01 agosto 2013

Le fondamenta della città, di Giuseppe Gennari

Può capitare, in Lombardia, che l'azienda che ti sta consegnando un pacco a casa tua, sia nelle mani della ndrangheta.
Oppure, è sia la società che sta effettuando dei lavori pubblici nel tuo comune, che è legata alla ndrangheta.
Oppure i buttafuori del locale in cui sei andato a divertirti.
O il bar dove vai a mangiare in pausa pranzo. O il chioschetto davanti lo stadio.
Anche loro potrebbero essere dipendenti della ndrangheta Spa.

Una delle più floride e potenti società di servizi che opera qui al nord. Il saggio del giudice per le indagini preliminari Giuseppe Gennari è un lungo racconto di questa società criminale di servizi: come ha fatto ad entrare nel nostro territorio, quali i servizi che offre e perché questi servizi sono così graditi al contesto imprenditoriale lumbard.
Gennari ha attinto dalla sua esperienza professionale per raccontare di inchieste (Parco sud, Crimine, Metallica ..), di personaggi dell'onorata società e di imprenditori rimasti contagiati da questo "virus".
E' proprio questa esperienza sul campo che ha permesso all'autore di spiegare cosa non funziona nel nostro sistema giudiziario, che oggi deve sempre di più inseguire questa nuova criminalità che non indossa più coppola e lupara e dove invece il mafioso si presenta come un manager capace di muovere capitali, offrire servizi, creare consenso (coi posti di lavoro).

Basta con omicidi, con lo spaccio della droga, il racket, gli omicidi in pieno giorno per regolare conti: questa nuova criminalità si occupa di movimentazione terra, gestione dei rifiuti, di costruzioni coi grandi appalti pubblici (la «corrente del golfo» economica, dice l'autore), di riscossione dei crediti, nel settore dei trasporti. E ovviamente lo fa in modo criminale, non rispettando le regole di uno stato democratico. Scrive il giudice: "il metodo mafioso si compone, ce lo dice sempre la legge, di tre elementi fondamentali: la forza di intimidazione, l'assoggettamento e l'omertà".
Spesso, racconta l'autore, non c'è nemmeno bisogno per il boss di fare delle esplicite minacce, per imporre un determinato appalto, per far sì che in una determinata zona lavorino certe società e non altre. Che un certo debito sia pagato.
Perché si sa chi si trova di fronte: ricorda l'autore che nessuna delle vittime della ndrangheta, nel settore dell'edilizia (padroncini che si sono trovati camion incendiati, attentati sui loro cantieri) ha mai denunciato qualcosa prima che la magistratura stessa intervenisse.
L'omertà, e la paura, non sono solo vizi del sud del nostro paese: "superato un certo punto, adeguarsi alle regole mafiose diviene un costume di vita, un'abitudine che non ha bisogno di essere messa continuamente in discussione".

La ndrangheta si è inseruta nel nostro tessuto come un virus, continua l'autore: ma il nostro organismo non si è dimostrato un organismo sano, capace di creare anticorpi a contrasto della penetrazione mafiosa.

L'autore usa la metafora del contagio del virus: "Il contagio si ha quando un virus maligno intacca un corpo sano. Al Nord il corpo sano non c'era e non c'é. E il virus ha intaccato un ambiente che ha spesso fatto coincidere i propri interessi con i servizi offerti dalla 'ndrangheta. Corruzione e 'ndrangheta. Reati economici e 'ndrangheta. Reati ambientali e 'ndrangheta".

Parlare ancora di pericolo infiltrazione, scaricare le colpe sulla pratica del confino che ha spiedito qui i mafiosi dal sud, dire come fanno molti, che la mafia viene nelle regioni del nord solo per riciclare è semplicemente falso.

La ndrangheta ha trovato in questa regione imprenditori molto felici di non doversi preoccupare di dove finivano i loro soldi.
Imprenditori che anziché rivolgersi alla giustizia civile per risolvere una questione creditizia, preferivano bussare alla porta di don Pepè Onorato e la sua squadra al bar Ebony.
La ndrangheta Spa evita problemi con le maestranze, coi sindacati: le società che si rivolgono ai suoi servizi spesso riescono a spuntare prezzi concorrenziali, perché magari non si pagano tutti i contributi.

Gennari non punta il dito solo contro il sistema imprenditoriale: ad aver contribuito alla crescita di questa mafia hanno contribuito quei professionisti senza troppi scrupoli di coscienza.
Commercialisti che si preoccupano di nascondere i capitali delle famiglie nei paesi offshore o in società intestate a prestanome.
Avvocati senza troppi problemi etici e di coscienza.
Funzionari di banca che, se da un parte lesinano i prestiti ad aziende e privati, dall'altra concedono mutui impegnativi alle famiglie dei don. Che poi, è un nuon metodo per impedire le confische dei beni (si chiama load bankink): "è una delle più classiche tecniche di autoriciclaggio e si chiama loan back. Chi ha guadagni illeciti da investire, si indebita con una banca. Così il denaro che puzza viene usato per ripagare le rate di mutuo".

