradimensionato, ma poi sono finiti in Toscana.. E il comune di Alessandria è finito in bancarotta.

Nessuna sostenibilità economica e nessuna sostenibilità ambientale.

I rifiuti da Napoli sono passati per la SAPNA: la società che li raccoglie in tutta la provincia.
SAPNA li manda poi in altre regioni, per essere trattati, siccome non ci sono impianti a sufficienza in regione: almeno il 4% dei rifiuti napoletani finisce all'estero, via treno o via cargo.

Un imprenditore dei rifiuti che ha gestito i rifiuti napoletani si chiama Bonacina: l'inchiesta del NOE ha stabilito che anziché trattarli, i rifiuti, ne cambiava il codice e faceva finta di smaltirlo.
Abbattendo i costi per la gestione: alcuni dei rifiuti sono stati inceneriti a Brescia, in un impianto dell'A2A.

Hanno bruciato rifiuti che non potevano trattare, nessuno ha potuto o voluto controllare: da questo impianto si produce energia per la città, peccato che anche questo sia stato sovradimensionato, ovvero per poter stare in piedi deve accettare i rifiuti anche da fuori regione (anche se ufficialmente li accetta da impianti in Lombardia che però li possono ricevere da tutto il paese).

Le emissioni sono controllate, sebbene a questo monitoraggio sfuggano le nano particelle.

Insomma, come gli emigranti, i rifiuti vanno dal sud al nord, gestiti dalle grandi multiutility che sull'immondizia fanno profitto che in parte finisce anche ai comuni soci, ma anche in mano al mercato.
E il mercato ha tutto l'interesse che si continui a bruciare, perché poi si staccano i dividendi.
E i comuni possono fare cassa.

Rimane sul groppone una eredità salata: paghiamo una multa salata per la cattiva gestione dei rifiuti, come i 120mila euro al giorno, per la discarica di Acerra.

Le ecoballe di Napoli sono balzate alle cronache dal 2008: li avrebbe dovute bruciare l'inceneritore di Acerra, ora sono dissequestrate e la regione ha fatto delle gare per smaltirle.
Come detto sopra, le società che hanno vinto gli appalti sono al nord e tra queste c'è anche la società di Bonacina.

Il figlio del governatore De Luca è stato coinvolto nell'inchiesta di Fanpage, dove un ex camorrista si proponeva per smaltire queste ecoballe, con tanto di stecca.
Per smaltire tutte le ecoballe serviranno 15 anni: dovremo pagare una multa di 20ml di euro, più 120mila euro al giorno.

A Napoli siamo al 30% di differenziata: non si sono impianti, per l'umido ad esempio – spiega l'assessore Del Giudice.
Questo significa altre spese e il rischio di incappare in altri reati, se non si vigila a sufficienza.

La Sicilia si tiene i rifiuti in casa: l'80% di questi è seppellito nelle discariche, ma a settembre si rischia il collasso, perché siamo in emergenza rifiuti da 20 anni in questa regione.
Cuffaro ha creato gli ATO (società pubbliche legate ai comuni per la gestione) che si sono trasformati in poltronifici che hanno cumulato debiti senza risolvere il problema.
Un esercito di 2000 netturbini eppure la monnezza abbonda nelle strade di periferia e centro: ma la città di oggi è più pulita, si difende il sindaco.
Siamo una città mediorientale d'Europa – racconta incredibilmente Orlando: qui siamo al 15% di differenziata, una cifra ridicola.
Un danno ambientale e anche erariale su cui ora sta indagando anche la Corte dei Conti.

Fallita la società pubblica palermitana, i rifiuti organici arrivano a Marsala o alla Sicilfert.
A Bellolampo c'è un nuovo impianto di compostaggio, inaugurato di recente, che non viene usato, per una ordinanza del presidente della regione.

Questo impianto viene usato solo per i rifiuti non differenziati: oggi l'impianto è sovracaricato col risultato che esiste una deroga nell'inceneritore per l'inquinamento delle particelle.

E non in deroga ci sono i compattatori che sversano i rifiuti in discarica senza alcun trattamento. Orlando disporrà accertamenti, mentre il responsabile di Bellolampo si trincera dietro la difficoltà di interpretare una ripresa da lontano.

Non è un caso isolato: l'ARPA l'anno scorso ha sequestrato parte della discarica infatti.

Come sono trattati i rifiuti a Bellolampo?
C'è un solo tritovagliatore per tutti i rifiuti della provincia: non è un trattamento a norma, l'indice respirometrico che dovrebbe essere a 1000 è invece a 5000.
L'amministratore di Ecoambiente, la società che gestisce il trattamento con un impianto mobile (senza gara) contesta il dato di ARPA: ma ora cosa succederà ora che Bellolampo arriva alla saturazione?

I rifiuti andranno negli impianti della Sicula Trasporti, società privata: sembra di rivedere le immagini di Malagrotta, a Roma.
Siamo di fronte ad una bomba ecologica in piena regola: la bonifica la dovrà fare il comune, mentre a sversare era una società privata della famiglia Leonardi.

Anche questa azienda lavora in deroga, per gli indici respirometrici, perché ci sono troppi rifiuti.
A Catania lavora la OIKOS, in due impianti: uno vecchio, non ancora ricoperto. Un altro, del 2009, su un'area a rischio frane.

L'intervista con l'avvocato Todero, sui signori della OIKOS, è surreale, semplicemente.
Si parlava di autorizzazioni per estendere la discarica di OIKOS, di un funzionario regionale che sarebbe stato corrotto, di intercettazioni che, in assenza di sentenza, sono solo ipotesi …

Come sono state date le autorizzazioni in Sicilia, alle discariche?
Un ex assessore della giunta Crocetta, Marino, punta il dito sulla Confindustria siciliana, quella dei Montante e dei Catanzaro (che lavorano coi rifiuti nell'agrigentino).

Ci sono società come la Tirrenoambiente, oggi in liquidazione, che sono state usate come bancomat, per bruciare soldi pubblici, per una struttura che oggi necessiterebbe di milioni di investimento per essere messa in sicurezza.

Soldi spesi male, strutture non utilizzate, mezzi abbandonati, campane per la raccolta differenziata liquefatte.
Sono stati spesi tra i 15 e i 16 miliardi di euro, tra fondi pubblici ed europei, senza risolvere il problema e senza che la differenziata sia aumentata in modo significativo.

Il neo presidente Musumeci chiede poteri straordinari per risolvere l'emergenza rifiuti che dura da anni: Gentiloni l'ha concessa, vedremo ora cosa farà il governatore.

Poteri per fare cosa? Per portare i rifiuti all'estero, ammette Musumeci, il tutto a carico del cittadino.

Complimenti.
LA corte di giustizia europea ci ha condannato a pagare 42 ml ogni sei mesi, per le discariche che abbiamo distribuiti sul territorio, il governo ha nominato un commissario per la gestione.

Ma per ogni discarica chiusa ne apre un'altra, perché servirebbero soluzioni alternative.
Non come fatto a Roma, dove per anni si lasciato gestire a Cerroni, senza gara, l'intera gestione dell'immondizia, in monopolio.
Malagrotta doveva essere chiusa nel 2007: è stata poi chiusa con Marino anni dopo.

E oggi, come si smaltiscono le 4000 tonnellate? Ama non è in grado di gestirla, come non è in grado di gestire i rifiuti organici, che viaggiano al nord.

Come a Napoli, anche i rifiuti romani fanno i turisti: vanno a Vienna e a Colonia.
40mila tonnellate finiscono in Abruzzo, in un impianto di Frosinone, in Toscana.
Altri impianti, altre discariche, altre deroghe..

Solo un terzo dei rifiuti urbani sono gestiti dall'AMA, in impianti situati vicino alle abitazioni, non molto felici della puzza che esce.
Sono impianti la cui visita è stata negata alla giornalista: sono anche impianti in cui i rifiuti, secondo i risultati dell'ARPA, non sono a norma.

L'impianto di Colleferro è un inceneritore della regione, chiuso nel 2016: ha così tanti problemi di manutenzione che oggi, la popolazione lo sta presidiando, temendo una sua riapertura.
Un impianto con 350 ml di debiti, che ha inquinato l'ambiente, vicino a delle case.

Mancano gli impianti, in comune e in regione e, come a Napoli, i rifiuti romani, arricchiscono le società del nord, come la HERA, che poi li da alla società di Bonacina.

E la politica? Il governo ha messo a piano altri sette inceneritori e il ministro Clini ha innalzato a Natale la soglia limite respirometrico.
La soluzione degli inceneritori non è sostenibile, poiché è in antitesi con l'economia circolare, con la differenziata, col riciclo.
In Italia ci sono modelli virtuosi, che potrebbero essere da esempio a tutto il paese: nel trevigiano siamo all'85%, i rifiuti sono ben trattati, la tariffa è in media col paese.
La sfida di Contarina SPA è di arrivare al 97%, estratte tutto il possibile dai materiali, perfino dai pannolini.