La vicenda della Perego costruzioni.
Ivano Perego è stato arrestato nell'estate del 2010, nell'ambito dell'inchiesta "Crimine": il caso Perego è emblematico di quello che è successo nel settore dell'edilizia, dove ci sono tanti imprenditori stanchi della burocrazia che hanno deciso di creare sinergie e convivere con l'amico calabrese.

La ndrangheta, con la famiglia Strangio, era entrata nel capitale dell'impresa, che prendeva appalti pubblici in regione Lombardia. Solo la facciata dell'azienda era in mano alla famiglia brianzola.
Per la prima volta, "la 'ndrangheta si trova anche dall'altra parte del tavolo. Dalla parte di chi si aggiudica gli appalti, privati e pubblici, e poi smista il lavoro a cascata", ad altre aziende di famiglie ndranghetiste.

Il virus non entra solo nel capitale (per garantire a Ivano Perego la bella vita): i cantieri sono frequentati da personaggi come Antonino Belnome, il killer di compare Nunzio Novella (lo scissionista ucciso nel 2008), da Pasquale Varca, capo del «locale» di Erba.
Altro personaggio della storia è Andrea Pavone: "abilissimo creatore delle più strambe ingegnerie societarie e di funamboliche scalate", che Strangio ha messo, di fatto, al vertice di Pgc. La società nata nel 2008 e che rischia di scalare un altra potente società del settore, la Cosbau.

In questa brutta storia, si mescola tutto: mafie, imprenditori senza problemi di coscienza, scatole finanziarie.
Ma serve anche una persona per curare i rapporti con la politica e le lobby: "chi meglio di Antonio Oliverio, ex assessore della bistrattata giunta provinciale milanese presieduta da Penati".
Problemi dal punto di vista giudiziario? Nessuno. Lo spiega sempre l'autore parlando del «traffico di influenza»: "quell'attività  di intermediazione che viene fatta da chi, sfruttando le sue conoscenze acquisite nel tempo, mette in relazione imprenditori privati e persone delle istituzioni per fare ottenere ai primi vantaggi".
Ma non è reato, nonostante l'introduzione di una norma per punire il traffico di influenze fosse un obbligo derivante dagli obblighi della Convenzione del Consiglio d'Europa.

Sono finiti tutti in carcere. Perego e gli ndranghetisti.

Il patto col diavolo: il caso della TNT in Italia.
Altro episodio citato nel libro, l'inchiesta che ha coinvolto i vertici di TNT Italia che aveva affidato la gestione dei trasporti (in outsourcing) ad una società della famiglia Flachi, che consegnavano i colli alle persone.
In che modo questa azienda si è aggiudicata l'appalto in esclusiva? Offrendo servizi competitivi, per il prezzo (perché le mafie si possono permettere di non pagare controbuti a fine mese), e garantendo l'assenza di problemi nei confronti dei lavoratori.
Zero conflittualità aziendale: è questo quello che gli olandesi, e i manager italiani chiedevano a queste persone.
Pur sapendo, da un report dell'agenzia Kroll, quanto fossero pericolose.

Scrive nel libro Gennari: "Tnt si trova nella scomoda veste di «vittima attiva» del metodo mafioso. La vittima attiva (come il paninaro, come l'impresa di movimento terra) é quella che comprende che dalla relazione con la mafia può anche avere dei vantaggi".

La vicenda della TNT è allarmante per due motivi: da una parte per il fatto che questa società, pur sapendo di dover operare in un «ambiente» già  inquinato dalla presenza mafiosa, non si é mai rivolta alla procura della Repubblica.
Dall'altra, la capacità  delle organizzazioni mafiose di compiere un salto di qualità  decisivo, nell'offrire prestazioni credibili sul mercato.

I gemellaggi con lo stato.
Nell'ultima parte del libro si affronta il tema dei rapporti tra mafia e politica e tra mafia e stato.
I "gemellaggi" con lo stato, li chiama il pentito Antonino Belnome: quella serie di relazioni utili che una locale di ndrangheta riesce a costruirsi sul territorio che invischia professionisti, imprenditori, politici, pubblici amministratori, direttori di banca.

Questo è il vero capitale sociale della ndrangheta Spa: la rete di relazioni che la 'ndrangheta costruisce attorno a sé.
Una rete che si rafforza grazie al controllo del territorio, all'omerta per paura e per convenienza, "perché chi dovrebbe vedere e capire preferisce non farlo, preferisce prendere i soldi di chi paga tanto e subito per certi servizi".

L'imprenditore amico, che propone affari immobiliari al clan Valle che hanno soldi da investire sul loro territorio a Vigevano.
Lo società del clan Valle, tra il 2006 e il 2007, hanno ottenuto prestiti (per prestanome), usati per investire i guadagni illeciti: si chiama loan bank ed è una delle più classiche tecniche di autoriciclaggio.
Nella scalata di Pavone alla Cosbau può contare sull'alleanza di un altro noto istituto di credito, che poi subirà  un'ispezione di Banca d'Italia.
Mascaro, Flachi e Martino, che devono gestire l'affare Tnt, possono contare sul loro consulente di fiducia, per creare una società di comodo, "pulita".
I clan calabresi che si spartiscono il servizio di sicurezza nei locali notturni milanesi danno invece lavoro ad agenti di polizia che, per arrotondare lo stipendio.