Il toto governo

Visto che è diventato di moda, faccio anche io il mio toto governo.
Daranno un mandato esplorativo a Salvini e Di Maio per un governo che metta mano solo alla legge elettorale.
Poi faranno naufragare il progetto, per poi risuscitare le larghe intese, tra coloro che oggi sono rimasti un po' in disparte.

Magari non è vero, ma dubito che questo possibile scenario non sia venuto in mente a qualcuno ..

L'emergenza rifiuti e l'utilizzo degli smartphone – le inchieste di Report


Due le inchieste di cui si occuperà Report questa sera: le dipendenza causate dall'utilizzo degli smartphone da parte degli studenti e l'emergenza rifiuti in molte parti d'Italia.

Un tocco di classe, digitale, di Alessandra Borella
L'anteprima della puntata sarà dedicata all'esplosione della banda larga, che ha modernizzato il nostro paese: Report andrà a misurare la qualità del servizio da parte dei nostri operatori di telecomunicazioni e ci si chiederà quale sia l'influenza dello smartphone sulla vita degli studenti.
Studenti che vivono spesso in simbiosi col loro smartphone: è un'opportunità per crescere, per allargare i loro orizzonti oppure rallenta l'apprendimento e da dipendenza?

Che sia da soli o con gli amici, a casa o in classe, o sotto al cuscino mentre dormono, dello smartphone i ragazzi italiani non riescono più a fare a meno. Il 97% degli studenti tra gli 11 e i 17 anni ne ha uno e trascorre online almeno sei ore al giorno. La scuola italiana apre al suo uso didattico in classe, mentre il ministro francese dell’Istruzione lo bandisce anche nelle pause tra una lezione e l'altra. Elemento di distrazione o strumento di apprendimento? Che impatto ha sulle capacità cognitive dei ragazzi? Gli esperti si dividono: la scuola deve farsi pioniera dell’educazione a un suo utilizzo sano. Al contrario, è l’ultima zona franca, libera da connessioni. Sono uniti nel lanciare un allarme: insonnia, perdita di concentrazione, depressione, isolamento sociale. Sono i tanti disagi emotivi causati dalla dipendenza da internet e dal cellulare.

L'emergenza rifiuti

La seconda inchiesta si occupa di ambiente, uno dei temi poco affrontati dalla recente campagna elettorale:
Ogni anno produciamo 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e siamo solo al 50% di differenziata. Sono trenta milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Dove finiscono? E chi sono i signori dell'immondizia?

Oltre all'emergenza terrorismo islamico, all'emergenza immigrazione, all'emergenza populismo, in questo paese dovremmo seriamente iniziare a preoccuparci dell'emergenza rifiuti. Per anni l'argomento è stato non affrontato, andando a mettere la polvere sotto il tappeto: a Roma si sono gettati per anni i rifiuti senza trattamento nella discarica di Malagrotta, del “re di Roma” Cerroni (oggi sotto processo per associazione per delinquere finalizzata al traffico dei rifiuti).

In Campania si sono accumulate le ecoballe nella discarica di Acerra: una vergogna che ci trasciniamo dai tempi del secondo governo Berlusconi; il governatore campano De Luca due estati fa aveva presentato un piano per lo smaltimento che ancora non vede luce.

Il governo Renzi aveva presentato un piano per la costruzione di tanti inceneritori, in modo da rende ogni regione autonoma. Come se gli inceneritori fossero una soluzione sostenibile al problema rifiuti e non solo un palliativo.
Si dovrebbe puntare tutto sulla raccolta differenziata, in modo da mandare nell'inceneritore il minimo indispensabile, eppure in molte regioni, specie al sud, siamo molto indietro e all'orizzonte non si vede (forse anche per una cattiva volontà politica) alcun cambiamento.
Ci sono troppi interessi economici dietro i rifiuti: troppi imprenditori con pochi scrupoli sulla coscienza fanno del business sulla monnezza, trovando una complicità in quegli amministratori locali che si accontentano di spuntare prezzi bassi per la gestione dei rifiuti, non controllando poi se i rifiuti sono smaltiti in modo da non mettere a rischio la salute delle persone, la qualità dell'aria e dell'acqua.
Troppi roghi in impianti di smaltimento rifiuti sono avvenuti in questi mesi, al nord, per non pensare che dietro ci sia sempre la mano delle ecomafie. Pronte ad inserirsi nella gestione dell'immondizia laddove il controllo dello Stato viene meno.