Belnome, il «padrino» di Giussano, ha raccontato ai magistrati che era a conoscenza del suo arresto già  un paio di mesi prima: «aveva degli agganci con le forze dell'ordine.»
A Giussano, storico Comune padano, dal benzinaio al ristorante, al bar, alla discoteca alla moda nessuno si azzardava a presentare il «conto» a Belnome.

Ultimo caso, uscite sulle cronache dei giornali, l'arresto dell'assessore regionale Zambetti, che avrebbe acquistato, per la bellezza di duecentomila euro, un pacchetto di voti da un clan 'ndranghetista.
E "calabresi non si sarebbero accontentati dei soldi e avrebbero poi cominciato a chiedere altre cose: assunzioni di favore, una corsia preferenziale per gli appalti di Expo...".

Spezzare il legame mafia politica.
Il messaggio che arriva, arrivati in fondo al libro, è chiaro: fin che ci saranno persone che hannno bisogno della ndrangheta, questa potrà continuare a prosperare


Gennari ricorda cosa è successo durante l'iter di approvazione dell'articolo 416 ter (contro il voto di scambio) nel 1992.
Quando, dopo la strage di Capaci, il Parlamento voleva dare un segnale forte di lotta alla mafia: "la prima versione della legge diceva che doveva essere punito chi offriva qualsiasi «utilità»", spiega "e invece, all'ultimo momento, la parola «utilità» viene sostituita con «denaro»".
Anche il governo tecnico di Mario Monti (nonché questo governo di larghe intese), ha cercato (invano) di rivedere questo articolo nonché di normare in modo chiaro il reato di concorso esterno.
Ci sono evidentemente troppi interessi, affinché questo intreccio perverso tra mafia e politica venga spezzato.

Conclude l'autore, e alla luce di quanto ha raccontato in questo libro non posso che trovarmi d'accordo:
"Fintantoché la politica continuerà  a «leggere» le indagini della magistratura come un'interferenza dettata da oscuri disegni eversivi
della volontà  popolare, ci sarà  poco da fare".


E poi: "Chi è anche solo sfiorato dal sospetto di avere rapporti con organizzazioni mafiose, nel mio Paese ideale, non dovrebbe poter fare politica".

Il link per ordinare li libro su ibs.
La scheda del libro sul sito di Mondadori.

L'intervista su Famiglia Cristiana:

– Il libro sembra dire “attenzione, che la mafia ce l’avete sotto casa”. È così?

«La percezione che le mafie siano una cosa del Sud va abbandonata. Un esempio? La gestione degli spazi dove si piazzavano i chioschi dei venditori ambulanti. La ’ndrangheta ne aveva il monopolio, e gli ambulanti pagavano. Bisognava passare attraverso i boss calabresi per avere la "concessione". È una storia emblematica. Dimostra che spesso le vittime lo sono solo a metà: i venditori ambulanti subivano le imposizioni dei mafiosi, ma poi accadeva che ricorrevano al boss per far rispettare i loro “diritti” rispetto ai concorrenti. Quando la Finanza apri un chiosco “civetta” a fianco del paninaro che veniva estorto, quest’ultimo ha chiamato il padrino calabrese per far cacciare l’intruso».

– Anche il noto corriere espresso Tnt è finito nelle grinfie della criminalità.

«“Nelle grinfie” non direi. È un altro caso delle vittime a metà: un esempio abbastanza chiaro di alleanza utile fra l’imprenditore legale e questo tipo di realtà criminali. La Tnt usava una cooperativa della mafia per la distribuzione dei pacchi a Milano e provincia».

– La società ne era consapevole?

«Sì. La vicenda processuale lo ha dimostrato. La Tnt aveva problemi nell’area milanese con le sue cooperative: erano molto frammentate, conflittuali fra loro. Allora, i vertici italiani della multinazionale affidano a un consulente l’individuazione della soluzione: costui, che peraltro era un ex ufficiale dei carabinieri, porta alla Tnt una cooperativa di calabresi, dicendo che “con loro non avrete problemi”. Quando l’inchiesta giudiziaria ha portato allo scoperto la faccenda, la Tnt Olanda ha decapitato tutti i vertici italiani. Le filiali milanesi sono state ripulite dalla Procura e riconsegnate alla Tnt».

– Insomma, Milano come il Sud?

«No, è diverso. Qui al Nord la mafia ha avuto la capacità di entrare in sinergia con le attività economiche e sociali, mentre al Sud le hanno schiacciate. Il controllo del territorio nel Meridione è devastante, specie in Calabria dove la ’ndrangheta ha quasi preso il posto dello Stato. In Lombardia, invece, ha rapporti sinergici, convive, offre prestazioni che avvantaggiano. Il tutto senza i morti per la strada e la violenza, perché com’è noto la mafia calabrese preferisce il basso profilo e il silenzio».

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