Claudia Di Pasquale è andata in giro per l'Italia andando a mostrare alcune situazioni a rischio, dal nord al sud: Genova, Brescia, Palermo.

La discarica di Scarpino

#Genova produce quasi 300.000 tonnellate di #rifiuti urbani all'anno. La differenziata è al 33%. Dove finisce tutto il resto? Per oltre 45 anni in una valle a 600mt slm: nella discarica di Scarpino. (qui l'anticipazione su Raiplay)

A Genova c'è una discarica che è nata quasi per caso, doveva essere provvisoria, ma poi per 40 anni hanno continuato a portare rifiuti a Scarpino, in una valle in mezzo ai monti, a oltre 600 metri di altezza, lontano da sguardi indiscreti, racconta il signor Enzo Castello del comitato per Scarpino.
Quella che una volta era una valle meravigliosa, dove c'era acqua potabile, è diventata oggi una discarica, dentro cui si trovano le sorgenti del torrente Cassinelle.
Qualsiasi pioggia che cadeva nella discarica diventata percolato – sono le parole del direttore della discarica Carlo Senesi: non è un buon posto per i rifiuti questa valle, in una zona dove sotto ci sono delle sorgenti.
Però l'amministrazione comunale ha annunciato che il prossimo maggio, Scarpino, dopo che era stata chiusa, sarà riaperta, nonostante non sia ancora attivato un impianto di trattamento per i rifiuti indifferenziati.
La nuova discarica si chiamerà Scarpina 3 e sarà realizzata sopra Scarpina 2, mentre l'impianto di trattamento sarà situato sopra.


Dopo Genova, Palermo: Claudia Di Pasquale è andata a vedere cosa succede alla discarica di Bellolampo. Nel video che potete vedere nell'anteprima,un compattatore scarica i rifiuti così, come sono stati raccolti, cosa vietata per legge. Una pala meccanica si preoccupa di spianare i rifiuti come fosse una tavola imbandita per i gabbiani che, qui, fanno festa..
Le mucche, nei pascoli attorno, un po' meno.
La giornalista è andata dal sindaco di Palermo Orlando, a mostrare le immagini raccolte: ha rassicurato che farà tutti gli accertamenti e "chi ha sbagliato paga".
Allora la giornalista ha portato il video al responsabile della discarica, che non sa, che dovrebbe controllare, perché dalle immagini non si capisce bene (se sono rifiuti urbani).
Ma chi deve controllare quello che succede a Bellolampo? "Può darsi che ci sia stata una violazione" ammette alla fine.

La terza anticipazione: la discarica di Brescia

#Rifiuti: nel termoutilizzatore di #Brescia entrava, col trucco, anche quel che non doveva.

Paolo Bonacina è l'imprenditore che, secondo la procura di Brescia, sarebbe al centro del traffico di rifiuti dalla Campania verso il nord, per un giro d'affari da 10 ml di euro.
Bonacina aveva vinto diverse gare in Campania per prendersi i rifiuti che però - racconta un ufficiale del NOE alla giornalista - non venivano trattati, gli veniva cambiava il codice (che identifica il tipo di rifiuto), per abbattere così i costi di smaltimento.
Questi rifiuti venivano portati così agli impianti del nord per essere bruciati: tra questi anche quello di Brescia del colosso A2A: dove arrivavano non come rifiuti campani, ma con un codice contraffatto, spiega Lorenzo Zaniboni direttore dell'impianto. Un codice che era conforme alle loro autorizzazioni: A2a, spiega il dirigente, non è tenuta a rispondere per quello che hanno fatto altre società.

In Italia produciamo più di trenta milioni di tonnellate di rifiuti urbani ogni anno. La plastica, il metallo, la carta, il vetro e l’umido dovrebbero essere differenziati e riciclati. Per legge, nel 2012 avremmo dovuto raggiungere l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata. Ma siamo ancora fermi al 52,5%. Una volta buttati nella pattumiera di casa, dove finiscono tutti i rifiuti urbani indifferenziati? Claudia Di Pasquale li ha seguiti, in lungo e in largo, per tutta l’Italia. Da Palermo a Venezia, passando per Napoli, Roma, Genova, Alessandria scopriremo come non sia sempre facile seguire il percorso che deve fare un sacchetto della spazzatura per essere smaltito.